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Nuovo Codice: subappalto libero senza tetto del 30%

La disciplina del subappalto è uno dei profili del Decreto delegato di riforma del Codice dei contratti pubblici approvato dal Consiglio dei ministri in prima lettura che ha suscitato maggiore attenzione e anche numerose posizioni critiche.

Alcuni aspetti della nuova disciplina – contenuta nell’articolo 105 del Decreto – confermano l’impostazione della normativa vigente, senza particolari innovazioni. Resta quindi valido il regime autorizzatorio, che comporta l’obbligo di preventiva autorizzazione dell’ente appaltante ai fini del ricorso al subappalto; viene confermato il divieto del subappalto a cascata; è ribadito l’obbligo per l’appaltatore di praticare nei confronti del subappaltatore gli stessi prezzi unitari risultanti dall’aggiudicazione con un ribasso non superiore al 20%; vengono replicate le disposizioni in tema di osservanza dei trattamenti economici e normativi stabiliti dalla contrattazione collettiva e di responsabilità solidale dell’appaltatore nei confronti dei dipendenti dei subappaltatori; sono ribadite le disposizioni in materia di coordinamento dei piani di sicurezza predisposti dai subappaltatori i tra loro e con il piano di sicurezza dell’appaltatore.

L’attenzione va invece concentrata su alcuni aspetti per i quali le innovazioni proposte sono significative: limiti e condizioni per il ricorso al subappalto, contratti similari, pagamento diretto dei subappaltatori.

LIMITI AL RICORSO AL SUBAPPALTO È l’aspetto su cui da subito si è concentrata l’attenzione degli operatori (e anche le relative polemiche). In particolare, si è parlato di una vera e propria liberalizzazione del subappalto, in relazione al fatto che non sarebbe più previsto il limite massimo del 30% con riferimento ai lavori della categoria prevalente.

In realtà un’analisi puntuale del testo dell’articolo 105 fa emergere una situazione decisamente più articolata.
Il comma 1 si apre con un’affermazione di principio, secondo cui di norma l’affidatario deve eseguire in proprio le prestazioni (lavori, servizi o forniture) oggetto del contratto. Si tratta di un’affermazione attenuata rispetto a quanto attualmente previsto al comma 1 dell’articolo 118 del D.lgs. 163/2006, dove viene stabilito che gli affidatari “sono tenuti” ad eseguire in proprio le prestazioni del contratto.
Al di là di questa diversità di formulazione, ciò che va evidenziato è che l’affermazione di principio viene subito dopo ridimensionata attraverso una previsione che sembra privarla di contenuto concreto, essendo stabilito che è comunque ammesso il subappalto, secondo le disposizioni contenute nel medesimo articolo 105.

Il punto cruciale è tuttavia indicato al successivo comma 4. Esso infatti stabilisce alcune condizioni per il ricorso al subappalto, tra le quali assume rilievo primario quella secondo cui la facoltà di subappalto deve essere stata espressamente prevista nel bando di gara, anche limitatamente ad alcune prestazioni o ad alcune categorie di lavorazioni. Ciò significa che la decisione ultima se consentire il subappalto e, in caso affermativo, per quali tipologie di prestazioni (e in particolare per quali categorie di lavori) è rimessa alla scelta discrezionale dell’ente appaltante.

Si tratta di un cambio di indirizzo radicale rispetto alla normativa vigente. Attualmente è infatti previsto che l’ente appaltante debba indicare, relativamente ai lavori, la categoria prevalente e le ulteriori categorie e la normativa secondaria – contenuta nel DPR 207/2011 – indica poi le lavorazioni subappaltabili. Il quadro normativo è quindi compiuto, e non lascia spazio all’ente appaltante in merito alla scelta se consentire o meno il subappalto.
Detto altrimenti, in nessuna previsione della disciplina vigente c’è il riconoscimento che la facoltà di subappalto resta condizionata a un’espressa previsione in tal senso del bando di gara, formulazione che invece si ritrova nel testo del nuovo Decreto e che lascia intendere che sia l’ente appaltante a dover assumere una decisione al riguardo.

Occorre tener conto che mancano le linee guida dell’Anac (che sono destinate a sostituire la disciplina regolamentare), circostanza che non consente di avere ancora un quadro completo in merito alla regolamentazione del subappalto. Tuttavia costituisce un dato oggettivo che la nuova norma condiziona il ricorso al subappalto a un’espressa previsione del bando di gara, espressione di una scelta discrezionale dell’ente appaltante, circostanza del tutto assente nell’attuale disciplina.

In questo contesto viene poi precisato che tutte le prestazioni e tutte le lavorazioni sono subappaltabili, senza più alcun limite quantitativo neanche per quelle relative alla categoria prevalente. L’unico limite è previsto per le lavorazioni appartenenti alle categorie superspecialistiche (dovendosi intendere il riferimento al comma 11 dell’articolo 89 e non al comma 10) ed è stabilito nel 30% dell’importo di dette lavorazioni.

In definitiva, sembra delinearsi un quadro in cui la liberalizzazione del subappalto, intesa come possibilità di subappaltare tutte le prestazioni o lavorazioni nella loro totalità, esce ridimensionata, sussistendo solo nella misura in cui l’ente appaltante abbia deciso in questo senso.
Di contro, sembra possibile che lo stesso ente appaltante, nell’ambito delle proprie valutazioni discrezionali, decida di limitare il ricorso al subappalto solo a determinate prestazioni/lavorazioni o, in linea teorica, anche di escluderlo del tutto.

CONDIZIONI PER L’UTILIZZO Oltre che all’espressa previsione nel bando di gara, la possibilità di ricorrere al subappalto è sottoposta ad altre condizioni.
La prima è la previa indicazione in sede di offerta delle previsioni/lavorazioni che si intendono subappaltare.
La seconda è che l’appaltatore dimostri la sussistenza in capo al subappaltatore dei requisiti generali. Tali dimostrazione avviene tramite autodichiarazione del subappaltatore che deve essere depositata unitamente al contratto di subappalto al momento dell’istanza di autorizzazione, fermo restando che la stessa deve essere oggetto di successiva verifica da parte dell’ente appaltante, considerata la previsione del comma 12 che impone la sostituzione dei subappaltatori per i quali tale verifica abbia dato esito negativo. Quanto ai requisiti speciali, il loro possesso in capo al subappaltatore deve essere certificato – non essendo quindi sufficiente l’autodichiarazione – in sede di deposito del contratto di appalto.

Queste condizioni sono sostanzialmente analoghe a quelle indicate dalla normativa vigente. L’elemento di novità è invece costituito dall’indicazione dei nominativi della terna di subappaltatori, che viene resa obbligatoria per gli appalti di importo superiore alla soglia comunitaria per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione. In tutti gli altri casi tale indicazione non è obbligatoria, ma gli enti appaltanti la possono richiedere dandone esplicita indicazione nel bando di gara.
Viene quindi risolta in questo modo una questione che in relazione alla normativa vigente si era posta con rifermento al cosìddetto subappalto necessario. Una giurisprudenza divenuta nel tempo prevalente aveva infatti ritenuto che qualora il concorrente non fosse di per sé in possesso dei requisiti di qualificazione necessari per l’esecuzione dei lavori rientranti nella categoria scorporabile a qualificazione obbligatoria e dovesse quindi necessariamente procedere al subappalto degli stessi, la dichiarazione di subappalto da rendere in sede di offerta non potesse limitarsi alla mera volontà di affidare le suddette lavorazioni in subappalto, ma doveva essere accompagnata dall’indicazione dell’impresa subappaltatrice e dalla dimostrazione del possesso dei relativi requisiti di qualificazione da parte di quest’ultima. Ciò per colmare il deficit di qualificazione in capo all’appaltatore.
Questa interpretazione è stata in realtà respinta dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la pronuncia n.9 del 2 novembre 2015.

Nel Decreto di riforma l’obbligo di indicazione dei subappaltatori (una terna) viene invece introdotto, svincolandolo tuttavia dal profilo della qualificazione e ancorandolo unicamente all’importo dei lavori.
Si tratta di una scelta difficilmente comprensibile. Se infatti l’indicazione dei nominativi dei subappaltatori nell’ipotesi del subappalto necessario, per quanto discutibile, poteva avere una sua coerenza in quanto diretta appunto a colmare un difetto di qualificazione in capo all’appaltatore, prevedere tale indicazione in relazione a un dato meramente quantitativo – l’importo dei lavori – non sembra rispondere ad alcuna logica. E ciò senza contare i problemi operativi che possono sorgere in fase esecutiva nell’ipotesi in cui i subappaltatori originariamente indicati non siano più disponibili, per le più svariate ragioni, ad assumere questo ruolo al momento dell’effettiva esecuzione dei lavori oggetto di subappalto.

Va infine evidenziato che resta di contenuto incerto la previsione secondo cui l’obbligo di indicazione dei nominativi dei subappaltatori non opera nell’ipotesi in cui – pur trattandosi di lavori di importo superiore alla soglia comunitaria – gli stessi necessitino di una particolare specializzazione, indicazione che resta del tutto generica e di non agevole interpretazione.

I CONTRATTI SIMILARI Poche le novità in tema di contratti similari. Vanno considerati tali i contratti di importo superiore al 2% dell’importo complessivo dell’appalto o comunque di importo superiore a 100.000 euro qualora l’incidenza della manodopera sia superiore al 50% dell’importo del contratto stesso (comma 1). Ne deriva che mentre i contratti similari aventi le indicate caratteristiche sono soggetti ad autorizzazione, quelli che – pur avendo i medesimi caratteri strutturali – non rispettino i parametri indicati in relazione all’importo o all’incidenza della manodopera non devono essere autorizzati.

Viene poi ribadita la previsione secondo cui per i subappalti di importo inferiore al 2% dell’importo dell’appalto i termini per il rilascio dell’autorizzazione sono dimezzati (comma 18). E’ evidente che tale disposizione prefigura l’esistenza di subaffidamenti di prestazioni che, pur essendo di importo inferiore al 2%, non possono essere confusi con i contratti similari. Essi, infatti, hanno le caratteristiche di veri e propri subappalti (e non di contratti similari), – configurandosi quindi come subaffidamenti di lavori in senso proprio – e come tali sono sempre soggetti al regime autorizzatorio, con la sola particolarità che il termine per il rilascio dell’autorizzazione è ridotto alla metà rispetto all’ipotesi ordinaria.

Infine, per tutti i subaffidamenti – anche se non soggetti ad autorizzazione – vi è l’obbligo per l’appaltatore di comunicare all’ente appaltante il nominativo del subcontraente, l’importo e l’oggetto del contratto (comma 2).

Infine, non sono comunque subappalti, per esplicita indicazione contenuta al comma 3: a) l’affidamento di attività specifiche a favore di lavoratori autonomi; b) la subfornitura a catalogo di prodotti informatici; c) l’affidamento di servizi di importo inferiore a 20.000 euro annui a imprenditori agricoli nei comuni totalmente montani.

IL PAGAMENTO DIRETTO DEI SUBAPPALTATORI Significative sono le novità in tema di pagamento diretto dei subappaltatori, contenute nel comma 13.
Il pagamento diretto viene reso obbligatorio in tre casi:
a) quando il subappaltatore è una microimpresa (meno di dieci dipendenti e fatturato inferiore a 2 milioni annui) o una piccola impresa (meno di cinquanta dipendenti e fatturato inferiore a 10 milioni annui);
b) in caso di inadempimento dell’appaltatore;
c) su richiesta del subappaltatore, se la natura del contratto lo consente.

Resta peraltro indefinito quando si possa configurare l’inadempimento dell’appaltatore che fa scattare l’obbligo di pagamento diretto dei subappaltatori e in base a quali caratteristiche si può ritenere che la natura del contratto consenta tale pagamento diretto, entrambi profili su cui residuano molti margini di valutazione discrezionale.

Rispetto alla disciplina vigente l’opzione del pagamento diretto dei subappaltatori non è più quindi legata alle determinazioni del singolo ente appaltante, venendo quindi meno anche l’obbligo di darne preventiva evidenza nel bando di gara. Nel contempo, non sono più previste quelle ipotesi specifiche di pagamento diretto attualmente contemplate dall’articolo 118 e legate a situazioni particolari, quali la sottoposizione dell’appaltatore al concordato preventivo con continuità aziendale o la crisi di liquidità dello stesso comprovata da reiterati ritardi nei pagamenti dei subappaltatori.