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Quanti cavalcavia dovranno crollare sotto il peso del silenzio?

Il crollo del cavalcavia avvenuto il 28 ottobre ad Annone Brianza che ha provocato la morte di una persona e il ferimento di altre cinque che proprio in quel momento stavano transitando lungo la strada statale 36 del lago di Como e dello Spluga, potrebbe avere diversi “responsabili, ma fra questi certo non ci saranno responsabili dell’impresa  di autotrasporti proprietaria del Tir precipitato insieme alla struttura. Una “verità” sulla quale Conftrasporto, consapevole della professionalità dell’impresa suo malgrado coinvolta nella tragedia, non aveva mai nutrito il pur minimo dubbio e che ora ha trovato puntuale conferma nelle verifiche effettuate dai periti: il Tir, quello che qualcuno con imperdonabile superficialità aveva subito messo sul banco degli imputati, aveva infatti un peso inferiore al limite autorizzato.

L’impresa stava dunque operando nel pieno e responsabile rispetto delle disposizioni impartite dagli uffici preposti al rilascio delle autorizzazioni, senza alcuna responsabilità che invece certi commentatori avevano subito attribuito  all’impresa proprietaria del veicolo. Peccato che questa verità sia stata pubblicata  solo da alcuni giornali locali e non dalle grandi testate che invece avevano subito “sparato” i soliti titoli a effetto.

Testate che peraltro sembrano già essersi dimenticate dell’allarme cavalcavia e del pericolo che un simile  evento possa ancora ripetersi, con una mappa dei ponti italiani che fa acqua da tutte le parti e senza un deciso intervento da parte dei competenti organismi. Una situazione pesantissima che Conftrasporto del resto aveva già segnalato, inascoltata, in passato e che oggi, nel silenzio generale, torna a denunciare a gran voce: occorre intervenire sulle cause che possono aver determinato il collassamento del manufatto e non fermarsi ai primi rilievi.

E occorre verificare se una causa della tragedia (e di altre possibili) possa essere attribuibile, come sostiene Conftrasporto, dal fatto che su quel ponte, così come su altri manufatti nelle stesse identiche condizioni, transitavano non una manciata di trasporti eccezionali (cioè una volta ogni tanto) bensì, ogni giorno decine di veicoli caricati aventi un peso pari a 108 tonnellate. Giganti capaci di minare le fondamenta di una struttura non adeguata e che dovrebbero viaggiare, come dice la parola stessa solo in via del tutto eccezionale, mentre nella realtà partono a migliaia ogni giorno grazie a una interpretazione “elastica” di una norma del Codice della strada. Perché così è l’Italia: fatte le leggi, se a qualcuno non vanno bene, le si interpreta… Ora il silenzio, come sempre avviene (a proposito, qualcuno ha più sentito parlare dopo il disastro ferroviario in Puglia della rete a binario unico?) rischia di scendere anche su questa vicenda.

Il motivo? Non esiste la volontà di coniugare la sicurezza con la competitività dei trasporti, come uno Stato civile dovrebbe invece assicurare. Ciò che sembra contare è che vi sia qualcuno che possa continuare a risparmiare sul costo del trasporto. Un automezzo a 108 tonnellate, anziché tre caricati con 40 tonnellate di merci ciascuno, vuol dire un grande risparmio per la committenza. Ma vuol dire anche moltiplicare il pericolo. Un allarme che qualcuno dovrebbe raccogliere prima che, malauguratamente, possa ripetersi una tragedia simile in futuro. Caso in cui nessuno potrebbe più dire, di fronte al magistrato inquirente e all’opinione pubblica,  che si “poteva non sapere”.

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