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I concetti elementari alla base della robustezza strutturale di ponti e viadotti – seconda parte

La robustezza è la qualità strutturale fondamentale che permette a un ponte o a un viadotto di sopravvivere agli eventi negativi, anche estremi, che si possono presentare lungo la vita di queste opere d’arte e rappresenta la possibilità di eludere crolli disastrosi

I concetti elementari alla base della robustezza strutturale di ponti e viadotti – seconda parte

Nella prima parte dell’articolo che abbiamo presentato sul fascicolo n° 138 Novembre/Dicembre 2019 e su https://www.stradeeautostrade.it/ponti-e-viadotti/i-concetti-elementari-alla-base-della-robustezza-strutturale-di-ponti-e-viadotti-prima-parte/, è stato descritto il quadro a cui si deve fare riferimento per la progettazione di una opera d’arte come un ponte e un viadotto, riconoscendo le caratteristiche intrinseche delle azioni a cui queste opere sono soggette.

Il riconoscimento di eventi estremi, che sfuggono a una precisa descrizione statistica, deve portare a concepire strutture robuste. In questo modo, si possono evitare collassi disastrosi e in particolare collassi progressivi.

Nella seconda parte qui proposta viene ora ampliato il tema della robustezza strutturale considerando il contesto più generale in cui viene concepita e progettata un’opera d’arte come un ponte o un viadotto, riconoscendo aspetti profondi che rendono la concezione strutturale la fase più delicata e importante nella realizzazione di tali opere. 

  • robustezza strutturale
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    1A. Danni riportati ad un velivolo B17 durante la Seconda Guerra Mondiale
  • robustezza strutturale
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    1B. Danni riportati ad un velivolo B17 durante la Seconda Guerra Mondiale

Le strategie di progetto per la robustezza

Come accade frequentemente nell’Ingegneria, dall’esame degli insuccessi si può risalire a idee per progetti che li evitino, o almeno, li contrastino: questo è un processo di aumento delle conoscenze tipico della Ingegneria Forense.

Un ulteriore aspetto da considerare è che si possono (si devono) applicare per analogia idee progettuali anche da altri tipi di Ingegneria Strutturale oltre che quella dell’Ingegneria Civile: in particolare, il concetto di robustezza è innato nelle strutture previste nell’Ingegneria Navale e nell’Ingegneria Aeronautica.

Da queste considerazioni, si arriva a individuare due strategie di progetto per ottenere costruzioni robuste.

Strategia 1: aumentare la continuità della struttura

La prima strategia per rendere robusta una struttura è quella di rendere le parti che la compongono molto connesse. In questo modo, la struttura tende ad essere maggiormente iperstatica e può quindi presentare una ridondanza di percorsi di trasferimento del carico dal punto di applicazione alle fondazioni.

Deve comunque essere osservato che non esiste una correlazione diretta fra aumento della iperstaticità e aumento della robustezza. Per avere un’idea di questa strategia, anche qui il riferimento naturale è quello delle fusoliere degli aeroplani.

Le Figure 1A e 1B illustrano un noto caso di collasso limitato di un aeromobile durante la Seconda Guerra Mondiale: le fusoliere di questi velivoli erano, infatti, altamente connesse essendo composte da fasci di elementi (aste geodetiche) che risultavano nel complesso difficilmente tranciabili.

Questo elevato grado di connessione che permette di sopperire al fallimento di alcuni elementi senza condurre ad un collasso generalizzato, presentando una ridondanza nel percorso dei carichi, è mancato, ad esempio, nel caso del New Haengju Bridge in Corea illustrato in Figura 2: in questo caso, il cedimento locale di un appoggio ha provocato una crisi globale del ponte.

Un analogo cedimento nel Nipigon River Bridge in Canada, rappresentato in Figura 3, ha provocato invece solo danni riparabili avendo a disposizione, in questo ponte, una cortina di stralli. Proprio queste considerazioni hanno portato negli anni a passare da schemi di ponti strallati con pochi stralli a schemi moderni con un numero significativo di stralli. 

  • robustezza strutturale
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    2. Il collasso globale del New Haengju Bridge
  • robustezza strutturale
    3 bon
    3. Il collasso parziale del Nipigon River Bridge
Strategia 2: segmentare la struttura

Questa seconda strategia per rendere robusta una struttura risulta, paradossalmente, opposta alla precedente: per rendere robusta una struttura è qui necessario suddividerla in compartimenti il più possibile isolati l’uno dall’altro, in modo che il collasso di uno di questi compartimenti resti confinato in esso e non si propaghi.

Quindi, al posto di aumentare la continuità fra le parti della struttura, si opera cercando di rendere discontinua la struttura. Questa idea è comune ad esempio nel contrasto dello sviluppo di un incendio: il concetto di compartimentazione contro il propagarsi delle fiamme è ben noto.

Questa operazione di suddivisione non implica necessariamente una separazione fisica: con riferimento alla Figura 4 che ritrae ancora una volta un velivolo, si vede che la perdita di parte della carlinga è stata interrotta dalla presenza di ordinate di forza (elementi trasversali all’asse del velivolo).

Questi elementi sono analoghi alle ghiere presenti negli tubazioni come gli oleodotti che hanno lo scopo di arrestare eventuali ovalizzazioni o perdite di forma della sezione delle condotte.

Ancora, la compartimentazione presente nelle navi permette loro di subire l’allagamento di una parte senza che la nave affondi. Infine, la separazione può essere non solo spaziale ma anche temporale: si pensi, ad esempio, alla quarantena messa in atto nel caso di malattie contagiose.

La declinazione sulle strutture da ponte sono note da tempo: si consideri, ad esempio, il ponte ferroviario in muratura che collega Venezia alla terraferma costruito nel 1846 (Figura 5).

In tale struttura, è evidente la presenza ogni cinque archi in muratura di un elemento solido che può interrompere la propagazione del collasso progressivo della serie di archi qualora uno di essi avesse ceduto.

La presenza di questi elementi di forza, è riconoscibile, ad esempio, anche nel caso del viadotto sulla Haute Marne rappresentato in Figura 6: anche qui, il codice genetico della struttura è immediatamente riconoscibile.

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    4. I danni riportati in un velivolo Boeing 737-200 nel 1988
  • robustezza strutturale
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    5. Il ponte della Libertà a Venezia
  • robustezza strutturale
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    6. Il viadotto Chaumont Haute Marne

Il caso dei viadotti

La strategia di segmentare una struttura per renderla più robusta ha caratteristiche più generali della prima che prevede di aumentarne la continuità. Infatti, mentre quest’ultima strategia è basata su concetti meccanici, basti pensare invece che ogni qualvolta si vuole evitare la propagazione di un danno si separano spazialmente gli oggetti distanziandoli.

L’idea di applicare questa separazione spaziale può quindi essere utile nel caso dei viadotti. I viadotti, infatti, si distinguono rispetto ai ponti per il loro maggiore sviluppo lineare e per la presenza di opere strutturali disposte in serie lungo il tracciato stradale: in questo senso, mentre un ponte è un’opera d’arte singola, un viadotto può essere pensato composto da più opere allineate.

Da questa osservazione elementare, il concetto di robustezza strutturale deve essere declinato con attenzioni differenti a un singolo ponte e a un intero viadotto. Per quest’ultimo infatti, è essenziale la strategia di segmentazione, per cui è accettabile la perdita di una parte (anche cospicua) di struttura mentre non ne è accettabile la perdita complessiva, come può accadere nel caso di sviluppo di un collasso progressivo che interessi via via tutto il viadotto.

Un caso storico di collasso localizzato è stato quello a seguito dell’impatto della petroliera Esso Maracaibo su una pila del viadotto sull’omonimo lago in Venezuela: grazie a uno schema statico complessivo del viadotto che prevedeva delle separazioni tra una pila a X e l’altra, con l’interposizione di una trave tampone, il collasso di una di queste pile ha fatto perdere circa 300 m di impalcato ma non ha prodotto una progressione del collasso a tutto il viadotto lungo oltre 7 km (Figura 7).

Se in questo episodio si possono avere dubbi sulla scelta consapevole di rendere robusto nel suo complesso il viadotto, un caso in cui è stata esplicitamente considerata la robustezza nella concezione strutturale è quello del viadotto Confederation Bridge in Canada. In questo caso, è stata individuata una configurazione che permettesse un disgaggio di parte dell’impalcato senza che questo trascinasse il resto: questo è stato ottenuto sia introducendo una cerniera lungo l’impalcato sia tagliando i cavi di precompressione che altrimenti avrebbero potuto trascinare verso il basso l’impalcato nella gran parte della sua lunghezza (Figura 8).

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    7. Il viadotto General Rafael Urdaneta a Maracaibo, in Venezuela (photo credit: Orlando Pozo)
  • Confederation Bridge
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    8. Il disegno preliminare e finale del Confederation Bridge in Canada

Uno sguardo più ampio sulla robustezza strutturale

In termini generali, è interessante ripercorrere il percorso che – partendo dall’esame dei collassi – porta a progettare strutture che li evitino o almeno li moderino.

In effetti, esiste un modello generale che permette di ordinare i fattori che possono portare a una crisi strutturale (o, in generale, di un qualsiasi sistema artificiale). Si considera allo scopo il diagramma di Figura 9: qui è rappresentato il modello di Reason che intende un qualsiasi sistema, e quindi anche una struttura, come ottenuto da una serie di passi – idealizzati come layer – da quello di concezione a quello realizzativo, e così via.

Orbene, in ciascuno di questi passi, si hanno inevitabilmente delle mancanze, cioè degli errori o delle imperfezioni, rappresentate

idealmente come dei buchi su questi layer. Il modello di Reason prevede che quando questi buchi, queste mancanze, si allineano quella che è solamente una minaccia (hazard) si propaga attraverso i layer e si concretizza in un collasso vero e proprio avendo perforato tutte le difese del sistema.

Questo modello esplicativo di utilità generale nell’Ingegneria Forense – noto anche come Swiss Cheese Model for Failure per la chiara similitudine – permette di esaminare ordinatamente tutte le fasi che hanno eventualmente condotto a una crisi; infatti si possono avere debolezze o carenze:

  • nel clima di progetto, inteso come insieme di conoscenze e consapevolezze all’epoca di progetto dell’opera;
  • nella concezione della struttura;
  • nello sviluppo delle rappresentazioni grafiche;
  • nello svolgimento delle calcolazioni;
  • nella scelta dei materiali e dei componenti;
  • nelle fasi costruttive;
  • nell’utilizzo;
  • nell’accadimento di eventi accidentali o eccezionali, magari legati a difetti dormienti o minacce latenti;
  • nella manutenzione;
  • nel monitoraggio.

È quindi opportuno e necessario estendere il concetto di robustezza dalla considerazione di aspetti strettamente strutturali a quella del processo complessivo che porta dalla concezione all’utilizzo consapevole della struttura.

Questa considerazione è quella che porta il concetto di robustezza ad allargarsi includendo – accanto ad azioni accidentali quali fuoco, esplosioni e impatti – anche gli effetti legati all’errore umano. Infatti, già nelle basi degli Eurocodici negli anni Novanta, si trova la definizione: “Robustness is the ability of a structure to withstand events like fire, explosions, impact or the consequences of human error, without being damaged to an extent disproportionate to the original cause”.

Se è opportuna e necessaria questa visione sistemica, tra tutti questi passi, vanno studiati con particolare attenzione il livello (0) per la sua impercettibilità agli attori presenti nella vita dell’opera d’arte e il livello (1) che riguarda gli aspetti iniziali della progettazione.

Proprio in questa fase che coinvolge le capacità intellettuali più elevate e creative, si forniscono le basi genetiche alla struttura. Queste basi marcheranno la struttura, rappresentandone sia le qualità positive sia le tare: proprio queste tare sono quelle che possono condurre a collassi catastrofici.

Al proposito, in Figura 10 è considerato il noto Almö Bridge (inaugurato nel 1960), che collegava l’isola di Tjörn (settima isola più grande della Svezia) alla terraferma.

  • 9 bon
    9. Il modello di Reason per gli incidenti (Swiss Cheese Failure Model)
  • robustezza strutturale
    10 bon
    10. L’Almö Bridge in Svezia

Il ponte crollò il 18 Gennaio 1980, quando la nave MS Star Clipper colpì l’arco del ponte. Otto persone morirono quella notte mentre guidavano fino a quando la strada non fu chiusa 40 minuti dopo l’incidente. La forma dell’arco era una debolezza congenita che alla fine è esplosa: infatti, il nuovo ponte che fu costruito e inaugurato nel 1981 era strallato.

Come si può arguire, le tare genetiche provenienti da una errata – o non completamente esplorata – concezione strutturale non sono correggibili neanche con analisi e verifiche più sofisticate, portando prima o poi al collasso strutturale.

Deve essere anche sottolineato che solo una chiara comprensione dei presupposti implicati nei livelli 0 (clima in cui è stata progettata un’opera) e 1 (comprensione della concezione strutturale) possono permettere l’implementazione di un’opportuna attività di monitoraggio: solamente in questi casi tale attività può essere effettivamente utile, arrivando persino a configurarsi come augmented capacity strutturale.

Infine, il quadro previsto dalla Figura 9 getta luce su aspetti ancora più generali della robustezza nel suo complesso con riferimento all’intera vita di una struttura. Infatti, tale quadro mette in evidenza il ruolo delle organizzazioni che progettano e gestiscono l’infrastruttura, organizzazioni che hanno un ruolo chiave durante la vita dell’opera d’arte.

Questa precisazione, individua quindi chiaramente anche la dimensione amministrativa e gestionale della responsabilità, alzando il livello della stessa dal mero piano tecnico a quello manageriale.

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