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Consumo del suolo, recuperare 1.400 ettari dalla autostrade

Recuperare oltre 1.400 ettari di superficie non utilizzata. Destinandola ad impieghi che potrebbero permettere di abbattere i costi attuali o, in alcuni casi, addirittura di generare ricavi e, comunque, di produrre un impatto occupazionale. È questo il risultato al quale potrebbe portare l’applicazione dei risultati dell’analisi che è stata presentata a Roma dall’Università di Perugia, promossa dalla Cassa italiana di previdenza e assistenza dei geometri (Cipag). L’obiettivo del progetto è recuperare la frammentazione prodotta dalle infrastrutture autostradali, gestendo gli spazi verdi vicini agli svincoli in maniera diversa rispetto a quanto avviene adesso. Sono state fatte cinque ipotesi, che potrebbero avere un grande impatto sulla rete italiana.

Lo scopo dello studio è invertire la tendenza alla frammentazione del territorio, generata dalle infrastrutture stradali. Per questo i ricercatori guidati dal professor Angelo Frascarelli hanno passato al setaccio due autostrade: la A1 e la E45. Nella prima è possibile recuperare 108 ettari di superficie libera vicina agli svincoli, nella seconda ci sono altri 88 ettari disponibili. La proiezione sull’intera rete nazionale è che ci siano a disposizione, per l’esattezza, 1.413 ettari su 683 svincoli totali. Al momento, questi spazi sono sostanzialmente un costo per le concessionarie autostradali: le spese per la manutenzione valgono circa 1,1 milioni di euro ogni anno, con circa 10mila ore lavorate che non producono nessun valore aggiunto.

L’idea chiave dello studio è ipotizzare una destinazione alternativa per questi spazi. L’analisi ne elenca cinque: piantagioni per la produzione di biomassa legnosa, piantagioni per la produzione di legname da opera, isole di conservazione della biodiversità vegetale, isole di bellezza paesaggistica, centri per la produzione di energia fotovoltaica. I vantaggi ambientali di tutte queste alternative sono notevoli, ma un peso decisivo potrebbero avere i vantaggi economici. Considerando l’intera rete autostradale, infatti, sarebbe possibile abbattere i costi fino a circa 110mila euro all’anno nel caso della produzione di legname da opera: un milione in meno di quanto si spende oggi. Mentre per l’installazione di impianti da produzione di energia fotovoltaica sarebbe possibile generare, addirittura, un risultato economico positivo per 2,5 milioni di euro. Anche se “si perderebbe qualcosa dal punto di vista estetico”, come spiega la ricerca. Sul fronte occupazionale, poi, sarebbe possibile incrementare in maniera sostanziale il numero di ore lavorate. Nel caso di installazione di impianti per la produzione di energia fotovoltaica, le ore lavorate salirebbero fino a 40mila all’anno, mentre per la produzione di legno da opera e per le isole di biodiversità saremmo intorno alle 20mila ore totali.

Numeri che dicono come un intervento di questo tipo andrebbe seriamente valutato. “Abbiamo trascorso gli ultimi cento anni a sporcare il territorio, adesso dobbiamo ripulirlo”, spiega il presidente di Cipag, Fausto Amadasi. “Queste infrastrutture normalmente sono particolarmente bulimiche di consumo di territorio, tanto per le sedi specifiche quanto soprattutto per le aree accessorie per la distanza di sicurezza, per lo sviluppo degli svincoli e dei tracciati”. Concretamente, “dovremmo valutare questo progetto in fase di rinnovo delle concessioni. In quel momento deve essere premiato chi mette i campo questo tipo di soluzioni per recuperare territorio”.

Secondo il presidente di Anci e sindaco di Torino, Piero Fassino “dovremmo verificare la fattibilità di progetti analoghi in aree di pertinenza comunale e regionale. Sarebbe fondamentale applicare questo stesso principio su scala locale”. Anche per le infrastrutture gestite dai Comuni esiste, infatti, un problema di spazi frammentati e non utilizzati. Un segnale in questo senso potrebbe arrivare dal Ddl sul consumo di suolo, in discussione alla Camera, del quale ha parlato il segretario della commissione Agricoltura di Montecitorio, Luciano Agostini: “Penso che il disegno di legge possa essere modificato per consentire operazioni di questo tipo. Proporrò degli emendamenti al passaggio in Aula, che abbiamo calendarizzato tra la fine di aprile e l’inizio di maggio”.