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La maxi asta di camion e macchine movimento terra

«Forty-one thousand, forty-one, forty-one thousand… Sold! You got it, thank you gentleman». E l’escavatrice Volvo anno 2005 va per 41 mila euro al signore col cappello che stringe il numero 619 in sesta fila. «Here we go», avanti un altro lotto.

Diesel e salsicce – Non fosse per il clima solitamente uggioso del maggio padano e per il vecchio reattore della centrale elettronucleare chiusa nel 1986 sullo sfondo, sembrerebbe di essere in Texas. Cappellini da baseball arancioni, camice a quadri, pick-up con le gomme maggiorate, odore di salsicce ai ferri che si fonde col fumo dei potenti motori diesel che accelerano oltre l’alta rete metallica. Alle 10,30 il piazzale è già stracolmo, tanto che le auto parcheggiano a bordo provinciale. All’entrata, i dialetti emiliani cozzano contro quelli lombardi. Terra di confine, il piacentino: le golene del Po sono a pochi passi. Un arabo parla in inglese al cellulare con quello che potrebbe essere un suo cliente: «The green one, I’m bidding on the green one». Quello verde, sto scommettendo su quello verde.

Dal trapano al Caterpillar del canale di Panama – Benvenuti a Caorso, benvenuti da Ritchie Bros, dove cinque volte all’anno si tiene la più grande asta di macchinari e automezzi d’Italia. Dal trapano a colonna da mettere in garage agli escavatori giganti utilizzati per il raddoppio del canale di Panama. L’ultima audizione si è tenuta il 12 maggio scorso: «Abbiamo battuto ininterrottamente dalle otto di mattina fino alle cinque di sera oltre 1.500 articoli per un controvalore di 13 milioni di euro» dice Fabio Orlandi, regional sales manager per l’Italia della multinazionale canadese nata cinquantun anni fa a Burnaby, in British Columbia.

Tutti a fiutare l’affare – Ruspe, trattori, schiacciasassi, camion, terne, mietitrebbie, sollevatori di ogni ordine e grado. All’interno del capannone è l’incalzare dei banditori a dettare la ritmica del business: tutti rigorosamente canadesi e tutto rigorosamente in inglese. Sulle prime un incomprensibile salmodiare mono tono, ma non ci si mette molto ad ambientarsi e a capire il meccanismo. «Eleven thousand, eleven, give me eleven thousand, sold!». Venduto. In più di mille seguono l’asta. Tanti italiani, più della metà gli stranieri. A cui poi si aggiungono quelli collegati dal web: estoni, sauditi, turchi… Tutti a fiutare l’affare. «Siamo di Manerbio, in provincia di Brescia — raccontano due corpulenti fratelli sulla quarantina — abbiamo un’azienda agricola, ci serve un trattore e ci siamo detti: perché non provare? Stiamo a vedere». Günter è invece austriaco. Ha un’azienda edile vicino a Innsbruck: «Ci stiamo ingrandendo — racconta — e sto puntando una terna e un camion per il trasporto di sabbia e ghiaia. Spero di fare un buon affare».

Come al cinema – Sotto l’ampio capannone la gente si accomoda sui seggiolini arancioni (tutto qui ha il colore sociale della multinazionale). E sta a vedere, come al cinema. Ma invece dello schermo c’è una passerella dove sfilano i mezzi. Sul palco i tre sparring partner del banditore — si chiamano bid catcher — si sbracciano tipo Piazza Affari anni Novanta per raccogliere e coordinare le offerte. Alzi la cartelletta bianca con su stampato il tuo numero identificativo e, se sei fortunato, sei fuori in quaranta secondi. In un respiro si fa l’affare, dalla presentazione del lotto all’offerta iniziale fino alla gara al rialzo e all’aggiudicazione finale. Poi ci si alza e si va alla cassa per pagare. Tutto e subito (il saldo lo devi versare entro sette giorni), altrimenti il mezzo rimane nel piazzale.

L’inimmaginabile in vendita – Oggi la Richie Bros è un gigante da 4,2 miliardi di dollari con 1.200 dipendenti (20 a Caorso, che diventano un centinaio nei giorni d’audizione) e una media di 300 aste all’anno suddivise nelle sue 40 sedi in giro per il mondo. America, Australia, Medioriente ed Europa con Tampere in Finlandia, Meppen in Germania, Ocana in Spagna, St Aubin Sur Gaillon in Francia: praticamente un’asta al giorno, tutte sold out. Merito di un’intuizione: niente offerta minima, l’importante è vendere, anche a un euro. In Italia i fratelli Richie ci sono dal 2004, prima con eventi itineranti, poi dal 2008 con una sede stabile a Caorso, dove all’ombra della centrale oggi gestita dalla Sogin cinque volte all’anno si vende l’inimmaginabile. «Aste sempre molto frequentate ultimamente — aggiunge Alessandro Nucci, regional operations manager — superata la diffidenza iniziale, anche dagli agricoltori, tanto che abbiamo da poco aperto una divisione dedicata».

Chi vende… – Popolazione composita quella di Caorso. Eppure contingentata in gruppi d’interesse omogenei a seconda della tipologia dei pezzi in mostra: alla mattina gli edili per le terne, all’ora di pranzo gli agricoltori alla ricerca dei trattori, nel pomeriggio gli impiantisti per le macchine da sollevamento. La logica è semplice: incrociare domanda e offerta. «I nostri clienti — riassume Orlandi — sono noleggiatori che rimettono sul mercato i mezzi già ammortizzati, concessionari che vogliono rinnovare i propri stock, liquidatori che cercano di monetizzare nel più breve tempo possibile le aziende in concordato, oppure grandi imprese che finiscono un cantiere e che hanno bisogno di organizzare la smobilitazione e la rigenerazione a valore commerciale dei macchinari utilizzati». È il caso, ad esempio, di Salini-Impregilo: «La mega joint venture di cui fa parte sta ultimando i lavori per il raddoppio del canale di Panama e a noi è stata affidata la valorizzazione dei loro macchinari suddividendoli fra i nostri punti vendita della costa orientale americana. Lo stesso sta avvenendo anche in Italia, ad esempio con il cantiere della Variante di Valico».

… e chi compra – Ancora più eterogenea la platea di chi si reca a un’asta del genere per tentare la fortuna. «Generalmente parliamo di medie e piccole imprese alla ricerca dell’occasione, anche se la crisi — ammette Nucci — ha raffreddato il mercato interno. La nostra fortuna è che possiamo contare su un network internazionale e il canale web ci dà una grossa mano». Intanto, sugli schermi disposti ai lati della sala, sfilano i lotti. Un cingolato Fiat Kobelco del 2004 viene battuto «on-site» a 16 mila euro. Un Palazzani del 2009 se lo aggiudica a 12 mila euro un compratore rumeno. All’area ristoro si avvicina un tizio abbronzato, sulla quarantina: «Ma sa quanti arabi e asiatici che ci sono che acquistano alle aste europee a sconto per poi rivendere in patria?. Macchine ben manutenute, come nuove, di qualità occidentale».

Da Haring a John Deere – È passato da poco il mezzogiorno. All’improvviso il rap dell’auctioneer si interrompe. Ma sono solo pochi secondi: è il cambio turno in cabina, succede ogni cinquanta minuti. Scende le scale con un piatto di penne al pomodoro in mano un uomo piccoletto, sulla sessantina, con due lunghi baffi bianchi da biker e il cappellino da baseball arancione d’ordinanza. Lui è Wayne Yoos, ma nell’ambiente tutti lo conoscono come Digger, la ruspa, per il suo modo unico di cercare il miglior offerente. È in Ritchie dal 1983, praticamente un grande vecchio del mestiere: «Non siamo solo veloci — dice compiaciuto — siamo soprattutto emozionali, nel senso che generiamo emozioni. E questo conta molto. Perché un’asta non è una semplice vendita. Chi partecipa a un’audizione e mette gli occhi su un oggetto, deve trovare il clima giusto per volerlo ardentemente, per desiderarlo, per sentirlo già suo». Il che, pare di capire, vale per il rosso di un graffito di Haring quanto, appunto, per il verde-giallo di un John Deere d’occasione parcheggiato appena più in là.