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Degrado urbano, ecco il «decreto Piano» con 200 milioni per il rammendo delle periferie

Una super commissione composta da rappresentanti di sei ministeri (Infrastrutture, Economia, Beni culturali, Affari regionali, Pari opportunità e, infine, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica). Allo stesso tavolo siedono inoltre rappresentanti dell'Agenzia del Demanio, rappresentanti delle Regioni e dei italiani. È un apparato burocratico pesante e articolato quello che dovrà gestire la selezione della pioggia di richiesta che arriveranno da tutta Italia entro il 30 novembre per contendersi i 200 milioni messi a disposizione dal Governo per interventi di "rammendo" e ricucitura "urbana", nello stile che l'architetto e Senatore a vita Renzo Piano ha fatto vedere nei mesi scorsi con i casi-prototipo di Roma, Catania e Torino.

I progetti vengono individuati «con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri». L'iter prosegue con la «stipulazione di convenzioni o accordi di programma con i soggetti promotori dei progetti medesimi». Le convenzioni stabiliscono un cronoprogramma ferreo e una serie di «criteri e modalità per la revoca dei finanziamenti in caso di inerzia realizzativa». Non solo. Nelle «convenzioni o accordi di programma vengono definite le modalità necessarie all'espletamento della attività di monitoraggio degli interventi». Chi non sta al passo di questo rigido protocollo viene cancellato dalla lista e i finanziamenti assegnati al successivo intervento in graduatoria.

L'apparato tecnico per la valutazione dei progetti è uno schema a scatole cinesi. Il Dpcm prevede infatti che il "comitatone" con i rappresentanti di ministeri, regioni, demanio e comuni si avvalga del «supporto di una segreteria tecnica, che opera presso il Dipartimento per le pari opportunità, composta da personale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in un numero di componenti non superiore a dieci unità». I componenti del comitato e della segreteria tecnica «sono individuati con decreto del segretario generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su designazione delle amministrazioni o degli enti interessati».

Ma dopo la segreteria ci potrà essere una seconda struttura: «Per attività di supporto e di assistenza gestionale alle attività successive alla valutazione dei progetti – si legge ancora – il Dipartimento per le pari opportunità può stipulare convenzioni ed accordi con enti pubblici e privati, nell'ambito delle disponibilità finanziarie esistenti».

Insomma, già si preannuncia un apparato pesante e che, soprattutto, ricorda – sia pure con alcune differenze – il meccanismo della valutazione dei progetti del piano città. Piano città che – partito con i migliori auspici – ha purtroppo però ben presto evidenziato forti limiti nell'istruttoria dei progetti. Come per il piano città, anche in questo caso, si vuole puntare a progetti il più possibile pronti – "cantierabili" – in modo che le risorse possano essere spese nel più breve tempo possibile.

C'è però una differenza importante tra il piano città lanciato dal governo Monti e questo piano per il recupero delle periferie: il taglio degli interventi è, in questo caso, molto più basso, mentre il numero delle iniziative sarà elevato. Inoltre, lo schema di bando per assegnare i 200 milioni alla "ricucitura" delle periferie è molto attento agli aspetti formali che definiscono e individuano la situazione di degrado. Molto meno si dice, invece, sugli elementi in grado di sviluppare la creatività e la progettualità da mettere in campo nell'intervento.