Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Piano flessibilità, Roma e UE al lavoro: il Mef spinge su Piano Juncker e PMI

L’Italia aggiorna il «piano flessibilità» per ottenere lo 0,3% della clausola investimenti e invia a Bruxelles un nuovo elenco di opere e interventi per ottenere il via libera della Commissione a maggio.

I 5.150 milioni di flessibilità richiesta diventano un programma da 10 miliardi se si aggiungono i finanziamenti Ue collegati. Nella lista inviata nei giorni scorsi la quota delle infrastrutture di trasporto sale a 3,7 miliardi (era 3,1 a ottobre scorso nel Def) e sarebbe formata in gran parte da interventi finanziati con fondi nazionali. Bruxelles conferma i contatti e il lavoro che stanno facendo insieme i servizi della Commissione con quelli del governo italiano. Obiettivo di palazzo Chigi è presentare un elenco di interventi che possano avere il via libera Ue anche allargando il perimetro degli interventi ammissibili al beneficio (che sulla carta sarebbero solo interventi effettivamente cofinanziati da Ue e Stato italiano).

Ma non c’è solo il «piano flessibilità». Le politiche per favorire la crescita sono in questo momento al centro dell’azione del Mef, in vista del varo annunciato di un pacchetto di nuove misure destinate al rafforzamento delle medie imprese, anche con forme di finanziamento non bancario, entro la primavera. Su questo fronte, in particolare, cominciano a circolare i primi particolari della proposta d’intervento per canalizzare il risparmio delle famiglie verso investimenti a sostegno della crescita dimensionale delle imprese italiane.

L’ipotesi al vaglio dei tecnici dell’Economia, dello Sviluppo economico e della Banca d’Italia, prevede una detassazione dei redditi da capitale generati da piani di risparmio a lungo termine (Prlt). Le somme che possono essere conferite in questi Prlt, costituiti con incarico a un intermediario finanziario, non dovrebbero superare i 10mila euro l’anno e dovrebbero avere una durata di almeno cinque anni per avere garantita la detassazione (vale ricordare che l’aliquota in vigore dal luglio 2014 su queste rendite è passato dal 20 al 26%).

Questi risparmi dovrebbero essere investiti per almeno due terzi in strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione emessi da imprese con fatturato fino a 300 milioni di euro o una capitalizzazione media inferiore a 500 milioni di euro. Ma è prevista anche la possibilità di sottoscrivere quote o azioni di organismi di investimento collettivo (Oicr) che investono per almeno due terzi dell’attivo negli stessi strumenti finanziari. Per evitare eccessive esposizioni al rischio si prevederebbe poi che non più del 10% delle risorse investite in un Prlt possa essere concentrato su un solo soggetto. Lo strumento si ispira a modelli già adottati in altri paesi europei, come i Plan d’Epargne en Actions (Pea) francesi.

Il nuovo pacchetto di misure, che potrebbe essere presentato sotto il nome «Finanza per la crescita 2.0», conterrebbe anche una nuova forma di detassazione degli utili reinvestiti in azienda, con una riedizione corretta della vecchia Tremonti-ter sugli investimenti incrementali, in una sorta di continuità con misure che sono risultati efficaci ma andranno a scadenza a fine anno quali la “nuova Sabatini” e il superammortamento al 140%.

Ultimo tassello del complesso programma per il rilancio degli investimenti è il Piano Juncker, che si articola nei diversi progretti finanziati tramite il Fondo Europeo per gli Investimenti . Sul sito della Bei l’elenco dei piani approvati è arrivato a sette e prevede interventi privati che spaziano dalla manifattura (Arvedi, Raffinerie Milazzo e Novamont) alle Tlc (con gli investimenti in banda ultralarga di Telecom) fino ai trasporti (Trenitalia e Grimaldi Euromed), le infrastrutturazioni energetiche (Rete Gas) . Nel loro complesso i primi sette programmi di investimenti già approvati hanno finanziamenti garantiti per circa un miliardo che mobilizzano investimenti totali per circa 4 miliardi.