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Dissesto senza progetti, il nuovo piano slitta al 2016

Slitta al 2016 l'avvio del piano nazionale contro il dissesto idrogeologico per cui le Regioni hanno avanzato richieste di finanziamento per oltre 21 miliardi, a fronte di risorse annunciate in 7 miliardi dal Governo.

I ritardi nella progettazione degli interventi segnalati dagli enti locali (solo il 4,9% è un progetto esecutivo), la necessità di attendere il riparto del Fondo sviluppo e coesione (che non arriverà prima di un paio di mesi) insieme all'intenzione di stilare una graduatoria delle opere da finanziare non legata semplicemente al criterio della cantierabilità degli interventi hanno imposto un aggiornamento del cronoprogramma su cui si era attestata fino a pochi mesi fa la stessa Unità di missione che coordina il programma da Palazzo Chigi.

«Contiamo di poter confezionare il nuovo piano entro i primi mesi dell'anno prossimo», dice Mauro Grassi, direttore generale dell'Unità guidata da Erasmo D'Angelis. Il calendario è presto fatto. Bisognerà attendere la fine di aprile per la ripartizione del Fondo sviluppo e coesione. Poi comincerà il lavoro di selezione dei 6.647 progetti arrivati dal territorio. «Per stilare la graduatoria delle priorità – ammette Grassi – ci vorrà qualche mese».

Per quest'anno dunque tutto ruoterà intorno al completamento dei lavori previsti dai vecchi accordi di programma e al piano per la difesa del suolo delle aree metropolitane, stralciato dal nuovo programma nazionale in autunno sull'onda dell'emergenza post-alluvione a Genova. Sul primo fronte «contiamo di avviare interventi per 1,1 miliardi», dice Grassi.

Il piano stralcio arriverà al punto cruciale poco prima dell'estate, dopo la pubblicazione in Gazzetta della delibera Cipe che il 20 febbraio ha stanziato 600 milioni per finanziare gli interventi nelle 14 grandi città, destinando 100 milioni al fondo per colmare i ritardi nella progettazione delle opere di mitigazione del rischio.

Scorrendo gli elenchi delle Regioni, abbiamo trovato pochi progetti e centinaia di titoli». Erasmo D'Angelis, capo dell'unità di missione di Palazzo Chigi, lo ha ripetuto più volte nelle ultime settimane: nel pentolone dei lavori per la messa in sicurezza del territorio c'erano molte ipotesi e poca carta. E i numeri, analizzati nel dettaglio, lo confermano: preliminari e studi di fattibilità pesano per l'80% del totale delle richieste delle amministrazioni. Gli esecutivi, che possono andare immediatamente in gara, sono appena il 4,9% del totale. Si tratta di un miliardo, una cifra che può dare benzina alle gare soltanto per un anno. Preoccupa, soprattutto, la situazione di alcune Regioni, come Puglia, Calabria, Liguria e Piemonte.

A questo primo ritardo si è sommata una trafila parecchio faticosa per arrivare alla definizione del quadro finanziario del piano nazionale. I fondi Fsc, sui quali ci si è orientati per pagare il miliardo all'anno di interventi, verranno ripartiti non prima della fine di aprile: l'idea di passare dalla Bei è finita nel nulla. Dopo quella data andranno individuati i criteri per comporre gli elenchi di opere da realizzare. Ci si baserà, soprattutto, sull'urgenza e sul pericolo per i territori. E questo rimetterà in gioco parecchi progetti che, in questa fase, appaiono più indietro. L'obiettivo è comporre un quadro completo dopo l'estate e partire nel 2016.

I dati dell'unità di missione di Palazzo Chigi permettono di ricostruire in maniera esatta la mappa della progettazione sulla messa in sicurezza del territorio. A oggi dalle diverse Regioni sono arrivati piani per 6.700 interventi circa, per un valore complessivo di 21 miliardi di euro. Questi numeri – va precisato – non includono il piano stralcio per le aree metropolitane. Nella grande maggioranza dei casi, però, gli uffici di Erasmo D'Angelis hanno tra le mani poco più che titoli per possibili lavori futuri: 7,6 miliardi (il 36,3%) di interventi sono fermi allo studio di fattibilità, mentre 9,4 miliardi (il 44,8%) sono allo stadio del preliminare. Di fatto, oltre l'80% dei lavori (17 miliardi totali) per la messa in sicurezza non può andare in gara. I quattro miliardi restanti sono divisi tra progetti esecutivi (un miliardo circa) e definitivi (poco meno di tre miliardi). I primi sono gli unici a poter andare direttamente al bando. Per i secondi è necessario attivare una procedura più complessa, l'appalto integrato, che allunga i tempi.