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Esposito all’attacco sul massimo ribasso

Sbaglio o per dieci anni Comuni e imprese ci hanno raccontato che massimo ribasso e subappalti erano il male peggiore, la porta di accesso alla corruzione? No perché forse ho vissuto in un paese diverso e non me ne sono accorto». Difficile contenere Stefano Esposito, relatore insieme a Raffaella Mariani del parere sul nuovo codice appalti, all’indomani della protesta delle imprese per la scelta di ridurre al lumicino (cioè solo sotto i 150mila euro) la possibilità di utilizzare il massimo ribasso. Una posizione in qualche modo condivisa anche da Comuni e Regioni che non a caso nel loro parere sulla bozza del codice avevano chiesto, come le imprese, di alzare da un milione a 2,5 milioni il tetto al di sotto del quale consentire le offerte basate solo sul prezzo.

«Finora abbiamo lavorato in perfetta sintonia con il Governo – attacca Esposito -. Come relatori abbiamo finito il nostro lavoro e dato le nostre indicazioni, provando a risolvere tutte le questioni. Gli obiettivi erano chiari: ridurre i rischi di corruzione, rendere il più certi possibili tempi e costi delle opere. Ora il governo è libero di recepire o meno queste indicazioni- continua – . Ma deve essere chiaro chi si prende le responsabilità. Ed è altrettanto chiaro che io non rimarrò in silenzio: non mi faccio prendere in giro».

La prima questione chiave riguarda le scelte sul massimo ribasso che il Parlamento chiede di ammettere solo sotto i 150mila euro, invece che entro la soglia di un milione come prevede la versione del codice approvata in prima battuta dal governo. «Ma la soglia del milione chi se le inventata? – chiede il senatore Pd -. La delega dice di ridurre al massimo la possibilità di assegnare le aggiudicazioni con il criterio del prezzo più basso e il codice stabilisce una soglia che comprende l’84% delle gare che vengono bandite ogni anno in Italia? Questo significa ridurre l’uso del massimo ribasso? Addirittura, anche i Comuni che hanno sempre contestato questa impostazione volevano alzarla a 2,5 milioni. Non è quello che ci siamo detti finora e che sta scritto nella legge delega».

Non c’è il rischio di inceppare la macchina, rallentando le procedure di aggiudicazione? «Mi dispiace che sia tirata fuori questa obiezione del blocco dei lavori – risponde Esposito -. Come dice Renzi noi stiamo provando a sbloccarle queste opere. E se ci proviamo vuol dire che ora sono bloccate, non il contrario»

Strada sbarrata anche sulla possibile “falla” aperta sul delicato problema dei lavori in house dei concessionari. Il parere del Parlamento chiede di eliminare dal computo dello schema «80% in gara, 20% in house» gli appalti eseguiti in amministrazione diretta, cioè con risorse proprie della società principale, senza assegnazioni a società controllate. Una “deroga” prevista anche nell’accordo firmato a Porta Pia dai vertici delle infrastrutture con i sindacati delle concessionarie autostradali, che avevano duramente protestato contro la scelta di alzare all’80% (ora è al 60%) l’obbligo di mandare in gara gli interventi, pavimentando la perdita di migliaia di posti di lavoro.

Ora a protestare sono le imprese, che per bocca del presidente dell’Ance Claudio De Albertis, temono l’annacquamento del principio sancito nella bozza del nuovo codice. «Mi stupisce – ribatte Esposito -. Questa impostazione è prevista dalle direttive Ue. È chiaro che se Autostrade assume tutti i dipendenti di Pavimental può fare tutti i lavori al proprio interno. Anzi, io me lo auguro perchè sono per creare non per distruggere occupazione. Ma dubito che sia un’operazione conveniente, altrimenti l’avrebbero già fatta».