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Ora bisogna accelerare gli investimenti

Per il secondo anno consecutivo, il totale dei lavori messi in gara in Italia supera la soglia dei 26 miliardi, confermando, dopo il boom del +51% del 2014 e la sostanziale tenuta del 2015, che i tempi più bui per il mercato dei lavori pubblici si stanno allontanando. 

In particolare, il biennio 2012-2013 quando si toccò prima il dato di 22,3 miliardi, poi il fondo con 18,6 miliardi. Nel dato 2015 va preso in considerazione lo sprint finale di dicembre, mese in cui si è raggiunto un importo record (per altro ancora provvisorio) di 6,2 miliardi, a conferma di un secondo semestre in forte crescita. Ovviamente i bandi di gara sono un indicatore della domanda e non un consuntivo di spesa: resta quindi l’urgenza di tramutare in cantieri la ritrovata disponibilità a investire delle pubbliche amministrazioni. 

 Possiamo dire che, al netto di alcuni mali italiani molto gravi e difficili da curare in tempi rapidi – come la carenza di progetti di qualità nelle pubbliche amministrazioni e l’eccesso di burocrazia nelle procedure autorizzative – il 2016 comincia quindi sotto i migliori auspici sul fronte degli investimenti pubblici. La legge di stabilità ha introdotto tre elementi che possono invertire finalmente la tendenza, che dura da sette anni, di una lenta e inesorabile riduzione della spesa in conto capitale delle pubbliche amministrazioni. Le tre novità sono rilevanti, anche se ora la sfida è riuscire a trarne il meglio in termini di attuazione e di risultati concreti: 

1) sul versante della programmazione si inizia a respirare un’aria nuova e si cominciano a vedere alcune novità importanti: c’è un seppur lieve aumento degli stanziamenti di competenza destinati ai lavori pubblici nel 2016, c’è una maggiore stabilità di risorse nel tempo per grandi investitori come Anas e Fs e soprattutto ci sono maggiori chiarezze sulla programmazione infrastrutturale che il ministro Graziano Delrio, e più in generale il governo, si stanno sforzando di aggiornare con la definizione di priorità chiare (per esempio il dissesto idrogeologico, la manutenzione ferroviaria e stradale, l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio pubblico, l’edilizia scolastica e ora la riqualificazione delle periferie); dopo il fallimento della legge obiettivo e gli anni dell’austerity, è, per capirci, il primo tentativo di rimettere in moto la macchina e dargli una direzione di marcia – investimenti più leggeri ma anche più utili – coerente e compatibile con il bilancio pubblico; 

2) la legge di stabilità 2016 ha inferto un duro – e ci si augura definitivo – colpo allo «stupido» patto di stabilità interno che frenava la spesa in conto capitale dei comuni senza riuscire a fermare la spesa corrente, con il risultato che negli anni passati per controbilanciare una spesa corrente crescente e rispettare i vincoli di bilancio, si sono tagliati pesantemente, e in molti casi azzerati, gli investimenti degli enti locali: i dati 2015 sui bandi di gara, che confermano quelli ottimi del 2014, relativi ai comuni ci dicono che la graduale uscita dal patto di stabilità e il pagamento degli arretrati dovuti dalle PA alle imprese hanno prodotto i primi risultati positivi liberando risorse per i nuovi investimenti dei comuni e dello loro società controllate; 

3) la novità più importante della legge di stabilità è però la disponibilità “accelerata” di cassa che ci dà la clausola di flessibilità degli investimenti. Vale 4,5 miliardi di cofinanziamenti Ue in senso stretto ma arriverà a oltre 11 miliardi che a questo punto anche Bruxelles ci impone di spendere per evitare contraccolpi sull’approvazione del bilancio. 

La vera partita è quindi ora se le amministrazioni pubbliche, messe nelle condizioni di farlo, saranno davvero capaci di spendere. La virtù, che un tempo era nell’austerità, oggi è nella capacità di investire. 

Restano due nodi importanti da sciogliere. Il primo è un fondo rotativo per finanziare la progettazione: è l’unico modo per consentire alle PA di formarsi un parco progetti davvero cantierabili e al tempo stesso di qualità. 

Il secondo è la certezza di regole che favoriscano trasparenza, legalità, concorrenza leale e un riordino del settore appalti – a partire dalla qualificazione di stazioni appaltanti e imprese – in chiave di risultato e di efficienza. La riforma degli appalti che affida la regolazione all’Anac di Raffaele Cantone garantisce tutto questo e, con questo, l’accelerazione della ripresa del settore. Al Senato spetta ora chiudere la partita senza ulteriori meline.