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Metro C: ritardi, sprechi e costi record, ecco le colpe della politica

«Anomala, illegale, rovinosa»: la Corte dei conti ha fotografato così la scandalosa vicenda della metro C, una lunga odissea di sprechi, ritardi e spese record all’ombra del Colosseo. L’opera è ancora incompiuta dopo più di dieci anni di lavori stop and go, il progetto iniziale prevedeva un tragitto di 25,6 chilometri e 30 stazioni per tagliare in due la città da Montecompatri, periferia est della Capitale, fino a Ottaviano, quartiere Prati.

Addirittura, in una conferenza stampa convocata in tutta fretta sabato 24 marzo del 2007 alle 8 del mattino, Walter Veltroni, allora sindaco, si spinse oltre: «Entro giungo 2015 la metro C arriverà a Grottarossa», snocciolando un faraonico progetto che prevedeva anche un doppio attraversamento del Tevere. A oggi le stazioni realizzate sono 21, la linea si ferma a piazza Lodi, quartiere San Giovanni, e i lavori sono finanziati (forse in maniera anche insufficiente) solo fino al Colosseo (consegna prevista nel 2020).

Il prolungamento fino a Grottarossa è capitolo chiuso, morto e sepolto, ma anche il centralissimo tratto piazza Venezia-Ottaviano sembra destinato a restare un bel sogno irrealizzato: l’appalto sarà annullato se entro fine anno non escono fuori i soldi per la progettazione. Nel frattempo i costi sono lievitati dai 3,047 miliardi dell’aggiudicazione definitiva, fino ai 3,59 già impegnati per una linea monca e che probabilmente richiederà nuove iniezioni di soldi pubblici per il completamento anche della sola versione accorciata.

E dietro gli intoppi burocratici, le liti giudiziarie, i generosi aggiustamenti di spesa concessi a vantaggio del consorzio di imprese appaltatrici (Astaldi, Vianini-Caltagirone, Ansaldo-Finmeccanica, Coop Braccianti Modena e Carpi e Consorzio Cooperative Costruzioni) , si intravede in controluce la trama di un grande accordo politico bipartisan che per anni ha garantito la spartizione della torta. «Quando fummo chiamati per partecipare alla gara con un consorzio di imprese, il messaggio ci venne recapitato chiaramente» racconta un dirigente dell’epoca delle coop rosse emiliane, oggi in pensione, chiedendo l’anonimato, «dovete allearvi con Caltagirone. Così la copertura sarà totale, dal centrodestra (all’epoca il centrista Pier Ferdinando Casini era politicamente forte ed era genero di Caltagirone, ndr) al centrosinistra appunto grazie a noi, con Finmeccanica che dava una sorta di imprimatur istituzionale alla cordata. Ci dissero che così il Consorzio non avrebbe mai avuto problemi con la pubblica amministrazione, saremmo rimasti al riparo da qualsiasi cambiamento di vento in Campidoglio». E così fu.

Il consorzio Metro C vinse la gara nel 2006, ai tempi di Veltroni sindaco, e negli anni a seguire riuscì a ottenere rimborsi per extra costi per centinaia di migliaia di euro con qualsiasi giunta e di qualsiasi colore, tanto che la Corte dei conti ha inviato “l’invito a dedurre” (l’equivalente dell’avviso di garanzia del processo penale) non solo a un lungo elenco di dirigenti e funzionari pubblici e privati, ma anche agli ex sindaci Gianni Alemanno e Ignazio Marino, a conferma dell’asse bipartisan coinvolto in questa brutta storia. La composizione politica della cordata non era comunque l’unica garanzia offerta alle imprese. «Ci spiegarono che l’appalto sarebbe stato gestito da una società costituita ad hoc dal Comune (Roma Metropolitane, ndr)» prosegue l’ex dirigente del mondo cooperativo, «ciò avrebbe semplificato le procedure e avremmo avuto rapporti diretti solo con il management di questa società, bypassando la politica».

Roma Metropolitane è oggi al centro della bufera. La sindaca Virginia Raggi ha annunciato la liquidazione della società accusandola di aver contribuito a sprechi e ritardi, contestazioni rese esplicite dalla Corte dei conti. Secondo la procura contabile, Roma Metropolitane avrebbe agito «nell’interesse dell’appaltatore» . Il meccanismo è stato sviscerato ormai in tutti i dettagli. Roma Metrpolitane, secondo i magistrati contabili, ha approvato ben 45 varianti di progetto riconoscendo gli extra costi a Metro C spesso senza preventiva autorizzazione dell’ente finanziatore, cioè il Campidoglio. E – più in generale – nel corso degli anni avrebbe rinunciato a esercitare una funzione reale di controllo sull’operato di Metro C, accettando in più tranche «accordi bonari» e «transazioni economiche» garantendo al consorzio privato somme non dovute secondo il bando di gara. Inoltre, Roma Metropolitane sarebbe stata «acquiescente avverso le più varie ed ingiuste pretese di Metro C». Modalità di gestione che secondo le ultime stime avrebbero comportato un danno erariale complessivo superiore ai 350 milioni di euro.

Il tutto avveniva mentre le amministrazioni capitoline, di destra o di sinistra, non vedevano o fingevano di non vedere, ma con qualche eccezione, come quella dell’assessora Daniela Morgante, costretta alle dimissioni dalla giunta Marino per essersi opposta a una richiesta di 224 milioni da parte di Metro C.