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Genova, quaranta progetti per il Ponte Morandi: l’idea di Renzo Piano

Le stime di Salini-Impregilo: 230 milioni di euro, dubbi sui tempi

La giornata esemplare per capire quanto ci sia bisogno di un ponte è cominciata con una corsa a perdifiato per le scale degli uffici comunali.

Il messo della Salini-Impregilo, associata con Fincantieri, ha fatto i gradini tre alla volta per arrivare cinque minuti prima delle 12, termine ultimo per la presentazione delle manifestazioni di interesse, portando con sé un plastico e una busta con dentro il progetto. Prima, per posta elettronica certificata, o per consegna di plichi, erano giunte altre 39 proposte.

L’unica con il modellino annesso, molto simile a quello esibito lo scorso 7 settembre durante la conferenza stampa che illustrava l’idea di Renzo Piano per la sua città, con il beneplacito di Autostrade per l’Italia e Fincantieri, è stata quella della cordata che in ambienti politici, sia romani che genovesi, molti considerano favorita per la ricostruzione del ponte.

La firma sul progetto è della terza azienda consociata, Italferr, la società di ingegneria del gruppo FS. Il progetto dell’architetto genovese, che sembrava messo in un angolo dopo la conferma del niet governativo ad Aspi, ha fatto da filo conduttore anche di altre proposte, ma nel caso di Salini-Impregilo-Fincantieri la somiglianza con l’originale viene considerata molto marcata dagli stessi proponenti.

E chissà se comunque vada questo sarà un modo per far rientrare alla chetichella dalla finestra la conoscenza dei luoghi e delle strutture di Aspi, uscita dalla porta in modo ufficiale con il decreto Genova, almeno per quanto riguarda la ricostruzione.

Il costo previsto è di circa 230 milioni, il più basso tra tutte le proposte, con entrambe le aziende che sottolineano di lavorare «per spirito di servizio». Salini Impregilo indica dodici mesi per la consegna della nuova infrastruttura, a partire dal momento in cui le aree saranno libere, senza precisare se l’aggettivo è riferito allo sgombero delle macerie o all’apertura del cantiere.

L’offerta per la ricostruzione non esclude la disponibilità del nascituro consorzio per la demolizione, con i tecnici che sottolineano come l’assegnazione delle due fasi a un unico soggetto farebbe guadagnare qualche mese. Ma non saranno i soldi a decidere chi ricostruirà il ponte. Perché il nodo rimane sempre quello. I tempi. E la necessità disperata di Genova di tornare a un simulacro di normalità.

La scelta finale verrà fatta in base ai tempi, dettaglio non da poco che lascia speranze agli altri progetti. Ne sono pervenuti quaranta, alcuni solo per la ricostruzione, altri per la demolizione, o per entrambe.

Ci sono tutti i grossi nomi dell’edilizia italiana, da Cimolai, colosso della carpenteria metallica, a Pizzarotti, la numero tre delle imprese di costruzione in Italia. Per la fase di smantellamento si è fatto avanti anche un consorzio di tre imprese genovesi, Carena, Vernazza, Ecoeridania, già coinvolto nella mobilitazione delle macerie del ponte Morandi.

Tutti i progetti concordano nell’iniziare l’abbattimento dalla pila 8 sul lato ovest, una concordanza che ha confortato la struttura tecnica. Nel computo totale ci sono anche le proposte di «controllo e sicurezza». La società che vigilerà su lavori e cantiere per conto della Commissariato alla ricostruzione sarà la prima a essere scelta, nel giro di pochi giorni.

C’è una ragione per cui il sindaco nonché commissario per la ricostruzione Marco Bucci ha usato toni accorati con i vertici di Salini-Impregilo durante un incontro avvenuto a Roma una decina di giorni fa. Quando gli ingegneri della società capofila del progetto hanno prospettato una durata di «almeno» due anni dei lavori, Bucci ha alzato la voce.

«Nove mesi, non uno di più». La fretta è la sua stella polare, non certo per ansia da prestazione. A Genova serve un ponte, subito. Perché il suo fragile ecosistema di infrastrutture si regge su un ghiaccio sempre più sottile, basta poco per sprofondare la città nel caos e nei fumi dei gas di scarico, rendendo impossibili da raggiungere i quartieri di ponente. Basta una buca.

Alle 14 di ieri, mentre uscivano le prime indiscrezioni sui progetti, si è aperto uno squarcio nell’asfalto della già malconcia statale Aurelia, alle porte di Genova. La strada è stata chiusa in entrambi i sensi di marcia, e rimarrà così per almeno 10-15 giorni. A quel punto, per chi voleva raggiungere la zona ovest della città, non restava che l’autostrada.

Quasi in contemporanea, un camion che trasportava resina si è ribaltato occupando l’interra carreggiata della galleria Manfreida, un tunnel della A26 nel territorio del comune di Genova. La reazione a catena è arrivata nel giro di pochi minuti, con il traffico paralizzato, l’aria irrespirabile, scene isteriche, e la città divisa in due. «Può succedere di nuovo, in qualsiasi momento» dicono al comando dei Vigili urbani dopo l’ennesima giornata complicata.

Bucci si muove su un crinale molto stretto. Ogni giorno ci sono prove tangibili di una esasperazione che sale mentre diminuisce la pazienza esibita finora dai genovesi. Ai tecnici della commissione che esaminerà i progetti ha detto che la priorità è avere le gru sui monconi del ponte per il 15 dicembre, giorno previsto per l’inizio dei lavori di demolizione. Vince chi fa più veloce, non chi risparmia di più. Per Genova può anche essere un paradosso, ma soprattutto è una necessità.