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La pubblica amministrazione deve fare un passo indietro

Da tempo spending review e riforma della PA sono al centro dell'agenda politica, ma, almeno nel settore degli appalti, finora si è eluso il nodo: quali sono le funzioni necessarie della PA e quali quelle che vanno lasciate a un mercato trasparente e ben regolato? È possibile ridurre il perimetro della sfera (e della spesa) pubblica garantendo e rafforzando alcuni presidi fondamentali che garantiscano risultati più efficienti?

Il settore dei lavori pubblici – martoriato dalle inchieste per corruzione e ancor più dagli sprechi creati da costi eccessivi, tempi incerti e migliaia di opere incompiute – dovrebbe poter contare sulle risposte a questi quesiti già oggi. Spending review e riforma della struttura della PA si intrecciano strettamente, in questo campo, con altri due appuntamenti decisivi di queste settimane: la riforma del codice degli appalti e il recepimento delle direttive europee 23, 24 e 25 del 2014 che stanno ridefinendo regole e assetti di mercato in tutta Europa.

Si aggiunga a tutto questo la quarta rivoluzione industriale che sta portando in questo settore la rivoluzione digitale (attraverso il Building Information Modeling o Bim) consentendo abbattimenti di costi dell'ordine del 30%.

Torniamo alle funzioni della PA, oggi ridondanti dove non serve (perché il mercato offrirebbe soluzioni efficienti) e debolissime dove invece sarebbero fondamentali per rendere efficiente la domanda pubblica e il controllo dei risultati attesi. Per il settore degli appalti, non c'è solo la vergognosa espansione dell'in-house pubblico in spregio a qualunque regola di concorrenza e trasparenza.

Un esempio altamente significativo è quello del contributo del 2% di un appalto di lavori pubblici che si dà a un dipendente pubblico per affidargli (eludendo qualunque regola o principio di trasparenza o competizione) un incarico di progettazione. La ragione di questo istituto non è nella garanzia di una migliore progettazione, ma nel fatto che il 2% è gestito dalle singole amministrazioni e garantisce di fatto una forma di retribuzione integrativa a una parte del personale tecnico della PA, ovviamente con il consenso dei sindacati interni. Più volte si è discusso di abolire questa norma dal sapore clientelare, ma alla fine è sempre riuscita a sopravvivere.

Manca in Italia un mercato della progettazione che giustifichi questa forma di protezione del pubblico impiego? Ovviamente no: abbiamo ingegneri, architetti, società di ingegneria, società di progettazione di buona qualità. È vero piuttosto il contrario ed è un'evidenza sintomatica del modello italiano: l'eccesso di presenza della PA impedisce lo sviluppo di un mercato della progettazione.

Anche altre ragioni, tutte gravi, concorrono in realtà ad aggravare questo limite italiano: la marginalità del progetto (per favorire invece la centralità della variante in corso d'opera), il trasferimento in molti casi della progettazione alle imprese di costruzioni (appalto integrato), la negazione dello strumento altrove dominante in Europa del concorso di progettazione e, al fondo di tutto, una incapacità della pubblica amministrazione di svolgere il compito che sta a monte del progetto, l'individuazione e l'esplicitazione dei fabbisogni pubblici che l'opera pubblica vuole soddisfare. Non si riesce a far capire l'importanza del progetto in Italia perché la PA non riesce a esplicitare in modo adeguato a cosa serva l'opera.

I fautori di una PA dal perimetro largo accusano i progettisti esterni di incapacità di tradurre i fabbisogni in progetti (o peggio di essere asserviti a interessi esterni alla PA) ma nella gran parte dei casi la PA affida un progetto senza dire (o, peggio, senza sapere) cosa si voglia da quel progetto. Molti mali degli appalti in Italia nascono da qui: è qui che si crea l'area grigia in cui proliferano corruzione, progettazione carente, varianti in corso d'opera e riserve che fanno lievitare costi e tempi.

Per l'operatore pubblico sono cinque ambiti di responsabilità
Ma torniamo al tema delle funzioni-chiave che la PA dovrebbe tenere per sé e potenziare per dare vita a opere pubbliche di qualità. Cinque sono, a nostro avviso, quelle fondamentali: regolazione, pianificazione, responsabile unico del procedimento (RUP), direzione lavori, vigilanza. La prima e l'ultima sono funzioni generali del sistema, mentre le tre centrali appartengono alla singola amministrazione o stazione appaltante.

La Regolazione. La regolazione oggi andrebbe rafforzata contemporaneamente a un processo fortissimo di delegificazione. È una proposta non nuova per questo giornale: servono meno di un terzo dei 600 articoli che oggi costituiscono codice appalti e regolamento e serve invece il potenziamento della soft law affidata all'Autorità nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone attraverso l'emanazione di linee-guida, interpretazione delle norme, bandi-tipo, assistenza tecnica alle amministrazioni, valutazione di stazioni appaltanti e imprese sulla base dei risultati. Un grave deterioramento del mercato dei lavori pubblici si è avuto quando, negli anni '80, è venuto meno il potere di interpretazione delle norme da parte del ministero dei Lavori pubblici in seguito all'entrata in funzione delle Regioni che quel potere ha eroso. Ricostituirlo oggi in capo a un soggetto nazionale è fondamentale per evitare spezzatini territoriali e una certa "anarchia" interpretativa che costituisce il brodo di coltura della corruzione e degli sprechi.

La Pianificazione. La pianificazione pure andrebbe oggi fortemente potenziata e soprattutto deve cambiare l'idea di utilità dell'opera. L'infrastruttura è sempre più contenitore di servizi e bisogna guardare ai servizi che è in grandi dare ai cittadini prima che al valore del lavoro. Molto bene il Mef che sta propronendo l'introduzione di strumenti a standard internazionale, come l'analisi costi-benefici, per valutare l'utilità di un'opera. Tutto questo entri nel codice appalti e le amministrazioni se ne avvalgano per ricostruire un rapporto sano fra infrastruttura, politica, amministrazione e cittadini.

Il RUP. Il Responsabile unico del procedimento (RUP) oggi è una figura della stazione appaltante sottovalutata e deve diventare invece centrale: il dirigente tecnico che prende in carico l'opera e deve avere i mezzi e la forza necessari per portarla avanti nel rispetto delle regole ma anche per difenderla da interessi impropri. Il suo lavoro deve essere valutato dalla capacità di dare attuazione alla pianificazione ma anche dalla capacità di rispettare costi e tempi (utili sarebbero incentivi in questo senso).

La direzione lavori. Stesso discorso vale per il direttore lavori che è la figura centrale della PA nell'esecuzione del contratto. Il direttore lavori deve essere il custode dell'esecuzione fedele del progetto e deve ridurre gli scostamenti dal progetto in termini di varianti. Ovviamente questo sarà possibile solo quando il progetto esecutivo che gli viene affidato sia della qualità giusta. Deve comunque finire subito la degenerazione della legge obiettivo che affida la direzione lavori al General Contractor.

La vigilanza. Infine, la vigilanza che si articola su più livelli, da quello interno all'amministrazione (collaudo), a quella dell'ANAC o della Corte dei conti, a quella della magistratura penale per i fenomeni patologici di corruzione o di turbative d'asta. Questi presidi devono restare ma l'auspicio è che il potenziamento delle funzioni di qualità a monte (soprattutto soft law) riduca a valle la necessità di interventi in violazione delle regole. Solo così il mercato potrà tornare a funzionare, le opere a essere utili, i cittadini ad apprezzare il risultato di questo processo. C'è invece da auspicare che cresca la vigilanza lasciata direttamente ai cittadini attraverso gli open data che sempre più stanno contribuendo e devono contribuire a rendere trasparente l'azione della PA. Nelle opere pubbliche è auspicabile da subito una Norma del codice che renda pubbliche in tempo reale tutte le informazioni che non siano strettamente riservate.