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Infrastrutture: project review, per cambiare le grandi opere

Potenziamento del trasporto merci su ferro (con più infrastrutture e più incentivi); più investimenti nel trasporto metropolitano su ferro (metropolitane, tramvie, ferrovie urbane), sulla rete e sui treni; project review sulle grandi opere.

Ennio Cascetta, ordinario di Pianificazione dei sistemi di trasporto alla Federico II di Napoli, docente al Mit di Boston dal 1995 e assessore ai Trasporti in Campania dal 2000 al 2010, è dall’ottobre scorso coordinatore della “Struttura tecnica di missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza” presso il Ministero delle Infrastrutture (Mit). E’ l’artefice del cambio “copernicano” in corso al Mit, dall’epoca delle grandi opere a quella delle “politiche di trasporto”. Sempre di più Cascetta e Delrio sembrano parlare la stessa lingua: infrastrutture utili, snelle e condivise; più merci su ferro; priorità al trasporto urbano su ferro.

Una prima lista coerente di opere statali prioritarie arriverà solo con il primo Dpp (Documento pluriennale di programmazione), previsto dal nuovo Codice entro un anno dall’entrata in vigore (entro il 19 aprile 2017); ma già adesso la project review è in pieno corso, all’interno dell’attività di programmazione di Anas e Rfi e negli incontri di Delrio con Regioni ed enti locali.

Come si vede, molti grandi progetti della legge obiettivo vengono accantonati o ridimensionati, pur dovendo fare i conti con i contratti in corso. Ma solo in apparenza si tratta di “tagli” alle infrastrutture. Da questo punto di vista alcune polemiche sollevate dalle Ance locali (in Calabria, a Bologna, a Vicenza) non sembrano cogliere nel segno. Accantonare progetti miliardari ma privi di fondi (come il completamento dell’autostrada Salerno-Reggio, la 106 Ionica autostradale, la Tav Mestre-Trieste, l’autostrada Orte-Mestre) a favore di progetti di riqualificazione delle infrastrutture esistenti significa “velocizzare” la spesa in infrastrutture, e non bloccarla: l’Anas ha già avviato il piano di manutenzione da un miliardo sulla A3 e quello di 1,5 miliardi sulla Orte-Mestre (mentre dell’autostrada si parla soltanto, da dieci anni), e Rfi sta puntando sempre di più sulla riqualificazione delle rete esistente, con investimenti già saliti da 2,8 a 3,6 miliardi di euro nel 2015 e obiettivo di arrivare a 4 miliardi quest’anno.

“Non è vero – spiega Cascetta, dati alla mano – che l’Italia è così indietro nella dotazione infrastrutturale extraurbana. Anzi, se parliamo di autostrade in Italia ce ne sono anche troppe”. “Siamo molto indietro – prosegue – soprattutto su tram e metropolitane (a Madrid ci sono 290 km di metropolitane, a Berlino 147, a Roma solo 59), e siccome il 70-80% del Pil si fa nelle aree urbane non è una carenza da poco. La qualità della vita nelle città è un fattore chiave per attirare le sedi di multinazionali e imprese straniere. Dunque il servizio di trasporto urbano su ferro è un forte elemento di competitività”.

“Qui al Mit – prosegue – ci sono tutti progetti concepiti negli anni novanta-duemila, quando c’erano più risorse e minore sensibilità ambientale. E comunque è mancata in questi anni una visione unitaria della politica dei trasporti. Bisogna investire di più sulla manutenzione, sulla connessione tra nodi (porti, aeroporti e interporti) e rete su ferro, e soprattutto sviluppare una politica di crescita coordinata di infrastrutture e servizi di trasporto”.

Nell’Europa a 28 il 18,2% medio delle merci viaggiano su ferrovia (sul totale dei trasporti su terra), il 6,9% su idrovie interne (fiumi e canali) e il 75% su strada. In Italia il ferro vale solo l’11,8%, peraltro in calo (in valore assoluto di merci trasportate) del 40% circa dal 2007 a oggi, mentre la gomma ha contenuto le perdite in poco più del 10%.

Con la liberalizzazione del mercato del trasporto ferroviario, spinto dalle direttive europee – spiega Cascetta – negli ultimi anni si sono sviluppate in Italia 23 imprese private di trasporto ferroviario e mentre nel 2008 l’89% del mercato era in mano a Trenitalia Cargo e solo l’11% ai privati, ora Fs è scesa al 61% dei treni-km di merci trasportate e i privati sono saliti al 39%. “La liberalizzazione – spiega Cascetta – non ha sortito l’effetto di far crescere i volumi né la quota modale del trasporto ferroviario. Ha contato la crisi ma anche una totale assenza di politica dei trasporti. Molti porti, interporti e aeroporti non sono collegati alla rete su ferro, o manca “l’ultimo miglio”; molti tratti anche fondamentali della rete ferroviaria non sono adeguati agli standard europei del trasporto su ferro quanto a sagoma (ingombro del treno, il problema è soprattutto nelle gallerie), modulo (lunghezza del treno), peso sopportato; si è agevolato in modo sistematico l’autotrasporto incentivando invece poco e a singhiozzo l’intermodalità; le tracce sulla rete ferroviaria hanno sempre penalizzato il trasporto merci”.

Morale della favola: “Si può aumentare il trasporto su ferro solo con sistematiche e costanti politiche di incentivazione, da una parte, e di adeguamento delle infrastrutture e delle tracce, dall’altra”.

“Gli interventi italiani sulla rete Ten-T – prosegue Cascetta – e cioè Torino-Lione e Brennero, e soprattutto quelli svizzeri su Gottardo e Sempione, che saranno a regime nel 2020, per l’Italia una grande opportunità se saremo pronti a coglierla”.
Da alcuni mesi è in corso un tavolo tecnico al Mit, coordinato da Cascetta, con la presenza di Anas, Fs, Regioni, Ministeri e categorie interessate, con l’obiettivo del “Rilancio del trasporto ferroviario delle merci”. “Confetra (imprese di autotrasporto) – sostiene Cascetta – è collaborativa, mi sembra che abbiano capito che non si può solo conservare. Sulla lunga percorrenza la ferrovia può essere molto più competitiva della strada. Ma non significa che le imprese di autotrasporto devono scomparire: devono semmai ricostituire la flotta per puntare sulla media e breve percorrenza, fino a 100 km, mentre sulle lunghe container e semirimorchi devono salire sui treni”.
Fs sta spingendo sul trasporto merci, su input del governo. Nell’Addendum 2015 in approvazione ci sono già 264 milioni per adeguamento dei corridoi europei (italiani) al trasporto merci, “e ancora di più ce ne saranno nel Contratto 2016 – spiega Cascetta – per arrivare entro il 2020 ad avere il 60% delle linee a sagoma Pc80, per i semirimorchi, (linee fondamentali come la Piacenza-Bologna sono ancora a Pc45), il 48% delle linee con modulo (lunghezza treni) a 750 metri e il 90% a peso D4”. L’Addendum 2016 punterà poi alle connessioni “ultimo miglio” tra rete e nodi.

L’Ad di Fs Mazzoncini ha poi annunciato la costituzione di una società ad hoc per il trasporto merci. “Le Fs – spiega Cascetta – vogliono svolgere un ruolo più attivo, è positivo, è stato lasciato troppo spazio ai privati”. “Sta migliorando poi – spiega Cascetta – la gestione delle tracce ferroviarie da parte di Rfi, che finora ha penalizzato le merci: nel 2015 ha debuttato il Catalogo tracce, che diventerà sempre più trasparente e sempre più strumento di promozione del trasporto su ferro”. Inoltre si lavora per attivare dal 2018 un servizio di trasporto merci sulla rete ad alta capacità.

Infine gli incentivi a intermodalità e trasporto su ferro: “Devono diventare consistenti e stabili nel tempo – spiega Cascetta – e per la prossima legge di Stabilità stiamo studiando un meccanismo per differenziarli in base allo stato della rete ferroviaria: se già adeguata a sagome e standard europei incentivi più bassi, che salgono via via che su un certo percorso gli standard sono più bassi”.