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Centrali regionali per gli appalti soprasoglia, per Palazzo Chigi la norma è da rivedere

L'aggregazione delle stazioni appaltanti è ancora un cantiere aperto. Nonostante la sovrapposizione di interventi normativi, ultimo dei quali è il recepimento delle direttive europee in materia di contratti pubblici, la complessa vicenda dell'accorpamento dei centri di costo della pubblica amministrazione fatica a trovare una composizione.

E' emerso con chiarezza nel corso di un incontro organizzato ieri (7 luglio) a Roma dall'Anci dove, oltre alle richieste dei Comuni, sono venute fuori le incertezze delle Regioni che, secondo le previsioni della riforma appalti, dovranno gestire tutte le gare sopra la soglia comunitaria: un impatto impossibile da assorbire. Così, già si fanno ipotesi di modifica al testo della delega uscito dal Senato e in discussione alla Camera. Addirittura, il relatore del Ddl a Palazzo Madama, Stefano Esposito, lo ha ammesso apertamente: le norme sulle centrali di committenza sono tra le parti da rivedere. E Antonella Manzione, capo dell'ufficio legislativo di Palazzo Chigi è stata ancora più esplicita: su soggetti aggregatori regionali e piccoli appalti dei Comuni l'assetto attuale non funziona.

Il fronte dei Comuni

Le perplessità dell'Anci si concentrano su due punti principali. Il primo riguarda le norme in vigore, come spiega Guglielmina Olivieri Pennesi, responsabile dell'Ufficio lavori pubblici dell'associazione: «Attualmente i Comuni sotto i 10mila abitanti non possono appaltare da soli in nessun caso, anche al di sotto dei 40mila euro. Bisogna individuare una soglia, eventualmente più bassa, che ci consenta di risolvere questo problema. Bastano anche 20mila euro».

La norma che rivede tutto il sistema delle centrali di committenza al momento è sospesa, almeno fino al primo settembre. E il Ddl scuola prorogherà il congelamento, salvo soprese, al primo novembre. La sua entrata in vigore, però, porterà conseguenze devastanti. Per questo va corretta prima possibile.

Peggio ancora potrebbe fare la riforma appalti. Qui si stabilisce che i Comuni non capoluogo dovranno ricorrere ai soggetti aggregatori di livello regionale al di sopra della soglia comunitaria (5,2 milioni per i lavori e 200mila euro per i servizi e le forniture). Sotto la soglia comunitaria, ma sopra i 100mila euro, bisognerà affidarsi a livelli di aggregazione subprovinciale. A questo scopo, andranno individuati "ambiti territorialmente omogenei" per le aggregazioni e andranno garantite le minoranze linguistiche. Sotto i 100mila euro non ci sono vincoli particolari.

Il timore dell'Anci, però, è che in fase di attuazione anche sotto la soglia dei 100mila euro vengano posti vincoli ulteriori, legando le amministrazioni mani e piedi, magari facendo leva sulla qualificazione delle stazioni appaltanti, affidata all'Anac. «Serve un chiarimento – dice ancora Olivieri – su cosa accadrà sotto i 100mila euro».

I profili tecnici

I tecnici dell'associazione sommano al pacchetto di perplessità altri dubbi più di dettaglio. «Oltre al Codice andrebbe cambiato anche il Testo unico sugli enti locali – dice Alberto Barbiero del tavolo tecnico dell'Anci -, perché le prerogative di programmazione sono rimaste in capo ai Comuni, così si crea una separazione tra due livelli contigui: la programmazione e le gare. Allo stesso modo bisognerebbe ridefinire il ruolo del responsabile unico del procedimento in caso di ricorso alle centrali di committenza».

Gianpiero Fortunato, consulente del Comune di Salerno, solleva invece il problema della ripartizione di competenze: «La gestione è sicuramente competenza della centrale di committenza, mentre sulla fase di programmazione e su quella di esecuzione della gara i Comuni hanno ancora i poteri principali. Se vogliamo arrivare a un vero accorpamento, dovremo fare una riflessione su questo».

Da Claudio Lucidi del Comune di Roma, invece, arriva una stoccata contro la «tendenza a fare accorpamenti che partano dal livello più alto e a seguire criteri che non hanno corrispondenza con la realtà. Mi chiedo ad esempio dove sta scritto che ci si debba vincolare a Comuni territorialmente vicini per fare le gare». Bisognerebbe, invece, ragionare in concreto sulle competenze specifiche delle amministrazioni. «Nel caso del Ppp potrebbe essere consentito il ricorso alle attività specialistiche di Pa appositamente qualificate», senza per forza seguire il criterio territoriale.

Pericolo blocco per le Regioni

Ivana Malvaso della Centrale di committenza della Regione Toscana, poi, solleva un altro problema. «Ci preoccupa molto la norma della delega appalti che assegna tutte le gare sopra soglia alle Regioni, su lavori, servizi e forniture. Mi chiedo se gli uffici che dovranno svolgere queste funzioni saranno effettivamente in grado di occuparsene. Siamo in un periodo nel quale le Regioni stanno subendo tagli continui e gli si chiede di prendersi carico di un numero di gare parecchio rilevante». Senza contare che «ci sono diversi passaggi nei quali la norma sui soggetti aggregatori non è chiara. Mi chiedo, ad esempio, entro quali confini dovrà agire la Regione e dove, invece, comincerà il lavoro della Città metropolitana».

Le risposte di Parlamento e Governo

A tutte queste sollecitazioni è arrivata una prima risposta di carattere generale dal relatore della riforma appalti al Senato, Stefano Esposito: «Il compromesso inserito nella norma è stato trovato all'ultimo minuto ed è frutto di una lunga trattativa. La soglia che fissa a 100mila euro per qualcuno è troppo bassa mentre per altri è eccessiva. Personalmente, non saprei come intervenire, ma ammetto che è un passaggio sul quale alla Camera ci potranno essere correzioni».

Qualche suggerimento sul lavoro da fare arriva da Antonella Manzione, capo del Dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi. «C'è da discutere su quale sia la soglia ottimale oltre la quale affidare le competenze alle Regioni. Siamo sicuri che queste siano in grado di gestire tutti gli appalti sopra soglia? Mi chiedo se è stata fatta una quantificazione della loro capacità di gestione immediata delle procedure che gli potrebbero arrivare con la riforma». Allo stesso modo, andrà fatta una riflessione sulla questione degli appalti di importo minimo. «Non siamo stati neppure in grado di rispondere alla richiesta dei piccoli Comuni di fare appalti sotto i 40mila euro. Su questo dovremmo intervenire».

Sullo sfondo, poi, resta l'Anac che, come spiega il consigliere Michele Corradino, si occuperà di «vigilare che le situazioni di potere e di monopolio in capo ai soggetti aggregatori non generino corruzione. La soft regulation, in questo senso, sarà fondamentale».