Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Posted in:

L’analisi del rischio sismico di viadotti a rete: un possibile approccio

L’Italia ha un ingente patrimonio di opere d’arte autostradali in esercizio da 40-50 anni. Il loro risanamento e adeguamento sismico richiede un impegno finanziario tale da imporre una gradualità degli interventi da definirsi in base a criteri il più possibile oggettivi

L’analisi del rischio sismico di viadotti a rete: un possibile approccio

In aggiunta, la Norma individua due possibili alternative ai fini della valutazione della sicurezza, che per le opere esistenti può essere limitato agli Stati limite Ultimi (la nuova Norma introduce al tal proposito per le opere in classe d’uso IV la necessità di garantire anche gli stati limite di servizio), quella nei confronti dello Stato Limite di Salvaguardia della Vita (SLV) e quello di Collasso (SLC).

Se si segue un calcolo in termini di resistenza l’approccio da seguire è quello classico dello SLV. Se si segue un’analisi in termini di duttilità, possono essere indifferentemente seguiti entrambi gli approcci. Il passaggio dall’uno, SLC, all’altro SLV, porta a un vantaggio in termini di sicurezza.

La Norma impone assunzioni di responsabilità da parte del Progettista sulla scelta dei livelli di duttilità da attribuire ai singoli elementi strutturali, indipendentemente da quale sia il metodo di analisi utilizzato. Come noto, la gran parte delle opere d’arte della rete nazionale sono state progettate e costruite senza criteri antisismici (molte zone del territorio nazionale non erano classificate a rischio sismico) o adottando quelli congruenti con le conoscenze e le prescrizioni normative dell’epoca di costruzione.

In questi casi, non venivano comunque richiesti i dettagli costruttivi previsti oggi dalla Normativa per dotare le nuove opere di livelli minimi di duttilità. Le carenze più di frequente riscontrabili sulle opere esistenti sono: l’assenza di confinamento delle barre longitudinali, l’incuranza sulle sovrapposizioni nelle zone critiche e in generale tutte le prescrizioni sui quantitativi minimi di armatura a taglio da prevedere nelle zone di cerniera plastica; a ciò deve aggiungersi il livello di degrado, che svolge un ruolo molto importante sulla effettiva risposta della struttura soprattutto quando sottoposta ad eventi ciclici estremi.

Pertanto, attribuire a un’opera realizzata negli anni Settanta, una risposta in termini di duttilità equivalente a fattori di struttura superiori a 1,5-2,0, appare difficile da giustificare, soprattutto se ci si riferisce alla sola formazione contemporanea di cerniere plastiche poste alla base delle pile.

Nello studio di vulnerabilità di una infrastruttura a rete esistente, gran parte delle differenze metodologiche sopra brevemente esposte perdono in parte di valenza in quanto in questi casi è importante non tanto individuare la soglia estrema di capacità ultima di ciascuna di esse, quanto definire una scala di priorità di interventi mirati alla riduzione progressiva del livello di rischio; ciò deve essere necessariamente basato su un giudizio omogeneo e indipendente dalla tipologia strutturale.