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Sicilia, il buco di bilancio di Crocetta mette a rischio i conti pubblici

La messa in mora delle Regione siciliana per irregolarità nel rendiconto al 31 dicembre 2016 è un fatto senza precedenti nei settant’anni di storia dell’autonomia. Mai prima d’ora la magistratura contabile aveva fatto ricorso a un provvedimento così drastico. La decisione del Procuratore generale d’appello della Corte dei conti siciliana, Pino Zingale, potrebbe essere gravida di conseguenze negative anche per la finanza pubblica nazionale.

Se l’organo di controllo della Regione concludesse il giudizio di parifica con un “diniego di regolarità”, in altre parole con la bocciatura del bilancio, l’attività degli uffici amministrativi potrebbe subire una paralisi. L’ente non potrebbe approvare atti di spesa, non potrebbe pagare stipendi, la sua continuità sarebbe a rischio. Come è già accaduto nel luglio del 2012, durante la giunta di Raffaele Lombardo, quando la Regione accusò una crisi di liquidità al limite dell’insolvenza di cui dovette occuparsi il governo Monti, la Sicilia potrebbe ritornare ad essere elemento di tensione per la tenuta dei conti dello Stato.

Per non incorrere in una dichiarazione di irregolarità, Palazzo d’Orleans dovrà rispondere, con numeri e argomentazioni credibili, alla richiesta di supplemento istruttorio avanzata dal Procuratore generale d’appello il 30 giugno 2017 per individuare una via d’uscita.

Intanto, ad appena quattro mesi dalle elezioni regionali, fissate per il 5 novembre, la giunta Crocetta accusa pesantemente il colpo. Non poteva esserci modo peggiore di concludere la legislatura per una Regione colpita da una preoccupante crisi economica e sociale, il cui Pil in termini reali è inferiore di 12 punti rispetto al 2009 e i cui investimenti seguono un andamento “drammaticamente negativo”.

Il danno è grave sia per il presidente uscente, che ha esaurito ogni credito residuo di popolarità, sia per il governo nazionale a guida Pd, che aveva imposto a Rosario Crocetta la nomina di un assessore all’Economia tuttora in carica (Alessandro Baccei) che garantisse il percorso di risanamento dell’ente, d’intesa con Roma.

Scrive il magistrato nella sua relazione: “Le soluzioni adottate nel corso di questo esercizio finanziario non sono risolutive rispetto ai due grandi temi: da un lato il riequilibrio dei conti e l’impatto dell’accordo con lo Stato che dovranno essere valutati nel medio termine, dall’altro il processo di armonizzazione contabile”.  E prosegue: il “…notevole disavanzo di amministrazione”, pari a 99 milioni, “le cui coperture risultano altamente incerte, impedisce…di poter ritenere realizzato l’obiettivo del risanamento definitivo dei conti regionali”.

E questa è solo una faccia della medaglia. La riforma della contabilità della pubblica amministrazione obbliga infatti gli enti locali e territoriali a presentare rendiconti omogenei e confrontabili.

Tutte le Regioni dovranno redigere un bilancio consolidato a partire dal 2018 comprensivo dei conti di enti e di società partecipate, che al Sud, oltre che fabbriche di stipendi e luoghi di clientele e corruttele, sono quasi sempre un ammasso di perdite. Quello sarà il momento della verità per la finanza pubblica locale.

E lo sarà soprattutto per Regioni come la Sicilia il cui numero dei dipendenti è noto solo all’onnipotente.

Per Zingale, il personale della Regione siciliana ammonta a 18.075 unità, pari a una spesa di oltre 629 milioni, anche se mancano guardiani e architetti nei musei e nelle aree archeologiche e il rapporto dirigenti/dipendenti resta il più alto d’Italia. Ma si tratta di un conto parziale.

Il settimanale L’Espresso aveva considerato, nel maggio dello scorso anno, un totale di circa 75mila dipendenti – tra diretti, indiretti, forestali, precari, lavoratori socialmente utili, addetti agli enti, alle partecipate e via elencando – senza peraltro comprendervi i 17mila in quiescenza la cui pensione gravava direttamente sul rendiconto della Regione. Nel frattempo, a gestire i trattamenti pensionistici è subentrato un fondo appositamente costituito, un soggetto giuridico terzo, apparentemente autonomo da mamma Regione, che però paga gli assegni mensili ai pensionati con un “onere a carico dell’amministrazione” che nel 2016 è stato di 610 milioni.

Il Procuratore bacchetta inoltre la Regione per avere conferito a un fondo immobiliare – le cui quote sono state interamente acquisite dal fondo pensione dei dipendenti – edifici di sua proprietà in uso ai propri uffici, valutati 59 milioni l’anno per il biennio 2017-2018. L’operazione trasforma il fondo pensione in ente di mera facciata, privo di autonomia decisionale, lasciato negli ultimi due anni senza organi direttivi, in balia di commissari pro-tempore. Solo pochi giorni fa ne è stato nominato il consiglio d’amministrazione.

Il sospetto di Zingale è che questo conferimento unilaterale in conflitto d’interesse sia “semplicemente ed artificiosamente” un espediente per “drenare liquidità dal fondo verso il bilancio della Regione”.

Il punto nodale della relazione del Procuratore è tuttavia quello sui mancati accantonamenti. Non figurano a bilancio, nel consuntivo del 2016, né un fondo rischi per spese legali, né un fondo per le passività potenziali, né un fondo perdite per le partecipate.

Manca una ricognizione sulle azioni legali a carico della Regione e sulle probabilità di soccombenza: valutazione imposta dalla legge anche “alla luce della notoria circostanza che la Regione siciliana è coinvolta in una congerie di contenziosi passivi”. Manca la valutazione dei rischi per i contratti di finanza derivata, che potrebbero far lievitare l’indebitamento finanziario. E manca un fondo per il ripianamento delle perdite delle società partecipate.

La Regione sostiene di aver individuato coperture finanziarie certe, ma con metodi che, al magistrato contabile, appaiono in almeno due casi fittizi. Uno consiste nel re-imputare ai bilanci futuri entrate e uscite che non si realizzeranno mai. Questo artificio contabile, cui in passato hanno fatto ricorso varie Regioni per gonfiare i residui attivi (entrate accertate ma non riscosse), consente di re-iscrivere in continuazione a bilancio crediti inesigibili.

Nel settembre 2015, per adeguarsi alla legge di armonizzazione contabile, la Regione siciliana ha compiuto un ri-accertamento straordinario dei residui attivi, cancellando crediti dubbi per un importo di circa 6 miliardi (compresi 4-5 miliardi di crediti tributari nei confronti dello Stato). Evidentemente, per far quadrare i conti l’anno successivo, è stata costretta a replicare le vecchie cattive abitudini. Infatti, su 1,5 miliardi di residui passivi re-imputati al bilancio del 2016 è riuscita a riscuoterne per 411 milioni, e su 444 milioni di residui passivi (spese impegnate ma non pagate) re-imputati al medesimo rendiconto è riuscita a liquidarne per appena 54 milioni.

E’ dunque “verosimile” – scrive Zingale – che anche nel 2017 e nel 2018 “non si realizzi l’avanzo previsto” e che la quota di disavanzo che dovrebbe essere coperta da residui attivi “risulti incerta”.

L’altro metodo di copertura fittizia del disavanzo, riscontrato dal Procuratore della Corte dei conti, origina dalle anticipazioni di liquidità: scoperti di cassa verso l’istituto tesoriere (Unicredit), autorizzati dalla Ragioneria generale, che la Regione dovrà restituire con un piano d’ammortamento trentennale fino al 2045. C’è però un non trascurabile problema: la pubblica amministrazione può indebitarsi solo per finanziare investimenti, che nel caso della Regione siciliana rappresentano appena il 6,89% di una spesa complessivamente impegnata di 21 miliardi. Ciò significa che le anticipazioni di liquidità per finanziare disavanzo “assumono carattere di vero e proprio indebitamento” e finiscono “per soggiacere all’articolo 119 della Costituzione”, che vieta di contrarre debiti per finanziare spesa corrente.

La Regione ha dunque violato il dettato costituzionale e dovrà compiere le “conseguenti valutazioni” in vista della manovra di assestamento per l’esercizio finanziario del 2017, “al fine di evitare conseguenze disastrose per i conti pubblici”.

La questione degli anticipi di liquidità è poi determinante anche per il calcolo dell’indebitamento finanziario, che senza gli scoperti di cassa sfiorerebbe i 5,5 miliardi. Stando all’interpretazione di Zingale, gli anticipi di liquidità andrebbero invece considerati come un debito mascherato. In tal caso, l’esposizione finanziaria complessiva della Regione siciliana supererebbe la soglia degli 8 miliardi. Per Crocetta e per l’assessore Baccei è un’altra pesante mazzata e una grave ipoteca a carico dei loro eventuali successori.