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Pagamenti PA: lavori liquidati dopo 166 giorni

Le imprese di costruzioni devono ancora ricevere otto miliardi di euro di pagamenti arretrati. Lo dice l’ultimo rapporto semestrale a cura del centro studi dell’Ance, redatto al termine di un’indagine condotta presso un campione di imprese. L’associazione nazionale dei costruttori ha infatti il ruolo di “Rapporteur” alla Commissione europea sulla materia.
Il rapporto Ance – relativo al secondo semestre del 2015 – ha un’unica notizia appena positiva: tra luglio e dicembre 2015, il ritardo medio dei pagamenti della pubblica amministrazione per i lavori pubblici è stato pari a 106 giorni, 11 giorni in meno rispetto alla media del semestre precedente. Peccato che il tempo limite per i pagamenti sia di massimo 60 giorni (termine introdotto dalle norme comunitarie e entrato in vigore a partire dal 1° gennaio 2013). Pertanto il tempo medio per essere liquidati è complessivamente pari a 166 giorni, cioè 5 mesi e mezzo.
Ma ecco i principali elementi contenuti nel report Ance. Nel semestre 2015, il 78% delle imprese registra ancora ritardi nei pagamenti della PA. Il volume dei ritardi è stimato in 8 miliardi di euro. A causa dei ritardi circa una impresa su due ritarda a sua volta il pagamento ai fornitori (54% del campione) e riduce gli investimenti (43%), una su quattro (25%) riduce il numero dei dipendenti. La causa principale del ritardo (75% dei casi) è il limite al patto di stabilità. I comuni (nel 74% dei casi) rappresentano le PA più ritardatarie.

I “trucchetti” della PA per non pagare puntuale

Proprio l’entrata in vigore delle norme comunitarie (dal 1 gennaio 2013) ha prodotto, in alcune amministrazioni, alcune pratiche volte ad aggirare l’obbligo di legge. Un primo espediente è quello di ritardare l’emissione del “sal”, cioè lo “stato di avanzamento lavori” (contando sul fatto che i tempi di pagamento vengono computati dal giorno della sua emissione). La PA sfrutta massicciamente questa possibilità perché il codice appalti non impone espressamente limiti temporali per emettere il “sal”. Il secondo “trucchetto” è invece quello di imposte nel contratto di appalto clausole volte ad accettare termini di pagamento oltre le scadenze di legge. In questo caso il “trucchetto” rappresenta un evidente illecito.

Patto di stabilità, causa principale dei ritardo nei pagamenti

Dall’analisi dell’Ance emerge inoltre che la causa principale del ritardo è legata ai limiti imposti dal patto di stabilità. Ecco, più in dettaglio, la classifica delle cause dei ritardi, in ordine decrescente: patto di stabilità interno per regioni ed enti locali (segnalato dal 75% delle imprese intervistate); trasferimento di fondi da altre amministrazioni alle stazioni appaltanti (59%); tempi lunghi di emissione del mandato di pagamento da parte della stazione appaltante (50%); mancanza di risorse di cassa dell’Ente (46%); ritardo nell’emissione del certificato di pagamento da parte della stazione appaltante (44%).
«Nei prossimi mesi – commenta l’Ance – le misure contenute nella Legge di stabilità per il 2016, relative al superamento patto di stabilità interno, dovrebbero consentire di conseguire un ulteriore miglioramento dei tempi di pagamento nel settore e di ridurre ulteriormente l’importo dei pagamenti arretrati».

Gli enti locali sono i peggiori pagatori

I principali enti responsabili dei ritardi continuano ad essere gli enti locali, in particolare i comuni. «Nel secondo semestre 2015, il 74% delle imprese segnala ritardi da parte dei Comuni – si legge nel rapporto -. Le Province e le Regioni sono inoltre indicate come responsabili di ritardi rispettivamente dal 52% e dal 34% delle imprese. Nei prossimi mesi, il peso degli enti territoriali dovrebbe diminuire come conseguenza del superamento del Patto di stabilità interno contenuto nella Legge di Stabilità per il 2016».

L’impresa che resta a secco bussa alle porte della banca

Un ritardo nei pagamenti così generalizzato si porta dietro una serie di conseguenze che impattano sia sulla singola impresa sia, soprattutto, sull’economia nazionale.
La soluzione preferita dalle imprese è quella del ricorso a strumenti finanziari. «Nel secondo semestre 2015 – si legge nel rapporto – la maggiore parte delle imprese (il 67%) ha chiesto un anticipo di fatture in banca. Un quarto delle imprese (il 24%) ha richiesto un finanziamento a breve ed il 23% ha chiesto uno scoperto in banca».
All’ultimo posto, invece, ci sono le soluzioni governative della cessione del credito (previste a partire dal decreto legge n.35/2013). «Le operazioni di cessione del credito (“pro soluto” e “pro solvendo”) rimangono sugli stessi livelli degli ultimi tre anni, interessando meno di un quinto delle imprese (rispettivamente il 9% ed il 14%). I costi di questi strumenti finanziari sono interamente sopportati dalle imprese, con conseguente riduzione dei margini e aumento della situazione di debolezza finanziaria. Anche per questo motivo, le imprese fanno sempre maggiore ricorso all’autofinanziamento (il 32%)». Come mai le imprese snobbano gli strumenti per la certificazione del credito? Per vari motivi, risponde l’ufficio studi dell’Ance. Il primo motivo è che l’impresa ha storicamente utilizzato lo strumento dell’anticipazione e, dunque, prosegue su questa strada più familiare. Il secondo motivo sta nella complessità della procedura della certificazione (e del suo costo), cui si aggiunge la difficoltà di trovare un istituto disponibile ad acquistare il credito. Per quanto riguarda in particolare la formula della cessione “pro soluto” (comunque meno frequente della formula “pro solvendo”) c’è una barriera in più: la possibilità che la stazione appaltante revochi il pagamento contestando all’impresa che il lavoro non è stato eseguito a regola d’arte.

Poco utilizzata la piattaforma del ministero dell’Economia

«In questo contesto – aggiunge il report – è opportuno sottolineare che la certificazione del credito attraverso la piattaforma del Ministero dell’Economia e delle Finanze è stata poco utilizzata dalle imprese: meno della metà delle imprese (il 42%) che hanno risposto all’indagine Ance hanno utilizzato almeno una volta lo strumento». «Inoltre, in più della metà dei casi, l’impresa ha chiesto la certificazione per effettuare operazioni che, in passato, sono sempre state effettuate senza la richiesta di certificazione elettronica, ad esempio per realizzare un’anticipazione del credito in banca o semplicemente per disporre di un documento che attesta il debito della Pubblica Amministrazione».

Ance: la zavorra pagamenti frena gli investimenti

Sulla base di questi elementi i costruttori rilanciano l’allarme “sistemico” legato alla zavorra dei pagamenti arretrati (e alle inadempienze che ne sono la causa). «Il permanere di una diffusa situazione di difficoltà nei pagamenti della Pubblica Amministrazione alle imprese di costruzioni – sottolinea l’Ance – rappresenta un fattore di rischio nella strategia di rilancio delle politiche infrastrutturali, avviata dal Governo e recentemente rafforzata con la Legge di stabilità per il 2016».

Sull’Italia pende una procedura di infrazione

L’Ance ricorda infine che nei confronti dell’Italia è stata aperta una procedura di infrazione da parte dell’Europa, che sta facendo il suo corso. La procedura di infrazione è stata aperta nel giugno del 2014, a distanza di un anno e mezzo dall’entrata in vigore delle norme europee sui pagamenti (gennaio 2013). E ora, dopo un altro anno e mezzo, siamo arrivati al punto in cui la commissione europea dovrà prendere una decisione sul “caso Italia”, nel caso prevedendo sanzioni. Peraltro, il monitoraggio del ministero dell’Economia sui ritardi dei pagamenti, è rimasto fermo al 20 luglio 2015.