Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Draghi: «La crescita sta tornando»

È da New York che Mario Draghi, poco prima di partire per Lima e per gli incontri annuali del Fondo monetario internazionale/Banca Mondiale della settimana prossima, ha voluto dare un messaggio “forte” e di inquadramento europeo per le sue controparti, ministri delle finanze e banchieri centrali internazionali che potrebbero confondere le polemiche su immigrati e rifugiati con la stabilità della macchina economica.

Quello di Draghi, premiato dall’Atlantic Council, è stato un messaggio forte, per una platea d’eccezione che includeva oltre al vicepresidente degli Stati Uniti d’America Joe Biden anche influenti pensatori su ruoli e metodi europei come Henry Kissinger e lo stesso direttore del Fondo Monetario, Christine Lagarde: «L’Europa sta tornando alla crescita», «i progressi compiuti negli ultimi tre anni sono reali, la strada è chiaramente indicata e non si tornerà indietro fino a quando l’integrazione monetaria non sarà completata e la coesione europea non sarà raggiunta». Poi un contesto storico per dare l’idea del lavoro compiuto: «Quando l’integrità dell’area dell’euro è stata in pericolo – ha detto Draghi – lo è stata anche la prosperità mondiale. Può darne testimonianza Christine Lagarde, che ha presieduto numerose riunioni del Fmi nelle quali il primo argomento in discussione era l’area dell’euro.

Allo stesso modo, il ritorno dell’economia dell’area su un percorso di crescita durevole, sotto l’impulso della nostra politica monetaria, è una buona notizia per tutti, in qualsiasi parte del mondo». Queste le parole di Draghi determinate e ottimiste si sono rivolte a una platea raccolta dall’Atlantic Council per la sua cena annuale che fra i molti notabili, con forte capacità di influenza non solo per gli Stati Uniti ma per il contesto internazionale, includeva l’ex capo per la Sicurezza nazionale Brent Scowcroft ai tempi di Bush, l’ex numero due del dipartimento di Stato Bob Hormatz, Larry Fink, capo di BlackRock, il presidente colombiano Juan Manuel Santos, la presidente della Croazia Kolinda Grabar Kitarovic, l’ex presidente della Polonia Alexander Kawsniewski. Parole forti necessarie quelle di Draghi, perché fra le righe sia Biden che Kissinger hanno fatto capire di avere ancora qualche dubbio sui progressi reali dell’integrazione europea come “Unione”.

Per questo è stato proprio attorno al concetto di Unione che Draghi ha costruito il suo messaggio. «L’Unione europea in questo nostro mondo diviso è l’esperimento più avanzato per tenere insieme popoli e culture spesso molto diverse. Il destino dell’Europa è naturalmente di interesse immediato per i suoi cittadini. Ma ha anche rilevanza diretta per il resto del mondo.

L’Unione europea e la sua unione monetaria sono progetti regionali con implicazioni globali». E poi, prendendo a prestito una frase cara agli americani, Draghi ha detto che «si dovrà lavorare per un’unione più perfetta», un discorso quasi più politico che economico, forse per far capire a Henry Kissinger, oltre novant’anni lucidissimo e pieno di energia, colui che disse: «Non c’è un numero di telefono per l’Europa» che quel numero ora c’è davvero e porta direttamente alla Bce di Mario Draghi.

Il presidente della Bce ha ricordato le dimensioni dell’Europa nell’economia globale: «Pur non avendo contribuito in misura sostanziale alla crescita mondiale negli ultimi 7-8 anni – ha detto ancora – l’area dell’euro rappresenta comunque il 17% del Pil e il 16% dell’interscambio a livello mondiale. Quando l’integrità dell’area dell’euro è stata in pericolo, lo è stata anche la prosperità mondiale» ha detto Draghi.