Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Patti per il Sud, tre quarti degli interventi ad ambiente e infrastrutture

Ruolo chiave ai lavori pubblici nella spinta agli investimenti prevista dai Patti per il Sud, gli accordi quadro Stato-Regioni e Stato-Città metropolitane in corso di firma in queste settimane in attuazione al Masterplan per il Sud delineato dal governo nel novembre scorso.
Sei Patti sono stati firmati dal premier Matteo Renzi nei giorni scorsi, e gli altri nove sono quasi pronti (si prevede di chiuderli entro giugno). Nei primi sei firmati, su 20,2 miliardi di euro di investimenti previsti, il 35% riguardano infrastrutture di trasporto (7.032 milioni), il 27% opere ambientali, quali depuratori, interventi sulle reti idriche, opere anti-dissesto idrogeologico (5.446 milioni).
In tutto si arriva al 62% del totale, che però salgono al 78% considerando anche opere sui beni culturali, edilizia scolastica e sanitaria, riqualificazione urbana, anti-sismica sugli edifici.

I Patti per il Sud mettono insieme – in una programmazione Stato-Regioni e Stato-Città che rilancia e rafforza la programmazione negoziata inventata da Prodi e Ciampi nel 1996 – opere vecchie e nuove, e finanziamenti per il Sud dei più vari (Por, Fsc e Pac 2007-13, Por e Pon 2014-20, Fsc 14-20, programmi complementari, i Poc). La forte presenza di infrastrutture è frutto da una parte del “trascinamento” dei progetti Por 2007-13 portati “a scavalco” nella nuova programmazione, o prima ancora tolti da Por e Pon per metterli nei Pac di Fabrizio Barca, e dall’altra dalla scelta strategica fatta fin dal governo Monti togliere le infrastrutture (o ridurle fortemente) dai programmi Fesr 2014-20, per finanziarle con i fondi nazionali di coesione, e cioè i programmi complementari e l’Fsc 2014-2020.

I numeri per l’edilizia

I Patti per il Sud, strumento che rilancia la “programmazione negoziata” inventata da Prodi e Ciampi nel 1996 e la rafforza con i controlli dell’Agenzia di coesione e le sanzioni per le indampienze, programmano oltre ai Fondi coesione 2014-20 anche i programmi complementari (paralleli ai Por e Pon 2014-20). E nel far questo si conferma la scelta strategica già delineata da Fabrizio Barca e il suo successore Carlo Trigilia: trasferire il finanziamento alle infrastrutture in gran parte su fondi nazionali (Fsc e programmi paralleli) per evitare di finire in affanno con i termini inderogabili fissati dai programmi europei, come accaduto nel periodo 2007-2013.

Dunque: nei programmi Ue soprattutto ricerca, incentivi alle imprese, inclusione sociale, istruzione, che hanno spesa più rapida; e nei programmi DI coesione nazionale le infrastrutture, l’ambiente, le opere urbane, che hanno tempi lunghi.

I numeri parlano chiaro. Le elaborazioni Ance sui programmi Fesr 2014-20 indicano che solo il 33% dei fondi dei Por regionali riguardano (anche indirettamente) edilizia e infrastrutture, e solo il 21% dei fondi dei Pon nazionali. In parte si tratta fra l’altro di progetti “a cavallo”, cioè già avviati con la programmazione 2007-13 e spostati su quella 2014-20 per completarli. Progetti che dunque hanno ora il vantaggio di garantire un “tiraggio” effettivo elevato fin da subito, cosa mai vista nei programmi europei.

Le proporzioni tra infrastrutture e fondi per imprese-sviluppo si ribaltano nella programmazione dei fondi coesione nazionali, l’Fsc e i 7,6 miliardi tolti dal co-finanziamento di Por e Pon e che finiranno nei “programmi complementari” (Poc). I numeri si chiariranno da qui alla fine dell’anno (queste le previsioni), ma già adesso il trend è chiaro. Nel Poc Campania approvato dal Cipe il 1° maggio (il primo completo, dopo lo “stralcio” Sicilia nel dicembre scorso) su 1.236 milioni di euro la quota alle infrastrutture (trasporti, ambiente, beni culturali, città) è pari al 73% del totale.

Nei sei Patti per il Sud già firmati (Regioni Campania, Calabria e Basilicata, città metropolitane di Reggio Calabria, Catania, Palermo), su 20,2 miliardi di euro di investimenti previsti (di cui 5,3 miliardi dall’Fsc), il 35% riguardano infrastrutture di trasporto (7.032 milioni), il 27% opere ambientali, quali depuratori, interventi sulle reti idriche, opere anti-dissesto idrogeologico (5.446 milioni). In tutto si arriva al 62% del totale, che però salgono al 78% considerando anche opere sui beni culturali, edilizia scolastica e sanitaria, riqualificazione urbana, anti-sismica sugli edifici.
Insomma, si viaggia sui tre quarti circa del finanziamento destinati ai lavori pubblici, il che significherebbe 27-30 miliardi di euro dai Patti per il Sud e circa 5 miliardi dai programmi complementari. Le cifre vanno maneggiate con cura, sia perché si tratta di proiezioni, sia perché i Patti programmano anche interventi già previsti nei Por e Pon 2014-20.

Comunque la scelta sulle infrastrutture c’è, forte e chiara, e si intravvede anche uno sforzo di programmazione unitaria nazionale, più che in passato. Il rischio però, visto che i fondi coesione nazionale non hanno scadenze, è che questi interventi poi non si facciano mai, o comunque non si facciamo ai ritmi previsti, e dunque di fatto la spesa effettiva annua per infrastrutture sia inferiore a quanto immaginato. Facciamo un esempio: a fine 2011 Barca spostò la Napoli-Bari ad alta capacità dai programmi Ue 2007-13 al Pac (piano azione e coesione, risorse nazionali), ma a distanza di quattro anni e mezzo non sono ancora arrivati i bandi di gara per le prime tratte già allora finanziate. Altro esempio: nei Patti per il Sud c’è una forte iniezione di fondi per le opere anti-dissesto idrogeologico, dovrebbero essere 1,5 miliardi di euro sui 13,4 di Fsc programmati dai Patti. Ma la definizione delle opere e dei progetti è ancora in alto mare, e la spesa prevista nei primi due anni è irrisoria.

Lo strumento «patti per il sud»

Lo strumento del Patto per il Mezzogiorno non è previsto in nessuna legge né altro provvedimento ufficiale di governo, ma solo nel documento chiamato “Masterplan per il Mezzogiorno”. Tuttavia – spiegano a Palazzo Chigi – la sua struttura richiama gli «accordi di programma quadro» (Apq) della legge Finanziaria 1997 (legge 662/1996), nell’ambito degli strumenti di programmazione negoziata Stato-Regioni, allora inventati dalla coppia Prodi (premier) e Ciampi (ministro del Tesoro).

Nella sostanza l’obiettivo dell’attuale governo (il premier Renzi e il sottosegretario con delega ai fondi coesione Claudio De Vincenti sono gli artefici politici dell’operazione, con il lavoro tecnico svolto dal Dipartimento per le politiche di coesione di Palazzo Chigi, l’ex Dps) è innovativo e ambizioso, soprattutto se confrontato con le ultime programmazioni, fatte di eccessiva autonomia regionale, frammentazione di interventi e pochi controlli. Da una parte coordinare molto più di quanto fatto in passato, anche nel 2007-13, i programmi statali e regionali finanziati dai vari fondi per le aree in ritardo di sviluppo.

E dall’altra – sempre rispetto al passato – una più stringente definizione di cronoprogrammi e impegni reciproci di Stato e Regioni, con una “cabina di controllo” (costruita soprattutto sul lavoro dell’Agenzia di coesione, altra novità della programmazione 2014-2020) che verifichi l’attuazione del Patto e consenta l’applicazione delle previste sanzioni (revoca di fondi) in caso di inadempienza. Circa i contenuti, i Patti definiscono gli investimenti strategici nazionali, che però hanno collocazione e impatto su singole regioni. Facciamo un esempio: incrementare il trasporto urbano su ferro, o combattere il dissesto idrogeologico, sono priorità nazionali, ma poi le singole opere sono regionali, previste nei Patti. L’alta velocità Napoli-Bari, invece, è interregionale, fuori dai Patti.

Nei fatti l’operazione è ancora un work in progress. Molti capitoli di spesa sono solo indicati come obiettivo e come cifra, come quelli per le opere anti dissesto idrogeologico, e di conseguenza non c’è ancora né la lista delle opere né il cronoprogramma, a cui sta lavorando la struttura di missione di Palazzo Chigi insieme alle Regioni. E comunque l’assegnazione dei fondi Fsc 2014-20 dovrà passare per delibere Cipe. Per ora le uniche indicazioni riguardano la spesa da fare nel primo biennio, e a parte la Campania negli altri Patti firmati la quota è molto bassa, al massimo il 10% (con questo ritmo ci vorranno dieci anni per attuare i Patti).