Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Il vero impegno ora è investire

È passata sotto tono fra le raccomandazioni Ue, ma forse è la più difficile: la flessibilità di 0,25% è a condizione che si faranno quest’anno 4 miliardi di investimenti «aggiuntivi».

A complicare la partita c’è la regola che queste spese di investimento devono riguardare progetti cofinanziati dall’Unione europea: per esempio i cofinanziamenti dei fondi strutturali europei (che però, dopo l’exploit dello scorso anno scontano le lentezze della fase di inizio di un nuovo ciclo) oppure le grandi opere del Connecting Europe Facility (che hanno processi progettuali e autorizzativi laboriosi) o ancora gli interventi del «piano Juncker» su cui effettivamente c’è un’accelerazione per l’Italia ma non tanto da macinare cassa. L’Italia tenta di allargare il perimetro dei progetti ammessi, inserendo per esempio le opere finanziate con il Fondo sviluppo coesione, una programmazione “parallela” e collegata a quella dei fondi Ue ma formalmente distinta.

Qui c’è un altro aspetto su cui la partita delle regole tra Roma e Bruxelles è ancora tutta da giocare: i 4 miliardi sono di spesa effettiva, quindi di cassa, o bastano gli impegni vincolanti assunti, per esempio, con l’aggiudicazione di un appalto? L’interpretazione rigorosa implica che siano spese vere, ma non è escluso che la diplomazia italiana riesca anche qui a ottenere uno sconto.

Un terzo elemento di confronto riguarda proprio il concetto di «spesa aggiuntiva». Significa che la spesa totale per investimenti deve crescere in valori assoluti di 4 miliardi?

Se l’Italia non riuscirà a rispettare tutte queste condizioni, è presumibile che la partita di fioretto sulle regole con Bruxelles si riapra e magari l’Italia potrebbe vincerla se – come ha fatto il ministro Padoan sul debito – la gioca pienamente all’interno del linguaggio e delle regole Ue, approfittando degli spazi di interpretazione concessi.

Quello che però conta – e i ministri Padoan e Delrio ne sono convinti – è che, aldilà di ogni formalismo, l’Italia riesca davvero a spendere quei 4 miliardi in più che sarebbero benzina nel motore della crescita e rilancio di un settore, come quello delle infrastrutture materiali e immateriali, fondamentali per lo sviluppo.