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Venezia, la sabbia frena le dighe anti-acqua alta: rischio aumento dei costi per il Mose

L’accumulo di sabbia non era occasionale ma è un problema strutturale da risolvere con un aumento dei costi: a questo è giunto fra polemiche e contestazioni il nuovo test condotto dal Consorzio Venezia Nuova sulle paratoie del Mose, la diga mobile che difenderà Venezia dall’acqua alta e dal sollevamento del mare prodotto dai cambiamenti climatici.

Il Mose, dopo le inchieste che due anni fa hanno azzerato e portato a processo il vertice del consorzio, è in fase di completamento sotto la guida di tre commissari nominati dallo Stato sotto il controllo della magistratura e dell’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone. Secondo il cronoprogramma, sarà pronto nell’estate 2018. Consisterà di quattro serie di paratoie mobili che alzandosi chiuderanno fuori dalla laguna l’acqua alta. La prima delle quattro dighe mobili è già stata montata (fra Punta Sabbioni e il Baccàn) e una seconda è in allestimento (Malamocco).

La diga già costruita è stata alzata per sperimentarne il funzionamento e ha confermato che trattiene l’acqua alta però ha confermato anche i problemi rilevati in un test precedente. In particolare, la sabbia del fondo trafila nei basamenti e quando, dopo l’uso, le paratoie sono state fatte scendere a riposo negli alloggiamenti sottomarini, alcune di queste non si sono richiuse perfettamente. Della quarantina di enormi elementi d’acciaio, alcuni sono rimasti fuori allineamento di qualche centimetro a causa della sabbia che era entrata nell’alloggiamento.

I contestatori del progetto hanno gioito: su alcuni giornali locali e sui siti web di opposizione al Mose è stato titolato che il test è fallito e che le dighe non funzionano.

Il problema si era già manifestato, e quindi il nuovo test ha chiarito che il fenomeno non è occasionale ma ricorrente: a ogni utilizzo sarà necessario pulire dalla sabbia gli alloggiamenti sottomarini, con un aumento dei costi. Secondo i tecnici, il test ha avuto «esito soddisfacente dal punto di vista dell’operatività del sistema e delle indagini eseguite», cioè il rilievo batimetrico con tecnologia di dettaglio e il prelievo di campioni di sedimenti.

Ieri intanto è continuato il processo per le tangenti. L’inchiesta Mose, con le tangenti, i fondi neri, gli arresti e gli indagati eccellenti tra Veneto e Lombardia, è stata sottovalutata, secondo il grande accusatore Piergiorgio Baita (ex amministratore delegato della Mantovani, una delle aziende socie del Consorzio Venezia Nuova) perché «non è un caso locale. Tutto parte da Roma perché la salvaguardia di Venezia è un caso nazionale». Baita lo ha detto ieri mattina uscendo dall’aula del Tribunale di Venezia, al termine del controesame del processo.