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Vito, l’italiano del supertreno che viaggia a 1.200 km/ora

Milleduecentoventi chilometri l’ora! «La velocità è inaudita. I fiori ai lati della via non son più fiori, sono macchie, anzi sono strisce rosse o bianche. Le città, i campanili e gli alberi danzano e si perdono follemente nell’orizzonte». Solo la stupefatta meraviglia di Victor Hugo, che provò il brivido delle prime locomotive a quindici chilometri l’ora («Occorre uno sforzo per non figurarsi che il cavallo di ferro sia una vera bestia. La si sente soffiare…») potrebbe offrire l’impatto del nuovo «supertreno» che fra una decina di anni collegherà in poco più di mezz’ora, salvo intoppi, Toronto e Montreal.

«Treno»… Si fa per dire. In realtà, come spiega Vito Pertosa, «è una cosa tutta nuova. Dopo la nave, il treno, l’automobile, l’aereo è proprio un altro modo di viaggiare». Quella per arrivare primi alla realizzazione dell’«Hyperloop», che Wikipedia riassume come «una tecnologia hardware open-source per il trasporto ad alta velocità di merci e passeggeri all’interno di tubi», è una gara planetaria e vede al momento tre grandi concorrenti: due gruppi californiani e uno canadese. Tutti nati nella scia del visionario imprenditore Elon Musk, quello che affascina Matteo Renzi al punto di spingerlo a piantare in asso l’Italia, il Pd e le scissioni per incontrarlo in Silicon Valley.

Ci siamo anche noi italiani, in gara. Con la MerMec, il piccolo colosso multinazionale di Vito Pertosa che partendo da «Bacco», un carrello per raccogliere l’uva nei vigneti, ha spazzato via tutti i vecchi sistemi di controllo sulla sicurezza ferroviaria con «locomotive che viaggiando a 382 chilometri l’ora riescono a scoprire sui binari micro-fratture di mezzo millimetro o a misurare i cavi elettrici con una approssimazione di un decimo di millimetro».

Una scienza tecnologica così raffinata da consentire all’impresa di Monopoli (88 chilometri da Corato dove si scontrarono i due treni sul binario unico: i due volti del Sud) di conquistare 56 tra i maggiori mercati mondiali. Per capirci: sono affidati ai sistemi di controllo MerMec le metropolitane di Londra (la più antica), Seul (la più estesa), Parigi, Madrid, Singapore, Vienna, Roma, Milano… E le reti ferroviarie non solo italiane («Sulla diagnostica siamo i primi al mondo») ma francesi, tedesche, australiane, turche, norvegesi, finlandesi… Per non dire dei fiori all’occhiello, come la Shinkansen, l’alta velocità giapponese sulla quale sfrecciano i «treni proiettile».

Quasi un monopolio. Tanto che, ammicca Angelo Petrosillo, che nel 2009 assieme a Luciano Belviso (non arrivavano a sessant’anni in due) si è inventato con Pertosa gli aerei leggeri della «Blackshape» che oggi vendono in 27 Paesi, «dall’estero ci arrivano lettere indirizzate non a Monopoli, provincia di Bari, ma a Monopoly, con la Y». Fatto sta che, in attesa di mettere insieme quanto prima i diversi settori (la diagnostica ferroviaria, gli aerei con un nuovo velivolo certificato Easa, i sistemi per pagamenti via internet e i satelliti, due dei quali saranno lanciati nello spazio a ottobre) il piccolo gigante barese ha deciso di giocarsela, come dicevamo, anche sull’«Hyperloop». Ed è entrato come primo partner, mettendo soldi, tecnologie e il peso di una struttura che conta su circa settecento ingegneri («ma ne assumeremo un altro centinaio») nel gruppo canadese TransPodInc.

Il quale, guidato dai fondatori Sebastien Gendron e Ryan Janzen («Due geni», giura Pertosa) e spinto dal governo di Ottawa decisissimo a battere sul tempo i californiani che già pubblicano su youtube i video con i rendering di quello che dovrebbe essere l’Hyperloop da San Francisco a Los Angeles, sta lavorando pancia a terra per partire prima con il «supertreno» Toronto-Montreal. Un «supertreno» senza locomotiva. Ma certamente più simile, stando alle anticipazioni, all’idea dei convogli che ci portiamo dentro da quasi due secoli. Le navette chiamate «pod», infatti, non saranno come quei bossoli inizialmente concepiti con dentro quattro o cinque persone scomodamente sistemate, ma grandi cilindri ipertecnologici del diametro di tre metri e lunghi una ventina in grado di ospitare, su poltroncine più o meno tradizionali, 27 passeggeri.

Accolti e sistemati i viaggiatori, la navetta sarà chiusa e, tolta completamente l’aria nell’intercapedine, galleggerà nel vuoto di un tubo del diametro di quattro metri. Niente più binari: un tubo che va, uno che viene. Posati su piloni sotto controllo 24 ore su 24, con le vie di fuga come nei tunnel ferroviari, questi tubi coperti all’interno di elettromagneti e all’esterno di pannelli solari, scorreranno per centinaia di chilometri seguendo il massimo rettilineo possibile. Le navette, infatti, grazie alla totale mancanza di attrito, alla levitazione magnetica (il primo esempio, che un giorno risulterà «datato» è stato quello del MagLev che a Shanghai collega in sette minuti città e aeroporto) e a un nuovissimo sistema elettro-dinamico, avranno una velocità di crociera di 965 chilometri orari con punte, come dicevamo, di 1220. Meno del Concorde che passava (a costi spropositati) il muro del suono, ma molto più di un Boeing 737.

Tra una navetta e l’altra, stando ai progetti che per gli italiani di MerMec vedono in prima linea l’ingegnere Pasquale Antuofermo, passerà inizialmente un quarto d’ora: «Ma dopo aver verificato e messo a punto tutti i sistemi di sicurezza per essere certissimi di non correre il minimo rischio, contiamo di scendere a tre minuti. Poi due». Tempo di percorrenza dalla stazione di Montreal a quella di Toronto, 545 chilometri, circa quaranta minuti.

I costi? Stando al piano industriale, spiega Vito Pertosa, convintissimo che il nuovo «supertreno» su molte tratte medio-lunghe metterà ai margini l’aereo, «una quindicina di milioni di euro al chilometro». Quanto quelli delle tratte di Alta velocità in Spagna. Ma quasi la metà dei 24 milioni a chilometro di buona parte delle tratte italiane. Per non dire di quelle ancora più care: «Insomma, secondo noi sarà conveniente. Gli stessi costi di gestione saranno più bassi. Tanto che anche i biglietti dovranno costare di meno».

Resta una domanda: uomini, donne, vecchi e bambini si fideranno a viaggiare su navette che ricorderanno loro i vecchi sistemi della posta pneumatica? Quelli dove mettevi una capsula, schiacciavi B12 e puff!, schizzavano via? Non soffriranno, ad esempio, di claustrofobia? Può darsi, rispondono gli esperti. Ma anche sugli aerei non ci rendiamo più conto, dopo un po’, di volare sopra un immenso precipizio di diecimila metri. E nel tunnel della Manica non ricordiamo d’essere sotto il mare. «E in ogni caso ci sarà una luce al led bellissima di una impresa veneta e sui “finestrini” scorreranno le immagini registrate del paesaggio. Come fosse un viaggio reale». E magari a qualcuno tornerà in mente Victor Hugo…