Ci sono 15,2 dei 51,8 miliardi della programmazione dei fondi strutturali UE 2014-2020 che sono potenzialmente destinati al settore delle costruzioni. La stima è contenuta in una ricerca del Servizio studi dell’Associazione nazionale dei costruttori edili, curata da Romain Bocognani, che sarà presentata oggi.
Obiettivo della giornata di lavoro organizzata dall’Ance non è soltanto quello di una ricognizione puntuale e dettagliata dei diversi programmi finanziati con le risorse Ue da presentare agli imprenditori per aiutarli a orientarsi nella mappa delle opportunità date dai fondi.
L’Ance vuole anche segnare una forte discontinuità della «visione strategica» puntando sull’«uso efficiente» di queste risorse: il vicepresidente Domenico De Bartolomeo, delegato in Ance sui fondi Ue, lancerà il «partenariato istituzionale» in una chiave di alleanza pubblico-privato che utilizzi i fondi pubblici come leva per finanziare progetti territoriali più ampi.
Il nuovo approccio si regge su due pilastri: la partnership è «fondamentale per definire una visione dello sviluppo a livello locale e assicurare un coinvolgimento dei capitali privati»; le risorse pubbliche «devono essere utilizzate per governare il processo di sviluppo territoriale e/o di riqualificazione urbana e intervenire solo su operazioni strategiche per lo sviluuppo e/o per la riqualficazione».
È il «modello Marsiglia», un caso di riqualificazione urbana che ha fatto scuola in Europa e che i costruttori italiani perseguono ormai da qualche anno come punto di riferimento delle politiche urbane: nel contesto dei fondi Ue è anche una carta per non giocare solo in difesa, rincorrendo i bandi dei singoli finanziamenti o le percentuali di spesa dei singoli programmi, ma per proporre in anticipo alle amministrazioni idee e soluzioni capaci di superare i fallimenti degli ultimi 20 anni.
Progetti per lo sviluppo del territorio, in una chiave di «servizio» ai cittadini che la stessa programmazione 2014-2020 propone, a livello europeo e italiano, come punto di rottura rispetto a un tempo in cui la programmazione riguardava genericamente progetti più o meno cantierabili, frammentati, senza valutazione dell’impatto sulle economie e sui servizi.
Basta con la corsa a tesoretti piccoli o grandi in una fase in cui per altro le risorse al settore delle costruzioni (per esempio con i programmi infrastrutturali) sono stati drasticamente ridimensionati. In questa chiave, i 15 miliardi calcolati dall’Ance, pari al 30% del totale, restano una quota importante per mettere in moto investimenti rilevanti. Se a Marsiglia – è il ragionamento che si fa in Ance – 5 miliardi hanno prodotto investimenti per 40 miliardi, in Italia 15 miliardi giocati in questa chiave strategica possono almeno produrre investimenti per 30.
«Negli ultimi trenta anni le politiche europee di convergenza sono state di divergenza e hanno completamente fallito in Italia», dice Rudy Girardi, che è vicepresidente Ance con la delega al centro studi. Se oggi l’obiettivo è la discontinuità forte rispetto a questi fallimenti, benvenuta è la legge di stabilità 2016 che, attraverso la clausola europea per gli investimenti, attribuisce al concreto avvio dei fondi Ue un ruolo primario per il rilancio degli investimenti in Italia. Il passato con i suoi fallimenti e le sue distorsioni continua, tuttavia, a incombere in molti aspetti della politica di coesione e l’Ance lancia un nuovo allarme per quello che una volta si chiamava Fas (Fondo aree sottoutilizzate) e oggi si chiama Fsc (Fondo sviluppo e coesione), ancora una volta “prestato” a utilizzi impropri.
Degli 8.126 milioni del fondo assegnati finora , 4.780 sono stati affidati direttamente per la via legislativa senza nessuna verifica di coerenza programmatica. «Il fondo è stato in parte utilizzato per far fronte a esigenze di finanza pubblica ed è alto il rischio di ripetere gli errori commessi con la passata programmazione».