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L’Italia spaccata in due dai certificati

Il Paese che si converte al digitale e quello che a tre anni dalla legge non ha attivato il servizio. Ecco chi marcia e chi resta a guardare. Il caso virtuoso di Cagliari, dove è stata condotta una campagna di informazione per i cittadini. Sul sito di Reggio Calabria sono in evidenza i social e gli eventi ma non c’è traccia dell’anagrafe.

La legge c’è, qualcuno si attrezza, altri ne sfruttano le possibilità, altri ancora confondono i servizi che l’ufficio anagrafe del Comune può fornire in digitale con le informazioni turistiche. Intanto però i dati raccontano, come spesso accade, che in Italia le innovazioni procedono a macchia di leopardo. Così, se il comune di Milano annuncia che nel 2016 ha emesso più certificati digitali, il 54 per cento, di quanti ne siano stati consegnati allo sportello, a Napoli gli utenti hanno ancora e soltanto l’unica opzione di una fila e una chiacchierata con l’impiegato. L’Agenda digitale italiana è partita nel 2014 e prevede azioni e norme per lo sviluppo delle tecnologie, dell’innovazione e dell’economia digitale. In pratica, i comuni italiani devono attrezzarsi per dialogare e fornire o ricevere documenti online da cittadini e imprese. Per questo è indispensabile l’attivazione dello Spid, il sistema che permette agli utenti di accedere con un’unica identità telematica ai servizi online della pubblica amministrazione e privati. Appunto: il traguardo di Milano, non a caso annunciato dall’assessora alla Trasformazione digitale e ai servizi civici del Comune, Roberta Cocco, passa attraverso lo Spid attivato, un sito in cui si naviga con grande facilità e un video che spiega passo passo come si accede al sistema. Detto fatto: i cittadini evitano volentieri di andare in Comune e fanno tutto dal computer di casa. Fa altrettanto bene Firenze, con il 45 per cento dei certificati rilasciati online e un articolato piano di digitalizzazione che prevede corsi di formazione, pubblicità, convenzioni con ordini professionali. Torino stima il 55 per cento ma i dati non sono ufficiali , Bari il 25 e Roma il 21 per cento. Si è fatto l’esempio di Napoli, ancora indietro, ma non è una questione di Nord e Sud. A Cagliari sciorinano soddisfatti il loro 39 per cento di certificati online e Danilo Fadda, assessore a Personale affari generali e servizi demografici spiega: “L’amministrazione ha puntato molto sulla digitalizzazione perché, viste le assunzioni bloccate, poter liberare del personale dal lavoro allo sportello permette di destinare risorse altrove”. Il buon dato di Cagliari si spiega anche con una campagna di informazione, perché è vero che alcuni comuni hanno lo Spid e siti efficienti, ma i cittadini talvolta non sanno se e come usarli. Dicono infatti dal comune di Venezia (quasi 27 per cento di certificati emessi online): “Il dato riguarda il 2017 e lo riteniamo già abbastanza buono, specie se si considera che non tutta la popolazione residente ha ancora la consapevolezza di tale possibilità e per questo si sta rilanciando un nuovo piano di comunicazione in materia. La stampa può essere senz’altro di aiuto”. Si dicono soddisfatti dell’avvio anche a Perugia, con il loro 29 per cento e un vasto piano di incremento per la città “ultradigitale”. Anche in questo caso, l’accesso alla registrazione Spid è rapido e sul sito si naviga con facilità. Tuttavia informazione ed efficienza del Comune non sono garanzia di riuscita, perché l’abitudine e l’età media della popolazione sono una zavorra. A Bologna le richieste online non decollano, complice anche una fitta rete di sportelli in ogni quartiere cittadino, che di fatto rende molto semplice ottenere i documenti richiesti, tanto che il 70 per cento dei certificati viene ancora rilasciato da un operatore. Stessa cosa accade a Genova, dove lo Spid è attivo ma, spiega l’assessore a Servizi civili e informatica Matteo Campora “l’esiguo 10 per cento è anche dovuto al fatto che Genova è una città con molti anziani, pochi giovani e attività, dove solo i professionisti sono passati al nuovo sistema”. In altre città, come Palermo, i certificati richiesti online sono circa il 12 per cento del totale, ma non essendo attivo lo Spid (assicurano ci sarà da gennaio) per registrarsi al servizio bisogna andare al Comune. E qui comincia il viaggio nelle amministrazioni che arrancano. Ad Ancona, per esempio, giurano che si stanno attrezzando, ma intanto qualche documento si può richiedere via posta certificata ma “non sono ancora stati digitalizzati i dati anteriori al 2000”. A Potenza, dopo che alla voce “servizi online” del sito del Comune si è trovato un Qr code per informazioni turistiche, la telefonata di verifica ottiene una risposta piccata: “E come si fa, bisogna pagare la marca da bollo”. Beati i milanesi e gli altri che hanno già scoperto i pagamenti online. Ma non è la sola bizzarria: su molti siti dei comuni la ricerca di termini come “digitale” e “online” non produce alcun risultato, come se la tecnologia si fosse fermata ai vecchi macchinari degli uffici dell’anagrafe, che l’impiegato manovrava con grande fragore di ingranaggi e cartellini fruscianti . C’è poi chi il sito lo cura assai, come Reggio Calabria, dove il primo tra i servizi online è un sistema per inserire “il tuo evento”, mentre per scovare l’anagrafe digitale ci vuole un certo puntiglio. E infatti dal Comune confermano: “Sono registrati 898 utenti e sono state presentate circa 40 richieste”. Quanti certificati emessi? Mah, però i social sulla pagina principale sono elencati tutti.