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Per la prevenzione rilievi obbligatori e risorse

«Il Piano di prevenzione antisismica da 965 milioni di euro (in sette anni) lanciato nel 2009 è stato un importante primo passo, ma certo molto resta da fare. La strada giusta sarebbe prima di tutto introdurre l’obbligo di certificazione di sicurezza per tutti gli edifici, pubblici e privati, aiutando enti e privati nei costi per fare queste verifiche. Poi serve una forte scelta politica di incrementare le risorse pubbliche a disposizione, in termini di detrazioni fiscali e/o di contributi a fondo perduto. Infine serve una grande operazione culturale, per convincere gli italiani dell’importanza della spesa in prevenzione, e un supporto tecnico aggiuntivo ai piccoli Comuni, per la diagnosi e la progettazione degli interventi».

A ragionare insieme a noi è Gaetano Manfredi, uno dei massimi esperti in Italia di ingegneria sismica: ordinario di Tecnica delle costruzioni all’Università Federico II di Napoli, rettore della stessa università, presidente della Conferenza dei rettori e presidente del consorzio universitario Reluis, rete dei laboratori di ingegneria sismica che opera in stretto raccordo con la Protezione civile nazionale (il Reluis è ad esempio all’opera, dopo ogni terremoto, per i rilievi sulla agibilità degli edifici).

Professore, partiamo dal Piano di prevenzione di cui all’articolo 11 del decreto legge Abruzzo 2009, come lo valuta?

È stato il primo piano organico per la prevenzione sismica, con tre aspetti significativi. Finanziamenti per l’edilizia pubblica; contributi a fondo perduto per gli edifici privati, ed è stata la prima volta in assoluto che sono stati previsti; e fondi per la microzonazione, anche in questo caso la prima volta (indagini zona per zona sulla reazione dei terreni al sisma, ndr).

Detto questo, però, che bilancio si può fare dell’attuazione?

Criteri e linee guida sono fatti bene. Ad esempio, è positivo che si ammettano gli interventi di rafforzamento locale, è molto più efficace, per mitigare il rischio sismico, fare interventi più leggeri e meno costosi su molti edifici, piuttosto che concentrare le risorse su pochi interventi di adeguamento sismico (la categoria più elevata prevista dalle Norme tecniche per le costruzioni, ndr).
Certamente però l’attuazione ha mostrato dei limiti: spesso le risorse pubbliche non sono state spese, anche a causa dei vincoli del Patto di stabilità, magari nelle regioni che più ne avevano bisogno. Sul fronte degli edifici privati, poi, l’utilizzo è stato estremamente limitato, sia perché le Regioni hanno quasi sempre fissato la quota al minimo della forchetta, il 20% delle risorse piuttosto che il 40; sia perché poi le domande dei privati sono state poche.

E in termini di fabbisogno? I 965 milioni quale quota coprono le esigenze di messa in sicurezza nelle zone a rischio sismico 1 e 2?

Il Consiglio nazionale ingegneri stima il fabbisogno in 120 miliardi di euro, ma sono calcoli complessi, difficili da fare. L’ordine di grandezza comunque è quello.

Ora, professore, volendo potenziare il piano di prevenzione sismica, da dove dovremmo partire? All’estero, che si fa, nei paesi più sismici?

C’è una larga diffusione delle assicurazioni, ma in nessun paese con l’obbligo di sottoscriverla. Spesso c’è invece l’obbligo di certificazione sulla sicurezza dell’edificio, e questo poi ha impatto sul valore di mercato degli immobili e sul costo dell’assicurazione. Il primo punto importante sarebbe imporre la certificazione di sicurezza.

Quanto costerebbe?

I costi sono molto variabili, a seconda delle conoscenze che si hanno dell’edificio, se ci sono i progetti originari e degli interventi successivi. Se invece questo non c’è, se si devono fare prove o indagini su terreni o strutture, i costi salgono.
Di solito però i costi maggiori sono proprio sugli edifici più vecchi, costruiti prima delle norme antisismiche del 1974 o ancora più antichi. E qui i progetti non si recuperano …
Sì, è proprio così.

Facciamo un esempio con questa casistica, è possibile?

Diciamo che per un condominio di medie dimensioni, diciamo tre piani e quattro appartamenti per piano, il costo della certificazione sarebbe di 10-20mila euro.

Appartamenti quanto grandi, 100 mq?

Diciamo di sì, ma non sono tanto importanti i metri quadri, i rilievi si fanno sulle strutture, si devono fare su tutto l’edificio, non sulle singole unità immobiliari (nell’esempio, comunque, il costo della diagnosi sismica sarebbe di 830-1.660 euro per appartamento, ndr).

Si potrebbe immaginare di finanziare i privati per fare questa certificazione?

È una scelta politica, ma certo sarebbe una conseguenza della scelta di renderla obbligatoria. Si potrebbe incentivare la spesa, coprirla con la detrazione del 65%.
Se lo si impone e basta ci sono due rischi: che venga percepita come una tassa se imposto a tutti entro un termine ravvicinato, e che invece, se imposto solo al momento della vendita dell’immobile, diventi solo un pezzo di carta perché a parte le villette singole le analisi come dicevo vanno fatte su tutto l’edificio, e non sulle singole unità immobiliari.

Parliamo di prime o anche di seconde case?

Il 65% e il piano di prevenzione attualmente non coprono le seconde case, ma poi crollano anche quelle, magari con gli inquilini in affitto dentro, o addosso alle altre. E come dice lei l’esame va fatto su tutto l’edificio.
Sono d’accordo con lei, ma è delicata la scelta di finanziare con le risorse dei contribuenti le case comprate per le vacanze, o comunque le case dove non si abita stabilmente.

Perché sarebbe così importante l’obbligo di verificare la stabilità degli edifici, e certificarla?

Sarebbe importante per aprire gli occhi agli italiani. Nei sondaggi che periodicamente vengono fatti nei paesi a maggiore rischio calamità (terremoti, frane, alluvioni, vulcani…) viene sempre fuori che la percezione del rischio degli italiani è più bassa che in altri Paesi; sulla casa si spende molto, ma non per la sicurezza.
Dunque, primo punto sarebbe la certificazione obbligatoria, poi un incentivo economico forte per la certificazione e poi per gli interventi; e infine una grande operazione culturale per convincere gli italiani. La Protezione civile ha fatto la campagna “Io non rischio”, anche fatta bene, ma insomma … serve un salto di scala.
Circa le tipologie di interventi finanziabili, come dicevo, va bene anche il rafforzamento locale, può essere efficace, ma andrebbe definita una soglia minima di interventi (il livello di intervento, ndr), sennò c’è il rischio che gli interventi non siano efficaci.

Molto spesso le zone urbane a più alto rischio sono i centri storici, dove molti edifici sono costruiti uno sull’altro. Come regolarsi?

Sì, certamente, e come emerso dopo i terremoti in Umbria-Marche e all’Aquila bisogna ragionare, progettare gli interventi, per “aggregati edilizi”, sia per la ricostruzione che per la prevenzione. E come fatto per la ricostruzione, anche per gli interventi di prevenzione si potrebbe imporre il principio di maggioranza, cioè se una certa quota di proprietari (il 60%, due terzi…) decide di intervenire, la decisione diventa vincolante anche per gli altri.