C’è una novità sui terreni dell’Expo ed è una suggestione per Milano: una città universitaria, un campus, un polo della ricerca avanzata e dell’informatica, potrebbe occupare l’area lasciata libera dall’esposizione universale.
Il progetto di fattibilità è allo studio del consiglio di amministrazione della Statale: si parla in queste ore di una nuova Città Studi, che prenderebbe il posto di quella esistente nella parte est di Milano, dove si trovano le vecchie palazzine delle facoltà di Fisica, Veterinaria, Agraria, Chimica, Scienze e Informatica.
Può essere una svolta per il dopo Expo, la prima concreta manifestazione di interesse per un’area che terminato l’evento, se non si prende una decisione, rischia di diventare terreno per topi. L’Università con il nuovo campus e il trasferimento di oltre 18 mila persone tra studenti e professori, potrebbe creare un formidabile aggregato di scienza e ricerca, con impianti sportivi, auditorium e residenze: una superficie complessiva di 200 mila metri quadrati che lascerebbe lo spazio per altri interventi, come quello annunciato dal presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca, che aveva parlato di creare sugli stessi terreni una Silicon Valley per favorire lo sviluppo della piccola e media impresa e non intaccherebbe il verde pubblico al quale è vincolata una parte consistente dell’area.
I costi dell’operazione devono ancora essere definiti, ma si valutano intorno ai quattrocento milioni, una cifra sostenibile solo in parte con la vendita degli immobili di proprietà dell’ateneo, che manterrebbe la sede storica di via Festa del Perdono. Una quota consistente potrebbe essere chiesta alla Cassa Depositi e Prestiti e un altro anticipo alla Bei, la Banca europea d’investimenti.
Operazioni non facili che però hanno una solida garanzia: gli studenti, la ricerca, i laboratori del futuro. C’è un altro scoglio da superare: il costo d’ingresso fissato da Arexpo, la società che ha ricevuto l’incarico da Regione e Comune di trovare uno sviluppatore. Oggi è fermo a 340 milioni.
Decisamente alto, come ha sostenuto uno degli ex proprietari di quei terreni, Marco Cabassi: «Li hanno pagati poco più di centoventi milioni e hanno triplicato il prezzo di vendita, neanche il privato più scaltro riuscirebbe a fare tanto…». Bisognerebbe passare per una svalutazione dell’investimento fatto dalla Regione, in nome di un vantaggio futuro per Milano e la collettività, per rendere meno ostico l’approccio all’area Expo. Così com’è, con quel «chip» d’ingresso, nessun gruppo ha azzardato finora una qualche manifestazione d’interesse.
L’orientamento dell’Università sembra quello di procedere su una strada delineata in alcuni incontri riservati: il campus è un’idea affascinante che svecchia di colpo l’immagine della Statale e dei suoi ricercatori confinati in edifici vecchi e fatiscenti. A questo punto il rettore dell’Università, Gianluca Vago, dovrà rinunciare al ruolo di consulente delle istituzioni pubbliche per il dopo Expo: non si può essere proponenti e valutatori. Il suo ateneo gioca una partita in proprio che impatta sui piani urbanistici della città e mette alla prova il delicato equilibrio fra le aree urbane e lo sviluppo di Milano, dentro e fuori dalle mura cittadine, nella cosiddetta Area metropolitana.
L’idea di una nuova Città Studi, come valore aggiunto per Milano, si soppesa con più pro che contro nei corridoi della Statale. A favore giocano i giovani, componente fondamentale della voce di Expo 2015, «energia per la vita». I giovani che danno speranza e innescano l’idea di futuro. Che sia un’università statale poi, solitamente bloccata da veti e burocrazia, a dirci che Milano può pensare in grande, si può considerare un buon segno.