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Riforma appalti: i dieci nodi ancora aperti dopo il primo sì del Senato

Erano 53 prima dell'ultima tornata in Aula al Senato. Sono diventati 56 nel testo preso in carico dalla Camera. Continua ad allargarsi e arricchirsi il recinto di criteri che il Parlamento consegnerà al Governo per mettere a punto la riforma degli appalti, superando il vecchio codice. Almeno dieci punti di questo quadro rischiano però di aprire falle nel disegno così faticosamente messo a punto nel lungo lavoro dedicato alla delega in Senato.

Al primo posto c'è l'obiettivo di ridurre le stazioni appaltanti. Dovrebbero diventare 200, dalle attuali 36mila. Il Ddl delega, però, non fa altro che correggere, per l'ennesima volta, i tetti del Codice appalti per le gare dei piccoli Comuni. Nella versione attuale sono già stati prorogati quattro volte (e si studia il quinto rinvio). Non è chiaro perché stavolta l'operazione dovrebbe riuscire.

La seconda falla riguarda le autostrade. La commissione Lavori pubblici è partita da un obiettivo chiaro: mandare tutti i lavori delle concessionarie in gara. Le modifiche dell'Aula, però, hanno prodotto una norma piena di passaggi dubbi. Soprattutto, l'esclusione delle «concessioni in essere affidate con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea» potrebbe aprire spazi per deroghe eccellenti, come quella di Atlantia. E, parlando di Ppp, non viene affrontata la questione del rischio operativo.

Rischiano, poi, di aprire un terreno di confronto con Bruxelles almeno due dei passaggi dedicati alla qualificazione delle imprese. Il primo riguarda l'idea di usare i nuovi rating di reputazione come «misure di premialità» da assegnare in gara. Toccherà a Cantone stabilire il funzionamento del rating. Ma l'idea di attribuire punteggi aggiuntivi alle imprese con un buon curriculum rischia di incocciare con il divieto di commistione tra requisiti soggettivi (di partecipazione) e criteri obiettivi legati all'oggetto del contratto (prezzo, tempi, costi) di valutazione delle offerte ormai consolidato nella giurisprudenza europea e nazionale.

Lo stesso pericolo corre la stretta sull'avvalimento, visto che il prestito dei requisiti è regolato in maniera molto elastica in sede comunitaria.

Ampliando lo sguardo c'è da sottolineare una certa reticenza del provvedimento, molto preciso su tanti altri punti, su quale strada debba prendere il nuovo sistema di qualificazione. Si parla di «revisione», senza però mai nominare le Soa, le società private cui ora è affidato il compito di certificare i costruttori. Un segnale che si propende per il mantenimento dello status quo.

Infine, va citato il divieto di superare le prescrizioni minime dell'Ue (il famigerato gold plating): con 56 criteri di delega pare destinato a restare solo un auspicio.

Appalti, i dieci nodi ancora aprti nella riforma
1 – Stazioni appaltanti

I nuovi vincoli usciti dal Senato sembrano un compromesso in grado di incidere poco, alla prova dei fatti, sul numero effettivo dei centri di spesa. La riforma agisce, ancora una volta, sulle prerogative dei Comuni non capoluogo, dimenticando che ormai da anni il Codice appalti vigente prova a fare lo stesso, senza successo.

2 – Gold plating

È il divieto di imporre norme più stringenti rispetto ai vincoli comunitari, legato a filo doppio con la necessità di varare un Codice leggero. La realtà, però, è che il Senato parte male: 53 criteri di delega, il nuovo Codice, il regolamento e la soft law dell’Anac sono un viatico perfetto per superare i paletti che erano stati dati all’inizio.

3 – Lavori e servizi dei concessionari

Obbligo per i concessionari, attuali o futuri, di affidare con gara lavori e servizi, ma la versione finale è piena di norme poco chiare: ammesse anche le procedure semplificate (quali?), escluse le concessioni affidate anche con sola evidenza pubblica (caso Autostrade), soglia di 150mila euro poco logica, obbligo anche per i concessionari futuri con gara che va oltre le norme Ue.

4 – Qualificazione

Il sistema di qualificazione sarà rivisto, ma senza toccare il sistema Soa. Le società private non dovrebbero però occuparsi dei nuovi rating di reputazione. A rischio bocciatura Ue l'idea di usare i rating per aumentare i punteggi di gara.

5 – PPP e concessioni

Il Ddl delega impone il riordino di procedure e contratti, ma fa confusione tra partenariato pubblico privato e concessioni, e affronta solo indirettamente la novità chiave della direttiva 23, il trasferimento al privato del «rischio operativo», pur imponendo il rafforzamento degli studi di fattibilità e l'assistenza alle Pa locali.

6 – Incentivi 2% ai progetti in house

La delega non affronta il tema dei progetti in house della pubblica amministrazione. La cancellazione era stata promessa dall'ex ministro Maurizio Lupi. Poi non se ne è fatto nulla. Ora il tema torna d'attualità alla Camera.

7 – AVCPASS

Dopo le critiche sui malfunzionamenti e la promessa di metterci mano l'Anac si «libera» della banca dati dei requisiti ereditata dalla vecchia Avcp. In futuro se ne dovranno occupare alle Infrastrutture. Sembra un passo indietro.

8 – Manodopera locale

L'intendimento del Governo e del Senato è quello di privilegiare, in sede di gara, le Pmi che diano lavoro sui territori vicini al luogo dove ci saranno i cantieri. Questo obiettivo, però, sembra in contrasto con le regole europee sulla concorrenza. La delega, inoltre, non fornisce elementi per capire come verrà attuato concretamente.

9 – Avvalimento

La delega propone un nuovo giro di vite sull'avvalimento. Vietato il prestito dei requisiti «a cascata» e l'avvalimento sul possesso della qualificazione e dell'esperienza tecnica. La stretta è a rischio di bocciatura Ue.

10 – Performance Bond

La proposta di far saltare subito la garanzia globale di esecuzione non è passata. L'addio avverrà con il nuovo codice. Troppo tardi per un mercato alle prese con almeno tre grandi opere bloccate per la difficoltà a ottenere la nuova garanzia.