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Le piogge, la spending review e Watson

Maurizio Crispino

I bollettini meteo italiani e mondiali danno ormai di sovente riscontro di eventi piovosi di intensità tale da suscitare grande preoccupazione nell’opinione pubblica.

Non è questa la sede per discuterne le cause e soprattutto gli effetti sul territorio: è sufficiente ricordare che sempre più frequentemente questi eventi mietono delle vittime. Le immagini televisive e della rete web sono diventate quasi ripetitive e testimoniano come le strade diventino “alvei” di correnti in piena e come siano oggetto di frane e smottamenti.

Oltre questi effetti ve ne sono altri, non meno gravi, che però sfuggono alla percezione dei network televisivi salvo poi ritrovare ampi spazi sulla Stampa locale quando risultano evidenti ed insostenibili: si tratta dei dissesti delle pavimentazioni, ovvero delle buche, dei distacchi superficiali e delle fessurazioni, che proprio nelle piogge trovano un fattore determinante nella loro evoluzione.

L’analisi degli eventi piovosi mostra mutamenti sostanziali negli ultimi anni; eppure rispetto a ciò nulla è cambiato nella gestione del patrimonio stradale e delle pavimentazioni in particolare, anzi.

I tagli alla spesa pubblica corrente ed agli investimenti sono diventati causa primaria (talvolta, però, anche un’attenuante ed una giustificazione) della riduzione e della mancanza di manutenzione.

In Italia siamo lontani dal 2-3% (del valore della pavimentazione) internazionalmente riconosciuto come riferimento della spesa annuale (e si evidenzia annuale) per la manutenzione delle sole pavimentazioni (escludendo le altre e parimenti importanti attività inerenti la segnaletica, la pulizia dei chiusini, il taglio dell’erba, ecc.).

Le percentuali ovviamente crescono allorquando si accumulano arretrati per mancanza di attività manutentive. Alcune stime portano a valori non inferiori al 6-8%. I budget annuali destinati alla manutenzione sono invece normalmente molto al di sotto addirittura dei valori minimi prima menzionati (ed anche di diverse volte).

Volendo trascurare solo per un momento gli effetti sull’utenza in termini di rischio generato dalla non manutenzione (in termini di sinistri, feriti e morti), ciò che sorprende maggiormente in un contesto in cui è l’economia a dominare le scelte è che è proprio dal punto di vista economico sbagliato non fare manutenzione.

La manutenzione preventiva, tempestiva rispetto alla formazione dei dissesti (sigillature di fessure, interventi superficiali di impermeabilizzazione, ecc.), farebbe risparmiare intorno a 2-3 Euro per ogni Euro speso (valore consolidato in ambito nazionale ed internazionale).

Vanno poi considerati i costi dei premi per le assicurazioni, crescenti con i sinistri, e tutte le spese associate a partire da quelle dei contenziosi. Significativa è inoltre la perdita di valore subita dal patrimonio non mantenuto (peraltro di gran lunga maggiore dei potenziali costi di manutenzione).

Gli stessi sinistri, in termini di feriti e vite umane derivanti dalla non manutenzione, hanno un costo elevatissimo per la comunità.

Le irregolarità delle pavimentazioni, inoltre, sono causa di incrementi di consumo di carburante e di ulteriori costi per la maggiore usura dei veicoli, costi subiti – oltre che dall’utenza privata e commerciale – anche dalle flotte delle Aziende di trasporto pubblico. Per non parlare della riduzione di efficienza della rete di trasporto e delle conseguenze sull’intero sistema quando una pavimentazione presenta dissesti.

Il tutto dimostrato – e da anni – dagli studi tecnico-scientifici di settore (tra cui alcuni condotti anche dallo Scrivente e dal suo gruppo di ricerca presso il Politecnico di Milano, anche in collaborazione con altre prestigiose Università italiane ed internazionali). Qualunque Ricercatore si sia cimentato in analisi di questo tipo ha sempre riscontrato che l’alternativa “do nothing” (far niente) è sempre la peggiore.

In questo contesto la spending review promossa dal Governo avrebbe dovuto avere finalità diverse e più ampie. E’ andata sì ad incidere sui più disparati settori per (cercare di) colpire gli sprechi ma paradossalmente pare non valuti i costi delle non spese. Ogni anno che passa, il backlog (arretrato) manutentivo cresce e va ad ingigantire i costi reali che prima o poi dovranno essere affrontati se si vogliono riportare le strade alle condizioni che sarebbero coerenti con le istanze dell’utenza.

Non è pessimismo ma puro realismo il dubbio che non si riesca più a far fronte negli anni futuri ai costi che si stanno andando a sommare.

A questo punto, torna in ballo la Stampa locale che, ogni anno, con l’arrivo delle piogge intense e/o durature, si interroga puntualmente – e giustamente – sul perché delle tante “buche”, mettendo in discussione la gestione degli Enti proprietari.

Sì, non è da escludere che ci siano anche di queste responsabilità, ma di fatto vi è un problema di non spesa annuale, di costi, anno dopo anno, sempre più insostenibili e di un divario crescente tra disponibilità ed esigenza manutentiva, con un’unica conseguenza: dover accettare giocoforza, di fatto, livelli di qualità stradale sempre più bassi.

Per dare l’idea in parole semplici, si dovranno accettare in strada sempre più buche. E le poche risorse disponibili si continueranno a spendere per chiuderle, e per richiuderle l’anno successivo quando saranno intanto diventate anche più grandi.

Elementare Watson.