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Efficaci sistemi di risk management per le infrastrutture stradali

Le infrastrutture sono strategiche per il rilancio del Paese, soprattutto dopo la crisi, ma sono indispensabili competenze specifiche per comprenderne e gestirne i rischi

Efficaci sistemi di risk management per le infrastrutture stradali

Il 24 Marzo 1999, alle ore 10:50 circa, un’autovettura proveniente dall’imbocco italiano del traforo del Monte Bianco è costretta ad arrestarsi poiché, sulla corsia opposta, un mezzo pesante è fermo in fiamme in territorio francese (comune di Chamonix), ma nella metà del tunnel gestita dalla Società italiana.

Questa autovettura e altre accodatesi con un’inversione di marcia riescono a guadagnare indenni l’uscita verso l’Italia. Invece, gli autisti degli otto camion incolonnati (non potendo effettuare un’inversione di marcia per mancanza di spazio) si avviano a piedi verso l’imbocco italiano e sono recuperati e salvati dai mezzi di soccorso italiani, come anche l’autista di nazionalità belga del camion in fiamme che ha abbandonato il mezzo sulla corsia, senza far uso dell’estintore di bordo né dei quattro estintori più prossimi alloggiati sulle pareti del traforo.

Stiamo parlando del famoso incendio del traforo del Monte Bianco, un caso di studio che serve per comprendere le peculiari dinamiche di combustione all’interno di gallerie e tunnel e per studiare efficaci sistemi di risk management da applicare alle infrastrutture stradali per ridurre il rischio di incidenti di tale portata in futuro.

Durante questo incendio, il processo di combustione ebbe una velocità di propagazione estremamente rapida. Tra utenti e soccorritori si contarono ben 39 vittime.

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È importante chiedersi per quali motivi l’incendio abbia avuto conseguenze sulle persone e sulle cose tanto più gravi che nei casi precedenti. Innanzitutto, gli incendi precedenti avevano quasi sempre coinvolto un solo autoveicolo. Ma vi sono dei fattori che avrebbero potuto essere evitati:

  • la non tempestiva messa al rosso dei semafori sia all’imbocco francese sia all’interno del tunnel (in direzione Francia-Italia) come doverosa conseguenza degli eccezionali valori di opacità segnalati dagli opacimetri presenti nel tunnel e il mancato rispetto delle distanze di sicurezza sono, infatti, la causa dei decessi e dei danni materiali alla struttura e agli impianti. I semafori rossi avrebbero impedito che si formasse una fila di 23 veicoli (entrati dall’imbocco francese) accodati l’uno all’altro;
  • se i veicoli fossero stati distanziati sarebbero stati più vicini all’ingresso francese (seppure ciascuno in misura diversa) e i veicoli (con i loro occupanti) sarebbero stati raggiunti dai fumi (tossici) più tardi, quindi le opportunità dei soccorritori sarebbero state maggiori. Se i veicoli fossero stati distanziati, inoltre, la propagazione dell’incendio dall’uno all’altro sarebbe stata rallentata e molto probabilmente non tutti si sarebbero incendiati.

Il traforo

Il traforo, aperto al traffico il 19 Luglio 1965, è lungo 11.600 m, con carreggiata di 7 m a due corsie di 3,5 m e con due marciapiedi di 0,8 m. Nel senso Francia-Italia, la pendenza nei primi 2.900 m è del 2,4% (è in questo tratto che i motori dei mezzi pesanti erano più sollecitati), nei secondi 2.900 m dell’1,8%. Nel senso Italia-Francia invece la pendenza è dello 0,24% in 5.800 m (da quota 1.381 m a 1.395 m).

Queste informazioni sono necessarie per una accurata analisi dell’impianto automatico di illuminazione e degli altri impianti (televisione a circuito chiuso, rilevazione e registrazione dell’opacità, della concentrazione volumetrica percentuale di ossido di carbonio, della velocità dell’aria, ecc.).

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La ventilazione

Il forte spessore di copertura, la presenza di ghiacciai per il 60% del tracciato e le grosse quantità di acqua in seno alla montagna non avevano permesso la costruzione dei camini verticali di aerazione.

Per questo motivo, i canali di ventilazione percorrono la galleria al di sotto della soletta stradale. Il sistema di ventilazione adottato nel 1965 era intermedio fra il semitrasversale – che prevede l’immissione di aria pura e il libero sfogo dell’aria viziata dai due imbocchi – e il trasversale – che prevede l’immissione e l’aspirazione di uguali quantità d’aria. Un sistema del genere è definito pseudotrasversale.

Le portate d’aria dell’impianto di ventilazione all’interno del traforo

Poiché all’aumentare della quota diminuisce la pressione atmosferica, per il solo effetto della differenza di quota altimetrica fra l’imbocco italiano e quello francese (circa 100 m) si ebbe una variazione di pressione e quindi un “effetto camino” che favoriva un flusso di aria diretto dalla Francia verso l’Italia.

Altre considerazioni debbono essere fatte per le vittime tra i soccorritori. La mancata attuazione delle Direttive delle “consegne di sicurezza” ha evitato un pericoloso raddoppio della portata di aria comburente e successivamente ha consentito ai soccorritori di utilizzare il canale di ventilazione, l’unico accessibile per le operazioni di soccorso.

Le squadre dei Vigili che più si sono avvicinate alla zona dell’incendio dall’imbocco italiano, sorprese dal fumo, hanno trovato riparo nei rifugi e si sono salvate utilizzando come via di fuga proprio il canale n° 5. In un minuto e mezzo, i fumi avevano invaso circa 500 m di traforo.

Procedendo verso l’imbocco francese, questi fumi tossici (contenenti sostanze fortemente letali come l’ossido di carbonio e i cianuri sviluppatisi in seguito all’incendio) hanno causato la morte rapida per intossicazione di tutte le persone occupanti gli automezzi fermi incolonnati dietro il camion belga.

Il tempo necessario per l’arresto dei tre ventilatori per l’apertura e la chiusura delle serrande atte a invertire il flusso e per il riavvio dei ventilatori è sicuramente superiore a un minuto e mezzo.

In conclusione, l’attuazione delle Direttive delle consegne di sicurezza avrebbe raddoppiato l’aria comburente e reso poi inutilizzabile il canale n° 5 per le operazioni di salvataggio; si ricordi che tale canale è stato progettato per aspirare aria viziata, per controllare all’interno del tunnel la visibilità e la concentrazione di ossido di carbonio, ma non per aspirare una portata di fumi generata da un incendio di queste eccezionali proporzioni.

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La tossicità dei fumi, la “causa mortis” e il tempo di sopravvivenza

Per comprendere le tragiche conseguenze dell’incendio nel traforo del Monte Bianco è indispensabile chiarire la “causa mortis” della maggioranza delle 39 vittime. Come molto spesso negli incendi, anche in questo caso la “causa mortis” è l’intossicazione dovuta ai fumi. L’elevatissima tossicità dei fumi contenenti ossido di carbonio e acido cianidrico consente tempi di sopravvivenza molto brevi.

Poiché in un incendio le concentrazioni volumetriche di ossido di carbonio possono arrivare fino al 10%, i tempi di sopravvivenza possono ridursi a meno di 30 secondi. È noto che, in caso di incendio, le consegne di sicurezza prescrivevano che il canale di ventilazione n° 5 funzionasse in aspirazione alla massima portata.

Poiché prima dell’evento il canale n° 5 funzionava in mandata, sarebbe stato necessario invertire il funzionamento da “mandata” ad “aspirazione”. E questa manovra richiede tempi (4÷5 minuti) superiori a quelli di sopravvivenza.

Comunque, il canale n° 5 non poteva aspirare la grande quantità di fumi necessaria nel breve intervallo di tempo necessario (cioè inferiore al tempo di sopravvivenza) perché era stato progettato non per aspirare fumi, ma solo aria viziata (cioè aria contenente i gas di scarico degli autoveicoli e dei mezzi pesanti).

È stato dimostrato che la presenza dei mezzi pesanti (il cui ingombro si comporta come un promotore di turbolenza) provoca la destratificazione dei fumi, cioè i fumi tossici si abbassano occupando lo spazio ove si trovano le persone.

L’impianto antincendio

L’impianto di rivelazione incendio trasmette un allarme in sala comando quando la temperatura oltrepassa un certo limite o aumenta a velocità superiore a un determinato gradiente. Il sistema scelto per il tunnel del Monte Bianco è quello continuo a tubazione di rame.

Per effetto di un aumento di temperatura, l’aria contenuta nel tubo si dilata e la variazione di pressione, agendo su una membrana, provoca, mediante un contatto elettrico, l’allarme. L’impianto è sensibile ad un incendio di 20 l di benzina.

Una condotta d’acqua sotto pressione, con protezione antigelo, è installata sotto il piano stradale e alimenta prese per idranti poste ogni 150 m. Ogni 100 m sono installati estintori portatili: il distacco di un estintore dal proprio supporto attiva automaticamente l’allarme in sala comando.

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Ogni 600 m, nei cosiddetti «ampliamenti», sono realizzati dei rifugi collegati via radio con la sala-comando. L’apertura di ognuna delle due porte di accesso avvia un compressore ad aria che, ponendo l’ambiente in leggera sovrappressione, impedisce l’ingresso di fumi (tossici).

La zona dell’incendio è stata raggiunta dai Vigili del Fuoco solo dopo più di 30 ore a causa delle altissime temperature. Le temperature raggiunte sono certamente tra le più elevate riscontrabili in un incendio a causa delle particolari condizioni di isolamento termico.

La regolamentazione del traffico nel tunnel

Un giudizio implicito sulle Norme di regolamentazione del traffico all’interno del traforo del Monte Bianco emerge dalle proposte che il Ministero francese competente per il tunnel del Frejus aveva immediatamente avanzato:

  • un’informativa sulle regole di sicurezza deve essere distribuita a tutti gli utenti all’atto del pagamento del pedaggio e mediante pannelli a messaggio variabile;
  • la velocità massima è ridotta da 80 a 70 km/ora;
  • la velocità minima resta invariata (50 km/ora);
  • la distanza fra tutti i veicoli è triplicata (150 m);
  • la portata di veicoli pesanti è ridotta a 140/ora (al massimo 160/ora);
  • i veicoli pesanti con merci pericolose dovranno viaggiare sotto scorta;
  • il numero degli estintori sarà aumentato;
  • la squadra di primo intervento sarà rinforzata;
  • saranno istituite due pattuglie di sicurezza attive 24 ore su 24.

La situazione dei tunnel e delle gallerie in Italia

Il settore delle infrastrutture è strategico per il rilancio di un Paese, soprattutto dopo una crisi, ma servono competenze specifiche per poter prevedere, valutare e gestire i rischi connessi. E sembrerebbe che nel nostro Paese i rischi siano molto elevati.

Già nel 2019, infatti, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici aveva redatto un documento – destinato alla Direzione Generale del MIT, ad Autostrade, al Dipartimento dei Vigili del Fuoco e a tutti i Provveditorati alle Opere Pubbliche d’Italia – per segnalare che, su tutto il territorio nazionale, ci sarebbero 105 gallerie sulla rete gestita da ASPI e altre 90 circa in carico ad altre Concessionarie a rischio di incidenti e crolli.

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Moltissimi tunnel italiani sono privi di impermeabilizzazione (quindi soggetti a infiltrazioni d’acqua), di sistemi di sicurezza, di corsie di emergenza e vie di fuga, di videosorveglianza, di sensori di rilevamento dei fumi, di sistemi di allarme antincendio, di luci di guida in caso di evacuazione e di stanze a tenuta stagna. Ma soprattutto manca anche un Responsabile di riferimento in grado di monitorarle.

Nessuna delle gallerie è a norma rispetto alla Direttiva europea 54 del 2004. E le Concessionarie, Autostrade in primis, avrebbero dovuto mettersi in regola entro lo scorso mese di Aprile.

Non mancano però, per fortuna, alcuni esempi virtuosi: uno dei migliori, dal punto di vista della sicurezza, è quello del Monte Barro (3.342-3.304 m, sulla S.S. 36), una struttura a doppio fornice, cioè una galleria diversa per ogni senso di marcia che rende più facili gli interventi in caso di incidenti o di qualunque altro evento rischioso. Ma, al di là di questo caso virtuoso, la strada da percorrere per mettere in sicurezza tutte le altre gallerie è ancora molto lunga.

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