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Riuso di inerti in edilizia, mercato in stallo – Direttiva Ue rispettata solo sulla carta

La direttiva europea 2008/98/Ce, che impone agli Stati membri, entro il 2020, di "preparare al riutilizzo" almeno il 70% dei rifiuti da demolizione e costruzione (C&D) è rispettata dall'Italia soltanto sulla carta.
Il sistema utilizzato da Ispra (ministero dell'Ambiente) per monitorare il fenomeno si basa sui dati dei Mud, Modello unico di dichiarazione ambientale che però è obbligatorio solo per le imprese che smaltiscono o riciclano rifiuti, ma non per quelle di costruzione, e comunque non per quelle sotto i 10 dipendenti. Secondo Ispra siamo al 75% di riciclo, ma sfugge alle rilevazioni quell'ampia quota di materiali da demolizione smaltita illegalmente (cassonetti o discariche abusive), quota che alzerebbe il totale e farebbe scendere la percentuale.

È vero che Eurostat accetta i nostri dati, come fa notare l'Ispra, ma la sostanza è che il governo si accontenta di un recepimento formale: mancano i decreti attuativi che dovevano incentivare il riuso di rifiuti, le stazioni appaltanti, anche Anas e Rfi, non favoriscono e spesso rifiutano l'utilizzo di materiali riciclati da parte delle imprese, e anche la marcatura Ce sugli inerti riciclati – pur obbligatoria – non viene spesso richiesta.

La crisi, poi, ha alleviato la domanda sulle cave, abbassando i prezzi, e il vantaggio per le imprese a rifornirsi di materiale riciclato, pur ancora presente dove un mercato esiste, si è ridotto.

Eppure qualche spiraglio di ottimismo esiste. Legambiente, Anpar (i riciclatori di materiali da edilizia) e Atecap hanno preparavo con due università un "capitolato tipo" per rendere meno diffidenti le stazioni appaltanti, l'Uni ha introdotto nel 2014 una guida alla scelta dei materiali giusti derivanti da riciclo, la nuova Anas di Gianni Armani ha incontrato Legambiente e Anpar per cambiare i suoi capitolati. E poi c'è il "modello Veneto": incentivi e spinta regionale, riciclo stimato al 95%.