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Atac, le cause di un disastro annunciato

Atac: storia di un disastro annunciato. Tra sprechi, disservizi, e gestione fallimentare, la municipalizzata che da oltre un secolo gestisce il trasporto pubblico capitolino, è arrivata a un punto di non ritorno. A parlare sono i numeri: 1,3 miliardi di debiti accumulati, quasi 2mila fornitori sul piede di guerra, vetture con un’età media di 12 anni e migliaia di pendolari sempre più infuriati. E come se non bastasse, una gestione che tenta inutilmente di risanare i conti ormai da troppi anni in rosso.

Del resto la storia di Atac è sempre stata segnata da criticità, scandali e bilanci in perdita. Da Parentopoli alla truffa dei biglietti falsi, passando per il furto del carburante nei depositi e le anomalie riscontrate nella realizzazione della metro C. Una serie di vicende che hanno contribuito non solo a macchiare la reputazione della società ma anche a danneggiare il suo giro d’affari. Nel corso degli anni la partecipata di via Prenestina ha infatti assistito ad un crollo dei ricavi e ad un aumento incontrollabile dei debiti.

Secondo l’ultimo rapporto di R&S Mediobanca – che analizza la situazione economica delle principali società controllate dai maggiori 115 enti locali – nel periodo 2011-2015 la società ha registrato 5 anni in perdita, accumulando un buco di ben 765 milioni. Ammontano invece a 325 milioni i debiti contratti nei confronti dei quasi 2mila fornitori mentre dall’ultimo contratto di servizio risulta che l’azienda deve al Comune di Roma oltre 477 milioni.

Un deficit che si ripercuote anche sulla qualità del servizio, caratterizzato da una sistematica soppressione di molte corse programmate (l’ultima la chiusura estiva della metro A nel tratto Arco di Travertino-Termini) con conseguenti disagi agli utenti, tanto che l’Antitrust ha disposto una sanzione da 3,6 milioni.

Disagi dovuti anche all’utilizzo di vetture vecchie – con un’età media di 12,1 anni che, rileva la Ragioneria Generale, “risulta tra le più elevate all’interno del panorama italiano ed europeo” – ed insufficienti a soddisfare le esigenze dei pendolari della Capitale.

Una situazione insostenibile dunque, sia dal punto di vista economico che da quello del servizio, che ora sembra essere arrivata ad un momento di svolta. Per la prima volta il Cda dell’azienda ha avviato la procedura di concordato preventivo, definendola come “il primo passo concreto per il risanamento e rilancio della società”. Una scelta che rappresenta “l’inizio di una procedura fallimentare”, lamentano i sindacati, preoccupati per il futuro dei quasi 2mila lavoratori dell’azienda. “Atac si salverà e rimarrà pubblica“, garantisce invece la sindaca di Roma Virginia Raggi, cercando di calmare le acque.

Nel frattempo il Cda dell’azienda ha approvato il Progetto di Bilancio 2016 che documenta un ulteriore peggioramento dei conti aziendali, con un passivo salito a 212,7 milioni, ben tre volte superiore a quello dell’anno precedente. Tutta colpa di una gestione aziendale “incapace di creare un clima organizzativo che porti al benessere”, spiega all’AdnKronos l’ex assessore al Bilancio del Campidoglio Andrea Mazzillo. Ma il debito attuale è dovuto soprattutto all’elevato costo del lavoro a fronte di una bassa produttività. Per non parlare poi dell’evasione tariffaria, un fenomeno tuttora

Nell’ultimo rapporto di R&S Mediobanca Atac risulta tra le società partecipate con il più alto numero di dipendenti nel 2015. Con 11.857 lavoratori l’azienda romana si è posizionata al vertice della classifica, seconda solo a A2A, che contava nel proprio organico 12.083 unità. Nello stesso anno Atac appare anche tra le società con i Clup peggiori, avendo un rapporto tra costo del lavoro e produttività pari al 113,6%.

Nel 2016 il costo del personale (pari a 11.590 dipendenti al 31 marzo 2017) ha raggiunto 540 milioni, di cui 389 milioni spesi per le retribuzioni. Oltre mezzo miliardo di euro che, secondo alcuni, pesa sulle casse della società anche a causa dell'”alto tasso di assenteismo”. Accusa respinta nettamente dai lavoratori: “Si tratta di una strumentalizzazione – affermano i sindacati – perché fanno rientrare in quei dati anche altre formule come congedo e maternità che sono previste dalla legge”.

Sulla stessa lunghezza d’onda un ex dipendente di Roma Tpl secondo cui le assenze sono ‘giustificate’ “perché – spiega all’AdnKronos – se è vero che c’è un esubero di impiegati, è altrettanto vero che gli autisti sono pochi e lavorano sempre. Quando per l’ennesima volta ad un autista vengono negate le ferie ma ha bisogno di un giorno libero – spiega – allora non ha altra scelta che ricorrere alla malattia”. Nel primo trimestre del 2017 in Atac si è registrato un tasso di assenze pari al 12,12%, in gran parte dovute proprio a malattia (5,94%) e alla legge 104 (2,66%).

Come influisce il tasso di assenze sull’operato dell’azienda? “Se un’azienda assume un numero eccessivo di dipendenti”, spiega Andrea Mazzillo, “si riduce la sua capacità d’azione”. Tutto ciò, secondo l’ex assessore al Bilancio, è dovuto al fatto che in Atac “l’orientamento al risultato non è stato mai considerato in maniera adeguata”. “E’ emblematico il fatto che molti dipendenti abbiano un doppio lavoro”, aggiunge, concludendo che “il modello di business non è stato correttamente implementato”.

Un altro fenomeno che si ripercuote negativamente sul fatturato di Atac è quello dell’evasione tariffaria. Lo scorso anno il numero delle violazioni accertate – e quindi di sanzioni – ha raggiunto quasi le 126mila, a fronte delle quasi 100mila dell’anno precedente. Una cifra che, con una media di cinque sanzioni al giorno per agente, ha segnato un aumento del 26% di multe rispetto al 2015 e del 72% se si raffronta con il dato del 2014. Tuttavia, nonostante la campagna di lotta all’evasione messa in campo, il fenomeno è ancora molto diffuso e contribuisce ad incrementare ulteriormente il deficit dell’azienda capitolina. Una perdita significativa che alcuni attribuiscono anche al numero ridotto di controllori in circolazione.

Ad aggravare la situazione economica di Atac è la quantità di debiti accumulati nel tempo, in primis nei confronti del Comune di Roma. In base all’ultimo contratto di servizio Atac deve all’amministrazione capitolina oltre 477 milioni, una cifra destinata ad aumentare considerando il conto in rosso dell’azienda. Ammontano invece a 182 milioni i debiti verso le banche registrati nel 2015 mentre sono più di 325 milioni quelli rilevati nello stesso anno nei confronti dei fornitori, arrivati a quota 2mila nel quarto trimestre del 2016.

Intanto il Cda dell’azienda ha approvato il Progetto di Bilancio 2016 che registra “un risultato netto che si assesta a -212,7 milioni di euro”. Una cifra ben tre volte superiore a quella dell’anno precedente, com’è possibile? “Oggi c’è una perdita maggiore rispetto alle aspettative perché i criteri di valutazione si sono resi più stringenti”, spiega Mazzillo, “in passato invece Atac ha redatto dei bilanci senza confrontarsi con tutte le controparti, alcune voci sono state valutate con eccesso di positività mentre necessitavano di un’ulteriore verifica da parte dei revisori dei conti”.

Che la crisi di Atac sia imputabile, in larga parte, ad una cattiva gestione aziendale non è certo un mistero. Una gestione “leggera e per così dire ‘allegra’ che ha creato un debito spaventoso”, sostengono i rappresentanti di Usb, attribuendo la colpa ad una “politica fallimentare” e a “dirigenti incapaci”. “E’ evidente che Atac non è stata gestita al meglio”, sottolinea Eliseo Grasso, Subcommissario della Fit-Cisl del Lazio, “si è tirata troppo la corda e alla fine la politica non ha avuto altra scelta, si è arrivati ad un punto di non ritorno”.

E ancora, “il disastro di Atac è dovuto all’incapacità della politica e alla latitanza del gruppo dirigente, spesso privo di competenze specifiche e più interessato ad ottenere il consenso dei partiti”, ribadisce il segretario della Filt Cgil Roma Lazio Eugenio Stanziale, “l’errore principale è stato pensare che un’azienda così importante potesse essere governata come un condominio, senza nessuna idea industriale, senza un obiettivo concreto e senza pensare al bene della collettività”. Sulla stessa linea l’ex assessore al Bilancio Andrea Mazzillo. “Qualsiasi scelta gestionale ha sempre dovuto scontare condizionamenti di natura politica”, spiega, “da un lato l’infuenza politica del Comune, dall’altro quella dei sindacati con una matrice politica”.

Uno sconfinamento di campo tra ruoli diversi reso possibile, secondo Pietro Spirito – Direttore Centrale Operazioni della società capitolina dal 2011 al 2015 e autore del libro ‘Trasportopoli. Cronache dall’inferno Atac’ (Guerini e Associati, 2016) – “da un pasticcio che affonda le sue radici nell’anomalia del governo della città”. “I tentativi di imprimere una svolta sono sempre stati ostacolati”, aggiunge l’ex dirigente, “nella convinzione che l’azienda non sarebbe mai potuta fallire e che i privilegi cumulati fossero eterni”.

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