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La politica Usa ama le infrastrutture

C’è sempre grande attesa quando ci sono le elezioni in un Paese. Che siano le elezioni di uno stato europeo, le presidenziali americane o le prime consultazioni democratiche di una nazione africana. Da quel risultato dipenderà infatti non solo il governo e la classe politica di quel popolo, ma anche quello di altri. Perché cambieranno gli equilibri. Tanti equilibri. Non solo quelli politici ed economici: il mondo è uno, la realtà è globale, nel bene e nel male. La borsa crollerà per alcune cose, salirà per altre.

Pensiamo al prezzo del greggio, che è un po’ la cartina al tornasole di un qualsivoglia risultato elettorale. Il referendum sulla Brexit prima e le presidenziali americane poi hanno tenuto il mondo con il fiato sospeso, compresa l’Italia, con lo stesso interesse del recente referendum costituzionale. Grande attesa ci sarà in primavera per le elezioni francesi e in autunno per quelle tedesche. Questo perché il risultato di un’elezione modifica la borsa valori, l’organizzazione dell’establishment apicale delle grandi aziende, l’assetto del mondo del lavoro.

Tutto diventa una questione di scelte e di direzioni. Come il neoeletto presidente Donald Trump, che ha annunciato nei giorni scorsi l’investimento del suo governo sulla rete infrastrutturale del suo Paese, in continuità con quanto fatto dal suo predecessore Obama. La speranza: un positivo effetto moltiplicatore sull’economia. Un piano che dovrebbe avere in parte una partecipazione privata, nonché l’appoggio del finanziere Wilbur Ross. Ponti, gallerie, strade, ferrovie, aeroporti, acquedotti per dare agli Stati Uniti finalmente qualcosa di nuovo. Da decenni infatti lì non si fa altro che monitorare, mantenere e riparare le grandi infrastrutture realizzate alla fine della seconda guerra mondiale.

Un piano da mille miliardi di dollari dovrebbe cambiare il volto della comunicazione infrastrutturale che è lo stesso dagli anni di Truman (mandato presidenziale dalla morte di Roosevelt, avvenuta meno di tre mesi dopo la sua ultima elezione, fino al 20 gennaio 1953), che sono anche gli stessi anni della ricostruzione europea sancita da quel piano Marshall che ha fatto storia e che ha definito anche un modo di fare politica, noto soprattutto alla nostra DC. Nuove strutture sono previste anche per l’infrastruttura digitale, sulla protezione del web da attacchi esterni, di hacker e quant’altro.

Più la tecnologia avanza più c’è bisogno di sicurezza, sia per le grandi che per le piccole aziende, anzi, soprattutto per le piccole, il vero motore dell’economia. Trattandosi di Trump, che ha fatto la sua fortuna sul mercato immobiliare, anche quest’ultimo dovrebbe avere una “bella spinta” nel 2017. Staremo a vedere. Quel che è certo è che puntare sulle infrastrutture per un politico è un grande classico, che non andrà mai fuori moda. Perché una buona infrastruttura resta. È per sempre. Come un diamante. Che però ha un’utilità pratica decisamente minore.