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Masterplan del Sud: motivi per crederci e per dubitare

Proponiamo di seguito l’interessante articolo dell’architetto Francesca Moraci, che tratta il grande tema del Masterplan del Sud.

Sulla necessità dello sviluppo del sud del Paese siamo ormai tutti concordi. Ciò era noto ben prima dell’ultimo rapporto SVIMEZ, anche se il rimbalzo di una realtà alla quale siamo ahimè abituati, ha giocato sui media un effetto di accelerazione e di riflessione “quasi innovativa” nella logica di Sistema Paese. Finalmente dopo decine di anni pare si sia giunti a comprendere che manca una regia unica in termini di sistema e che se non si sviluppa il Sud l’Italia non cresce. Come fare quindi alla luce delle esperienze fallimentari (se non in alcune realtà meridionali virtuose) a uscire da questo stallo ormai strutturale e a cui il Mezzogiorno non ha saputo rispondere con lo stesso orgoglio con cui rivendica identità e un passato di tutto rispetto? Perché la questione meridionale non trova un modo per rimettere in gioco territorio, imprese, lavoro e infrastrutture? Quali potrebbero essere i motivi per sperare in un cambiamento atteso che il fattore tempo ha un ruolo determinante (troppo ne abbiamo perso narrando e analizzando)?

Convivono infatti due tipi di responsabilità: quella nazionale – assenza di politica per il sud e di Policy Coerence – da verificare ulteriormente con il quadro dinamico delle riforme in atto che producono effetti territoriali in termini di pianificazione, governance e procedure amministrative (Città metropolitane, piano strategico della portualità e logistica, riforma delle Autorità Portuali, Piano Aeroporti, trasporto pubblico locale, Titolo V, pubblica amministrazione, etc…); quella della “capacità dei territori” letta rispetto all’eccentricità degli strumenti amministrativi e competenze regionali. Ciò è facilmente misurabile con la pianificazione urbanistica e territoriale, la cui lungaggine burocratica e procedurale dei piani ne ha determinato nei fatti una inefficacia che ha portato all’assenza di regole e di tutela del territorio a fronte di declaratorie e leggi manifesto di fatto inapplicabili o inapplicate di cui si fregiano le regioni. Parimenti per la programmazione regionale. Infatti a causa delle politiche di coesione e del flusso di finanziamenti verso le regioni ex obiettivo uno (praticamente tutto il nostro sud) vi è stato un “disimpegno” del Paese nella programmazione falsato ideologicamente dalla territorialità degli Stati Membri vs spazio unico.

In questo quadro un’azione pubblica efficace deve superare i condizionamenti – culturali e politici – e nel ripensare ad un piano per il sud deve riflettere sul “disimpegno” che ha causato la impossibilità di rinegoziare il ruolo e la collocazione nello spazio europeo anche in funzione del sud del Paese, delle reti e delle città, alla luce di una geografia dei flussi (materiali e immateriali) che caratterizzano una geopolitica dinamica dei territori e del mediterraneo.
Il quadro è ampio e complesso e oltre alle condizioni imprevedibili dell’economia sull’ampliamento dell’area di mercato da contendere (alla luce della destabilizzazione politica in atto nel mediterraneo e medio-oriente, delle grandi migrazioni, della struttura ormai definita del sistema germanico-balcanico fino a Suez, al sistema ferroviario Cina – grandi porti del nord Europa, al sistema ferroviario integrato che raggiunge attraversando Francia e Spagna lo stretto di Gibilterra, e tanto altro), l’assenza di una visione strategica di tutto il paese (sud compreso), indebolisce la credibilità istituzionale e territoriale.

In questo senso il ruolo del Piano Strategico della Portualità e della Logistica, ad esempio, può essere uno strumento di adeguamento del sistema TEN-T, ma in una seconda fase può spingere verso una revisione delle reti compatibilmente allo sviluppo del Sud e alla mobilità di merci e persone (art. 29 dello sblocca Italia) anche sul mkt interno ormai asfittico. Del resto il nostro Paese nel documento presentato per la Presidenza del semestre europeo, ha evidenziato la necessità di rivedere la strategia EU2020 e di intervenire sulle reti TEN-T.

Se da un lato quindi ci sono responsabilità politiche di visione nazionale, dall’altro la capacità delle regioni meridionali a spendere, supportate dai flussi dei finanziamenti “europei” (cofinanziati dallo Stato e dalle stesse regioni), è stata insoddisfacente proprio perché il meccanismo è diventato troppo astratto senza regia unica. Si avverte la necessità di una maggiore responsabilità e competenza – oltre che di semplificazione – e la possibilità, con questa occasione, di ricostituire un valore reputazionale ormai perduto. La possibilità di dare fiducia ai cittadini attraverso la capacità di un sistema territoriale (imprese, famiglie, amministrazioni, infrastrutture, cultura e tanto altro) di competere e, soprattutto, di essere credibile nelle linee di sviluppo prescelte, di attrarre investimenti dall’esterno e di saperli gestire. In molti pensiamo che la capacità Istituzionale sia la vera innovazione sociale.
Dal canto suo lo Stato ha delegato tutto lo sviluppo territoriale in senso ampio, alle regioni e ai fondi europei e ha investito nel 2013 solo il 15,7 mild al sud e 45,9 al centro nord (infrastrutture e contributi agli investimenti). A fronte di un trend che vede le risorse aggiuntive (2,1 del 2002 al 1,1 del 2013) solo sostitutive di una spesa ordinaria più bassa nel mezzogiorno (il 60% del nord) e gli investimenti pochi e diminuiti. Le risorse aggiuntive nel sud – in rapporto all’intervento pubblico totale nel mezzogiorno sono il 3.7%. La spesa al sud – pari all’incirca al 35% al 2013 è in calo – quella pro-capite del settore pubblico allargato è da un decennio più alta al centro-nord. Tra le aziende di stato ANAS, ad esempio, investe al sud (6 regioni più due isole) circa il 70% al 2013, mentre Ferrovie non investe più da tempo (solo il 14%).

Oggi la tendenza sembra cambiare. Le ferrovie occupano un ruolo mondiale fondamentale nella strategia merce persone a livello europeo non a caso infatti entro il 2030 il 30% del traffico stradale dovrà essere trasferito su ferrovia e entro il 2050 il 50%. Da ciò si evince che il Sud deve essere dotato di ferrovie efficienti in termini anche di alta capacità e alta velocità e non basta migliorare le attuali condizioni. Si sposterebbe il problema nel tempo. Queste reti risulterebbero inadeguate ai nuovi vettori merci (750 m.) e passeggeri (1500 m.) in termini di connessione con lo spazio europeo ivi inclusi i porti e gli aeroporti di interesse europeo (core) quanto quelli di interesse statale (comprehensive). Immaginate l’ultimo miglio e i porti (Napoli, Gioia Tauro, Taranto, Augusta) o aeroporti del sud (Aeroporto dello Stretto, Catania,..) che non sono connessi a queste reti. Lo stesso vale per le città. Le infrastrutture diventano un servizio, l’intermodalità un obbligo, la logistica un assetala mobilità sostenibile una necessità. Per questi tipi di investimenti, l’uscita dal perimetro pubblico di grandi aziende di Stato può essere un buono occasione – non solo per ridurre il debito pubblico, ma anche per velocizzare e garantire la programmazione poliennalesempre secondo strategie nazionali, ma con più competitività sul mercato. Certamente il nuovo sistema andrebbe regolamentato e vincolato.

Nonostante la dotazione pro-capite di infrastrutture di trasporto, il Paese è tagliato in due in termini di efficienza di rete e di investimenti in una logica di competizione euro mediterranea o anche più modestamente di welfare territoriale in termini di risposta ai cittadini. Se al centro la dotazione è considerata insufficiente, al sud e isole la dotazione infrastrutturale è nel complesso scarsa, in particolare per le ferrovie. Non a caso il PON reti e mobilità 2014-20 indica le ferrovie come asset principale.
In particolare si delineano due grandi questioni alla base di un New Deal meridionale. Una è la necessità di investire in infrastrutture e mobilità, l’altra in sicurezza – ambientale e sociale. Ovviamente ciò prescinde dalle proposte in relazione al credito di imposta, misure per il turismo, rigenerazione urbana (l’80% delle abitazioni è stato costruito prima del 1981 con conseguenze sull’efficienza e quindi sui consumi), energia, ICT, sostegno all’imprenditoria giovanile, alla famiglia, alla sanità, alla cultura all’economia della conoscenza, all’università, altre misure in parte previste nella legge di stabilità in discussione.
Le città e le infrastrutture (materiali e immateriali – dall’energia alla conoscenza) restano un nodo importante tra le strategie del Masterplan. Le grandi città europee si trovano in questo spazio di connessione, la mobilità di merci e persone con nuovi treni, porti e nuove reti determineranno le connessioni extraeuropee. Il Sud ne risulta indebolito e le città faticano a conquistare valore territoriale da redistribuire in termini di welfare urbano. Anche la scommessa delle Città metropolitane oltre le definizioni amministrative e di governance è tutta da costruire in termini di contenuti strategici e statuti che riflettano gli equilibri territoriali oltre che politici.

Pertanto a parte una serie di interventi a carattere normativo e giuridico necessari per tutto il Paese e che dovrebbero rispondere positivamente alle condizioni di rallentamento della crescita, si possono riassumere quattro macro aree di intervento che annullino il divario attuale: il costo del denaro per il nostro sistema economico (da 2 a 4 volte superiore a quello dei concorrenti del Nord e Centro Europa); il costo dell’energia (superiore del 40-60% a quello dei concorrenti); il sistema infrastrutturale e della mobilità non competitivo con quelli dei Paesi concorrenti; il costo della regolazione e i costi burocratici sono ancora comparativamente più alti. Alla luce di ciò dobbiamo scegliere se per essere competitivi al sud dobbiamo recuperare tutto il tempo perduto e le opere che non abbiamo realizzato sino ad oggi, oppure dobbiamo puntare ai nuovi spazi di mkt e contemporaneamente colmare il gap strutturale e infrastrutturale segnando priorità di sistema e garantendo l’intergenerazionalità di beni comuni territoriali. Ivi compreso lo scardinamento dell’élite culturale che non riesce a pensare e agire i termini nuovi.
È in questo senso che il gioco delle strategie integrate (interconnesse) per sapere come spendere per competere, diventa utile. Infatti non esistono grandi opere e piccole opere, ma solo opere utili, così come la logica del low cost indicata nel DEF, può essere un primo shock nel mercato ma sul lungo periodo potrebbe ingessare il Paese nelle scelte strategiche al 2050 (dimensione di programmazione delle infrastrutture in Europa).

Proprio per questo tra le tante questioni in campo quella che riguarda le infrastrutture e mobilità sembra primaria o contemporanea ad altre misure. Essa rispecchia sia la capacità delle infrastrutture di integrare il territorio (internalizzando la componente ambientale e paesaggistica) sia la dimensione spaziale delle politiche dello Spazio Europeo in termini di Connecting Europe Facility, quanto alla percezione di reti come corridoi non solo di trasporto di merci, persone, ma anche di energia e digitale, di flussi immateriali in genere. All’interno di questo “spazio” le città, i porti, gli aeroporti, il territorio, giocano ruoli strategici. Questo sarà il vero spazio (fisico?) dell’innovazione con cui ci misureremo in futuro. La questione meridionale può pertanto essere riletta anche attraverso la politica delle infrastrutture e la dimensione urbana.

La crescita del PIL degli USA, come effetto di investimenti in infrastrutture, ricerca e innovazione, ha riavviato studi sull’impatto delle infrastrutture come moltiplicatore di crescita. Questo nuovo sistema di reti e nodi (città, infrastrutture puntuali, strozzature di rete, piattaforme logistiche) che si intrecciano col sistema infrastrutturale materiale, potrebbe richiamare la necessità di adeguare quest’ultimo (il meridione è arretrato per dotazione di infrastrutture in termini intermodali e servizi, ma spesso per efficienza infrastrutturale, non per dotazione pro-capite) come investimento in valore aggiunto della capitalizzazione dei profitti derivati dall’immateriale in quanto territorializzazione degli stessi. In tal senso all’espansione economica delle infrastrutture immateriali – non confinabili – corrisponderebbe la necessità di una efficienza e qualità relazionale fisica che territori e città dovrebbero redistribuire come deterrente del Valore Aggiunto. Gli investimenti in infrastrutture immateriali primo shock da attuare – sebbene determinino nuove configurazioni di reti e mercati, non spazializzano i benefici a livello locale pur incidendo nel PIL e nella domanda di servizi che le aree urbane e alcuni tipi di logistica dovrebbero erogare a fronte di una dotazione inadeguata e inefficiente esistente.

Nel caso del ruolo dell’investimento in infrastrutture di trasporto, sia da un punto di vista macroeconomico, valutando l’impatto che tali investimenti hanno sulla crescita economica e, in generale, sulla competitività del sistema economico, sia da un punto di vista microeconomico, attraverso indagini condotte presso operatori di settore (industriali, finanziari e esperti) per comprendere i fattori specifici che ne influenzano il ritorno, al fine di fornire spunti di riflessione e suggerimenti di policy, sono emersi dati significativi.
Non solo sulla perdita di PIL ma anche sulla mobilitazione di risorse private per cui l’Italia risulta essere il paese meno attrattivo. Conftrasporto a Cernobbio ha dichiarato che il gap sulle infrastrutture fa perdere al Paese 42miliardi/anno con una tassa occulta di 700 euro ogni cittadino. Allo stesso tempo le infrastrutture di trasporto, nel comune pensare-hanno acquisito negatività dovuta ad un insieme di fattori che vanno dal quadro regolatorio complesso, all’incertezza della pianificazione e programmazione, al codice degli appalti, al tempo infinito per la loro realizzazione, alla corruzione diffusa.

Il Masterplan del governo guarda a condizioni di contesto, funzionamento di mercati e indica la “predisposizione di fattori di produzione comuni in infrastrutture e capitale umano”, indicando interventi programmatici e finanziamenti. Ma non individua una unica strategia territoriale infrastrutturale, la delega ai Patti.
La prima affermazione invece è che il sud deve pensare insieme e pensare lontano nel tempo. Fare massa critica in una visione strategica per il sistema regionale meridionale interconnesso e relazionale (per superare la polverizzazione degli interventi). Un unico patto per il sud per affrontare insieme una visione coesa e di cooperazione territoriale che costituisca un patrimonio comune di infrastrutture, città e servizi. In questo senso si può pensare ad una macroregione e a una “cassa comune” per costruire le infrastrutture. È necessario creare maggiore sincronia territoriale nell’attuazione delle politiche (spesa delle programmazioni regionali a “velocità diversa”) a garanzia della cassa infrastrutturale comune. In questo senso la riforma costituzionale indichi input di ridefinizione di spazi di autonomia regionale e riconduca al centro la cabina di regia delle infrastrutture.

La sensazione invece tra gli addetti ai lavori è di perdita di controllo tra la garanzia di coerenza politica, la necessità di abbandonare talune retoriche territorialiste che possono condizionare la strategia nazionale con uno strabismo locale e l’assenza di un piano operativo che risponda alla programmazione e alla congruità degli interventi. Cosa questa che invece potrebbe essere il secondo connotato del masterplan oltre a quanto indicato anche in legge di stabilità. L’idea dei Patti con le Regioni e con le città Metropolitane, che riprendono la logica delle Intese Quadro non può bastare senza una regia unica di visione nel contesto nazionale e europeo. Lo stesso dicasi per le indicazioni sulla gestione più flessibile dei fondi europei. Potrebbe verificarsi di avere la solita lista di progetti con qualche blanda strategia locale. La scommessa è tra le “convergenze parallele” di visioni di Regioni e Sistema Paese. Questo è il vero nodo della politica di coesione “virtuale”.

Infatti una programmazione nazionale poco operativa e non pienamente esplicitata si traduce in un disorientamento della macchina amministrativa e tecnica e nell’incapacità di rispettare la tempistica della stessa programmazione. Oltre ai singoli driver di ogni regione che potrebbero diventare i “Patti” se non guidati da una idea forte di Piano. In questo senso i Fondi Sociali di Coesione dovranno essere tradotti in una reale e fattibile progettualità attraverso il Masterplan del Sud che dovrà coordinare le fasi di programmazione (in termini di temporizzazione della spesa) legata a realizzazione dei risultati. Pertanto la proposta di condizionare e allocare quote di obiettivi tematici (focus su cui si articolano i fondi comunitari nazionali) in ogni POR diventa una condizione performante e misurabile del cambiamento strutturale. Tali fondi sono intesi in questa ipotesi come fondi aggiuntivi alla cassa infrastrutturale comune a cui si aggiungono anche i PON e altri fondi. In tal senso anche gli Investimenti Integrati Territoriali possono essere giocati per stessi interventi su più regioni.
Nel panorama delle novità da mettere in conto nel Masterplan troviamo il FEIS e il nuovo ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. Quali quindi le opere da agganciare all’istituzione del FEIS, oltre all’accordo che istituisce anche il polo europeo di consulenza degli investimenti (EIAH art. 2 paragrafo 2) e il ricorso a Partenariati Pubblico/Privato? Questa piattaforma di investimento innesca infatti attrazione di investimenti privati. Il FEIS è legato alla BEI e al Piano Junker e attualmente gli interventi in programma per ottenere la garanzia BEI sono la terza corsia di Autovie Venete della Pedemontana Veneta e del Passante di Mestre.

L’art. 41 della legge di stabilità, in relazione al FEIS, individua nella “Cassa depositi e prestiti S.p.A. l’istituto nazionale di promozione ai sensi della normativa europea sugli investimenti strategici e come possibile esecutore degli strumenti finanziari destinatari dei fondi strutturali, abilitandola a svolgere le attività previste da tale normativa anche utilizzando le risorse della gestione separata. A tal fine la norma attribuisce alla CDP la qualifica di istituto nazionale di promozione, ed inoltre prevede che, onde perseguire l’obiettivo di supportare la costituzione delle Piattaforme di investimento previste nell’ambito del Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), le operazioni finanziarie delle piattaforme di investimento ammissibili al FEIS promosse dalla Cassa depositi e prestiti S.p.A. possano essere assistite dalla garanzia dello Stato”. Tutte le misure sono legate alla flessibilità di bilancio e clausola investimenti.
Il Governo deve produrre un progetto politico fattibile legato a strategie interconnesse e deve indicare opere e interventi. In questo senso un coinvolgimento tra i ministeri supporterebbe la priorità politica che si dà il Paese. Le Linee guida sono un primo passo ma lasciano troppa discrezionalità. Per fare tutto ciò serve un solido piano per le infrastrutture con i dettagli dei finanziamenti, un crono programma di spese, con sanzioni e interventi sostitutivi per i fondi non spesi, la revoca e/o i commissariamenti per le amministrazioni che non rispettano il piano e i tempi, anche con il condizionamento di fondi dei POR a regia congiunta (Stato-Regioni) finalizzata ad una maggiore cooperazione interistituzionale e integrazione amministrativa, su respiro nazionale. Non bastano misure di accompagnamento di traiettoria per la quota di riprogrammazione, sebbene fino ad oggi non avevano assunto modalità esplicite. Bisogna riallineare i tempi dei piani, dei progetti e della programmazione con ulteriori interventi di riforma che abbiano effetti sul Masterplan. Non solo quindi la legge sugli appalti, ma anche una riforma urbanistica che riallinei le leggi urbanistiche regionali su principi e tempi comuni e non prevarichi o rallenti strategie nazionali ma costruisca una coerenza programmatica. Il Mezzogiorno deve essere un unicum con il Paese di cui solo le coordinate geografiche ne indichino la posizione.