Stop all’in house per le concessionarie autostradali, per garantire la piena apertura del mercato dei lavori. Sarà questo l’esito della riforma degli appalti, secondo quando ha spiegato il vicepresidente della commissione Lavori pubblici del Senato, Stefano Esposito nel corso di un convegno organizzato dal Partito democratico martedì mattina a Roma. Tutto deve andare in gara, per favorire le Pmi. Anche se, sul punto, il presidente di Aiscat Fabrizio Palenzona invita a rispettare i contratti sottoscritti dalle concessionarie.
Sul fronte delle stazioni appaltanti, invece, serve un’opera di riduzione finalmente efficace. Esposito ha descritto gli obiettivi che i relatori della riforma hanno in testa: riduzione a ventuno stazioni appaltanti regionali, alle quali si affiancano i capoluoghi di provincia e i Comuni in alcune occasioni ben individuate.
Stop all’in house per le concessionarie
La stoccata più forte, da parte di Esposito, è arrivata sul fronte delle concessionarie autostradali. “Nel nuovo testo base abbiamo previsto che le Pa, se vogliono utilizzare l’in house, devono dimostrare che questo è più conveniente rispetto all’accesso al mercato”. Questa previsione generale viene specificata per le concessioni. “Qui l’in house va eliminato. Finisce l’epoca del meccanismo per il quale i lavori venivano affidati dal concessionario in house e senza gara, tenendo chiuso il mercato. Tutti i lavori devono essere messi in gara, anche a tutela delle concessionarie autostradali e delle piccole e medie imprese”.
Un’impostazione sulla quale il presidente di Aiscat, Fabrizio Palenzona frena: “E’ giusto che venga garantita la massima concorrenza e l’apertura del mercato, ma è anche giusto che, quando vince una gara, lo Stato garantisca al concessionario di comportarsi secondo quello che dice il bando”.
Regionalizzare le stazioni appaltanti
Sul fronte delle stazioni appaltanti, la riduzione del numero di Pa è un altro obiettivo della delega. Che, però, Esposito declina in maniera dettagliata, raccontando qual è il quadro che il Ddl in discussione presso la commissione Lavori pubblici del Senato intende raggiungere. “Di sicuro – premette – non si può continuare a dire che vogliamo la riduzione delle stazioni appaltanti e lasciare in piedi la situazione che c’è. Io ho formulato una proposta che prevede la regionalizzazione delle stazioni appaltanti, arrivando quindi a ventuno soggetti”.
Fuori da questo club così ristretto, saranno previste deroghe solo in due casi. “Penso ai Comuni capoluogo, che potranno avere stazioni appaltanti proprie, e ai piccoli Comuni, per i quali sono previste eccezioni legate all’importo delle gare”.
Un emendamento dei relatori, infatti, prevede tre soglie. I piccoli Comuni possono mandare in gara appalti fino a 150mila euro quando hanno popolazione sotto i 5mila abitanti; tra i 5mila e i 15mila abitanti questa soglia sale fino a 250mila euro. Oltre i 15mila abitanti si può appaltare fino a 350mila euro.
Esposito ha anche fatto il punto sui tempi dell’approvazione del Ddl. Questa settimana sarà occupata dai pareri della commissione Bilancio sugli emendamenti presentati in commissione Lavori pubblici. Appena chiusi i pareri, partiranno le votazioni: martedì 5 e mercoledì 6 maggio saranno i giorni caldi per approvare le proposte di modifica. A quel punto, il testo sarà pronto per l’Aula. “Puntiamo a discuterlo la settimana dell’undici maggio”, spiega il relatore.
Cantone: l’anticorruzione non frena la concorrenza
Il presidente Anac Raffaele Cantone, invece, ha parlato del nuovo ruolo che l’Autorità sta assumendo con la riforma. “Per qualcuno siamo un parafulmine, per altri una foglia di fico. Bisogna però riflettere sul fatto che i poteri di regolazione e di vigilanza sul mercato esistono già e vengono già svolti dall’Autorità”. L’invito di Cantone è a fare di più sul fronte delle sanzioni. “Al momento le stazioni appaltanti hanno la possibilità di non rispettare le nostre indicazioni. Un sistema di sanzioni vere ed effettive potrebbe aumentare l’efficacia delle nostre funzioni”. Senza contrastare la concorrenza e il mercato. “La legge Obiettivo, che era stata pensata per favorire la realizzazione di opere in tempi rapidi, ha costituito un ostacolo al mercato, non le regole anticorruzione. Anzi, gli appalti commissariati dell’Expo sono gli unici che rispettano i cronoprogrammi”.
Nencini: primo timbro dell’Ue
Intanto, il lavoro che la commissione Lavori pubblici sta facendo sulla riforma ha già ricevuto un primo apprezzamento informale della Commissione europea, nella persona di Joaquim Nunes de Almeida, direttore della Dg Mercato interno di Bruxelles. Lo ha rivelato il viceministro delle Infrastrutture, Riccardo Nencini: “C’è stato apprezzamento da parte sua, si tratta di un primo timbro che riceve la riforma italiana”. Sui lavori dei prossimi giorni, Nencini ha invitato a dialogare tra maggioranza e opposizione. “Non ci sono maggioranze predefinite nella discussione, non ci devono essere per un tema strategico come la riforma degli appalti”.
Zanda: puntare sulla progettazione
Il capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda invece ha puntato molto sull’importanza della progettazione. “La realizzazione dell’opera è solo la fase conclusiva di un processo, per questo è importante che la progettazione venga fatta con cura e in tempi adeguati”. Questo può andare anche a discapito dell’in house della pubblica amministrazione. “Bisogna anche, se serve, sottrarre il progetto alla pubblica amministrazione. Altrimenti, poi, non possiamo lamentarci di fenomeni come le varianti in corso d’opera. Conviene anzitutto allo Stato spendere di più in fase di progettazione”.