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Il giallo degli impianti semaforici

Un giallo che non è un thriller, un poliziesco o un horror. Ci riferiamo, molto più semplicemente, agli impianti semaforici e alla recente sentenza della Cassazione secondo la quale è legittimo il “taglio” del tempo che intercorre nella transizione dal verde al rosso.

Le polemiche, in merito alla decisione della Suprema Corte, non mancano. I più obiettano che il lasso di tempo a disposizione di un automobilista “normale”, dotato di medie capacità di guida, è troppo limitato. Questo può creare, quindi, condizioni di oggettivo pericolo.

Molti si sono premurati di verificare quanti metri percorre una vettura alla velocità di 50 km/h, fino a suggerire la definitiva eliminazione degli incroci per la realizzazione, dove possibile, delle rotatorie.

Non sono pochi, poi, quelli che vedono nella sentenza un’ulteriore opportunità, per i Comuni, di “fare cassa” con i proventi contravvenzionali, aumentando il quantitativo degli accertamenti di infrazione (che, oltretutto, potendo essere effettuati mediante strumentazioni tecnologiche, anziché mediante pattuglie presenti sul posto, prescindono da un’effettiva “valutazione” umana sulla pericolosità in un determinato contesto di traffico).

È, quest’ultimo, un problema estremamente serio, che riguarda la natura e finalità della sanzione in collegamento con il precetto da cui essa scaturisce, e, dunque, uno dei meccanismi-base del vivere in società organizzate e civili.

La vicenda del giallo semaforico è piccola ma indicativa: una vera cartina di tornasole sulle possibili distorsioni di un sistema.

La sanzione ha ragione di esistere nella misura in cui sia collegata alla trasgressione di un dovere: è la consapevolezza di trasgredire che sta alla base di tutto. Nel nostro caso, si tratta del dovere di (sono parole del Codice della Strada, art. 41 comma 10) «sgombrare sollecitamente l’area di intersezione con opportuna prudenza».

Diminuire i tempi del giallo equivale a ridurre la concreta possibilità di adempiere correttamente il dovere. Insomma: minori possibilità di improntare a diligenza il proprio comportamento.

Chi si approssima a un incrocio e vede la luce verde, d’ora in poi, può essere portato ad accelerare bruscamente, sapendo di poter contare su un ridottissimo periodo di luce gialla; oppure a “inchiodare”, ipotizzando la presenza di telecamere della Polizia Municipale.

Comportamenti, entrambi, estranei al concetto di sicurezza. In ogni caso, l’eventuale verbale che dovesse arrivargli a casa, chiuso nella nota busta verde, sarà visto e percepito alla stregua di un inconveniente della vita, un danno imprevisto non dissimile da una foratura o un guasto. Non certo, riteniamo, come la risposta, voluta dalla Legge e quindi dai consociati tutti, a una trasgressione reputata nociva per la convivenza.

Il recupero di un minimo di “valenza etica” della sanzione, pure in un ambito standardizzato, tecnologico e ripetitivo come quello della circolazione stradale, può e deve essere considerato, nel momento in cui ci si accinge a riscrivere il Codice della Strada, una sfida di primissimo piano.