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Codice appalti «flessibile»: per rilanciare gli investimenti

Per gli appalti arriva il codice «flessibile»: una manutenzione straordinaria della riforma varata nove mesi fa che aiuterà a superare le difficoltà del settore e ad accelerare l’avvio di nuovi investimenti. Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha intenzione di innovare anche nel metodo con una consultazione aperta ai soggetti pubblici e privati del settore.

L’intervento, che in termini tecnici si chiama decreto «correttivo», aiuterà certamente a eliminare alcune rigidità contenute nel codice entrato in vigore il 18 aprile 2016. La prima cosa da dire è che non vengono stravolte le finalità fondamentali della buona riforma varata dal governo Renzi: garantire un mercato più trasparente, limitare le procedure straordinarie e le corsie laterali in cui spesso si annidano la corruzione e l’inefficienza, introdurre un forte potere di regolazione affidato all’Anac di Raffaele Cantone, spostare l’azione della pubblica amministrazione da attività di mercato privato come quella della progettazione ad attività pubbliche fondamentali come la programmazione e la vigilanza, troppo trascurate da almeno 30 anni in Italia.

Tutto questo, nella sostanza non cambia. Cambiano invece una serie di norme e paletti minori con l’obiettivo di dare maggiore flessibilità e semplicità ai percorsi che devono portare alla realizzazione di piccole opere e di lavori di manutenzione. Soprattutto si prova a superare quell’entrata in vigore troppo rigida che il 18 aprile 2016 aveva visto in un solo il passaggio epocale da un sistema tradizionale a un sistema radicalmente diverso.

Questo aveva inceppato la macchina delle amministrazioni pubbliche e aveva provocato un danno al Paese e al settore in termini di discontinuità forte dei nuovi bandi di gara. Più volte il ministro Delrio ha spiegato che un nuovo bando di gara produce effetti economici concreti soltanto a distanza di molti mesi e non nell’immediato e che quindi il nuovo codice non avrebbe potuto bloccare la spesa attuale per investimenti. Corretto. Va però aggiunto che la riduzione dei bandi di gara che si è registrata per alcuni mesi dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina avrebbe potuto produrre nel medio-lungo periodo un rallentamento proprio di quelle attività (piccole opere e manutenzione) che possono essere avviate in tempi rapidi e che oggi si vogliono semplificare. E oggi è assolutamente necessario non interrompere la continuità della macchina degli investimenti se si vuole produrre quella crescita progressiva che sono una carta fondamentale per una ripresa più robusta.

Bene ha fatto quindi il ministro ad aprire questa nuova fase e a mettere a punto un testo che dovrebbe dare più continuità alle scelte di investimento delle pubbliche amministrazioni eliminando alcuni scogli. In altre parole, il provvedimento di Delrio dovrebbe eliminare alcune frizioni esistenti fra l’attuale sistema e le nuove regole, dando più tempo agli operatori – spesso pigri – per adeguarsi su alcuni aspetti comunque limitati.

Questo è un punto decisivo per valutare la qualità dell’operazione che il governo si appresta a varare. La flessibilità non deve essere scambiata per rinuncia a perseguire gli obiettivi fondamentali della riforma che consentiranno – nel momento in cui le nuove regole saranno a regime – di ridurre tempi e costi delle opere pubbliche.

Sappiamo che i problemi del settore degli appalti sono strutturali e vanno affrontati con un atteggiamento radicale. Serve una programmazione lineare e “pubblica” che da tempo la PA non fa. Serve una buona progettazione superando i monopoli interni che uccidono un buon mercato. Serve una capacità di vigilanza delle PA che devono potersi servire anche di consulenti specializzati. Serve ridurre drasticamente le liti temerarie avanzate dalle imprese escluse. Serve un rispetto rigoroso di tempi e costi delle opere, abbattendo drasticamente le varianti in corso d’opera. Serve introdurre anche in questo settore l’innovazione digitale per passare agli Appalti 4.0.

Il codice degli appalti va nella direzione di creare le condizioni per questa svolta. Nessuno può illudersi, però, che le norme agiscano come bacchette magiche che di colpo risolvono problemi incancreniti da decenni di assenze, paure, deresponsabilizzazione sul lato pubblico e di furberie sul lato degli operatori privati. Questo era l’errore della riforma varata ad aprile. Le bacchette magiche non esistono e la battaglia per una buona qualità del mercato dei lavori pubblici durerà anni. Il codice è uno strumento per spostare gli equilibri verso le prassi virtuose. Non basta. Per avere una buona progettazione servono fondi rotativi che aiutino le amministrazioni a rinnovare il parco progetti e servono regole per fare gare e concorsi che premino la qualità progettuale. Passi avanti si sono fatti anche su questo fronte, ma non basta. Perché i tempi sono ancora lunghissimi e i costi eccessivi.

La correzione del codice aiuterà ad affrontare meglio questa fase transitoria che non sarà breve. Va apprezzata la volontà di dialogare con chi opera sul campo. Questo dialogo non dovrà fermarsi alle consultazioni per questo decreto. Sarebbe utile che da qui partisse una fase di ascolto – che pure l’Anac ha cominciato a fare – con l’obiettivo di formare gli operatori ai nuovi comportamenti virtuosi. Il codice ha bisogno non solo di imporre una nuova regola ma anche di essere apprezzato e condiviso da chi lo applica.