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Il ‘magna magna’ italiano raccontato da un manager pubblico

Estate, sole, spiaggia e… alghe. Forse non sospettavate che perfino le alghe possono essere fonte di guadagni illeciti, uno dei mille sistemi che l’ingegno italico ha escogitato per fare soldi in modo illegale, spesso con la complicità o, nel migliore dei casi, l’inerzia delle pubbliche amministrazioni.

Lo racconta Alberto Pierobon, nel suo libro “Ho visto cose – Tutti i trucchi per rubare in Italia raccontati da un manager pubblico” scritto con Alessandro Zardetto, «Ho scoperto che attorno al materiale spiaggiato, in particolare alle alghe, per esempio la Posidonia, si agitano vari interessi. – spiega Pierobon – Infatti, ci sono Comuni che per la loro rimozione, spendono oltre un milione di euro all’anno».

Le alghe si rimuovono per varie ragioni: tra le principali perché ostacolano il cammino e producono, decomponendosi, odori molesti. «Per portarle via dalla spiaggia si fanno appalti: ‘ti do tot euro per tonnellata all’anno per raccoglierle’. – spiega Pierobon –  La raccolta avviene con trattori o pettini, che asportano più o meno sabbia. Attraverso una sorta di centrifuga, le alghe vengano prima seccate, poi portate via. Più il lavoro è fatto correttamente, meno sabbia porti via dalla spiaggia. E, invece, cosa può succedere? Che le società che hanno vinto l’appalto raccolgano sabbia e alghe insieme, senza andare troppo per il sottile, e che poi si rivendano la sabbia. Anche per usi edilizi: senza curarsi del fatto che questa sabbia contenente sale può pregiudicare la stabilità edilizia».

Non basta, Pierobon racconta anche che può succedere «che prendano la sabbia da uno stabilimento demaniale (e il Comune dovrà poi provvedere a comprarne altra) e poi la rivendano ad altri stabilimenti per il “ripascimento”, cioè l’aggiunta di sabbia per mantenerne il giusto livello». Ovviamente a pagare i costi della rimozione delle alghe è il Comune e quindi alla fine sarà il contribuente a dover tirare fuori i soldi».

Non solo. «In certi casi le alghe spiaggiate, quindi morte, vengono ributtate in acqua. – continua Pierobon – Chi lo fa sa come si muovono le correnti. Intere barche o camion vengono riversate in mare, interferendo con l’ecosistema, oppure le sotteranno nella stessa spiaggia…», pratiche ambedue vietate. E’ solo un esempio tra i tantissimi (una quarantina, ripresi nell’appendice che approfondisce tecnicamente i casi) citati da Pierobon, casi vissuti in prima persona nel corso degli anni, durante i quali ha maturato un’esperienza che gli consente di leggere, interpretare e ricollegare i vari indizi da diverse prospettive.

Anche le ruberie hanno le loro classifiche. «La truffa più comune è quella che si fa in squadra. – spiega Pierobon – Non è la tangente allo sportello, ma piuttosto il progettare una truffa o la ruberia nell’occasione di un appalto o di una gestione legalizzata. Il paradosso è che questo avviene anche nel privato. E non è certo un fiore raro. Trovi questo sistema nelle grandi strutture come nell’ambiente della pubblica amministrazione. Quello che succede è semplice: abusare delle regole, rimanendo in un’apparente legalità, per trarne un vantaggio, personale o per una consorteria di appartenenza».

Uno dei casi citati nel libro è piuttosto sconcertante, soprattutto perché va a colpire proprio i più indifesi: bambini e anziani. Riguarda un materiale molto comune: la sabbia della spiaggia. Pierobon cita un’esperienza personale: «Ero al mare, e il figlio piccolo di un mio amico cominciò ad accusare difficoltà respiratorie. Il medico disse ai genitori di tenere il bambino lontano dalla spiaggia, un lido privato a uso esclusivo di un condominio. Noi, allora, cominciammo a scavare un po’ più a fondo di quello che si fa di solito con paletta e secchiello. E trovammo pezzetti di mattone e materiale di riporto, con malte e calcinacci.

Andai ad approfondire. L’Amministratore condominiale mi disse che la comprava scegliendo tra tre secchi, immergendo la mano in ciascun di loro. Valutava così il materiale preferibile, anche in relazione al prezzo. Non prendeva la sabbia del fiume, la più costosa, ma guarda caso proprio quella che era miscelata con rifiuti inerti da demolizione, polverizzati. Con il vento le particelle si alzavano e irritavano le vie respiratorie, soprattutto delle persone più delicate: bambini e anziani».

Ecco come rifiuti inerti possono diventare un doppio affare: non solo minori costi di smaltimento, ma addirittura introiti, generati dalla loro vendita in veste di sabbia per la spiaggia.