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Sviluppo: i 10 punti deboli dell’Italia

Dalla relazione dell’Ufficio studi di Confartigianato, ecco quali sono i freni alla crescita delle imprese: dalle tasse alla corruzione, dalle infrastrutture che non ci sono alla burocrazia.

Troppe tasse per chi produce – Il peso delle imposte sulle imprese in Italia è ancora troppo alto. Secondo la Banca mondiale è questa la zavorra più gravosa per la nostra economia. Per questa voce l’Italia è riuscita a migliorare di appena una posizione passando dal 138° al 137° posto.

L’ampiezza del divario digitale – Il divario digitale, vale a dire l’asimmetria delle competenze nell’utilizzo delle nuove tecnologie, è un fattore di freno allo sviluppo. Si può considerare il divario digitale dall’angolo visuale del rapporto fra i cittadini e la pubblica amministrazione. E allora si vede che i cittadini che dialogano con la Pa sono ancora il 20,3% contro il 36,2% medio in Europa.

La durata dei processi – L’eccessiva durata dei procedimenti civili in Italia è un altro dei pesi che toglie spinta alla competitività dell’economia. Attualmente occorrono in media 1.120 giorni , ovvero quasi 4 anni, per risolvere una disputa commerciale, una durata doppia rispetto alla media europea.

Pagamenti, i tempi della Pubblica amministrazione – I tempi di pagamento ai fornitori di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione italiana sono un fattore di grande disequilibrio per le imprese. La media italiana è di 131 giorni a fronte di 51 della media europea. Una distorsione che finisce per ripercuotersi anche sui pagamenti fra le imprese stesse, dove la media italiana è di 80 giorni contro i 39 dei partner europei.

L’alto costo dell’energia elettrica – L’alto costo dell’energia elettrica in Italia ha un effetto negativo sulla competitività delle imprese e pesa in particolare sui settori manifatturieri «energivori». Rispetto alle imprese europee con cui si confrontano le aziende italiane, il costo dell’energia nel nostro Paese è più elevato del 29,8%, un fardello aggiuntivo di circa un terzo su un fattore di produzione primario.

Opere pubbliche insufficienti – L’inadeguatezza delle infrastrutture è indicata come un problema serio dall’82% degli imprenditori italiani contro il 46% dei loro colleghi europei. Esiste una forte disomogeneità fra le diverse aree del Paese, con il Sud mediamente più penalizzato delle regioni settentrionali anche se alcune aree del Centro-Nord lamentano gravi carenze.

Corruzione, il freno allo sviluppo – La corruzione è ritenuta un pericolo mortale dal 60% degli intervistati in Italia. Si tratta di un valore superiore di 20 punti rispetto alla media europea. Il dato inoltre non è omogeneo su tutto il territorio nazionale perché nelle regioni del Sud o nelle aree ad alta densità di criminalità organizzata il peso di questa zavorra può diventare preminente nel frenare lo sviluppo.

Burocrazia, il prezzo dell’inefficienza – La burocrazia è considerata un peso insormontabile dall’86% degli operatori economici, con la magra consolazione che ci sono più scontenti in Grecia (95%) e addirittura in Francia (89%). Attuare le leggi che già esistono, eliminare la frammentazione delle competenze sono considerate le soluzioni più adatte.

Scarsa qualità dei servizi – Appena il 39% dei cittadini italiani è soddisfatto della qualità dei servizi pubblici, vale a dire il 21 punti in meno rispetto alla media europea, che si attesta al 61%. Fra le 83 città europee esaminate in un’indagine della Commissione europea sulla qualità dei servizi pubblici locali le ultime tre posizioni sono occupate da Palermo, Roma e Napoli.

Rifiuti e acqua, il caro-tariffe – Le tariffe per i servizi pubblici sono in crescita continua. Nei cinque anni che si sono conclusi ad aprile Confartigianato segnala che per i soli servizi non energetici (acqua, rifiuti e trasporti) si è registrato un rincaro del 22%, quasi doppio rispetto all’aumento osservato nell’eurozona. Il record è per le tariffe dei servizi idrici, salite del 34,8%, 21,3 punti in più dell’eurozona.