Quasi tutte le infrastrutture viarie in calcestruzzo armato e/o precompresso realizzate dal dopoguerra fino alla fine degli anni Ottanta mostrano oggi i segni evidenti di degrado per la corrosione delle armature interne. Queste situazioni sono dovute, quasi esclusivamente, ad errori e negligenze in fase di progettazione e costruzione dell’opera.
Dettagli importanti come un adeguato copriferro, la compattezza delle superfici di calcestruzzo e la corretta posa delle armature sono stati trascurati nella fase di costruzione. Il risultato di questa negligenza non è solo la necessità di dover intervenire ad una riparazione (con i relativi costi associati), ma anche quella di investire risorse nelle attività di controllo e monitoraggio per comprendere l’evoluzione dello stato di salute, le zone su cui intervenire e le tempistiche per la programmazione degli interventi.
Esiste inoltre un ulteriore costo associato relativo alla necessità di formare i Tecnici Progettisti, i Direttori Lavori e le Maestranze su metodi di riparazione e rinforzo che siano realmente efficaci e duraturi.
La riparazione della precedente riparazione è, infatti, una situazione che non si vorrebbe mai incontrare, ma che purtroppo si verifica abbastanza frequentemente. In questa memoria si vuole ragionare, impiegando semplici casi, su quali siano gli ingredienti principali che permettano di ottenere risultati positivi e duraturi nel campo della riparazione e del rinforzo di infrastrutture viarie.
Gli obiettivi
In primo luogo è necessario definire con chiarezza quali siano i tre principali obiettivi da raggiungere con la progettazione e l’intervento:
- garantire la durabilità dell’intervento di riparazione/rinforzo;
- calmierare o, possibilmente, azzerare il degrado del supporto;
- ottenere la capacità resistiva richiesta con un definito livello deformativo associato.
Sono molteplici le strade che si possono percorrere, ma poche sono quelle che raggiungono realmente tutti e tre gli obiettivi.
Il nuovo copriferro è a rischio di distacco nel medio periodo; sebbene gli ingredienti utilizzati possano potenzialmente raggiungere gli obiettivi la loro messa in opera non è sufficientemente curata, quindi la strada intrapresa non garantisce la durabilità dell’intervento. Altri esempi di insuccesso sono le rasature millimetriche riportate su calcestruzzo non sufficientemente irruvidito. In questo caso, si è pensato di coprire il degrado esistente con una rasatura cementizia di alcuni millimetri di spessore, risultato esteticamente ineccepibile ma non duraturo.
In altre situazioni si decide invece di intervenire con materiali non compatibili con il supporto, o peggio, di applicare prodotti, magari ad elevate prestazioni, ma che richiedono campi deformativi così elevati che il supporto non è in grado di sostenere: il risultato è che il supporto si lesiona o si spacca ben prima che il rinforzo raggiunga la sua completa capacità resistiva.
Il risultato è la totale fessurazione della malta con l’esposizione delle armature interne alla diretta aggressione ambientale. L’intervento così concepito non garantisce il requisito della durabilità. In alternativa è possibile ridurre fortemente il regime deformativo di lavoro, ma così facendo il costo del prodotto aumenta e l’applicazione diventa economicamente non conveniente rispetto ad altre tecniche disponibili e maggiormente sperimentate.
Un’altra classica situazione è quella di intervenire incuranti dei fattori ambientali tra i quali sono particolarmente frequenti e pericolosi le vibrazioni e la temperatura. Negli interventi di riparazione di travi e/o solette da ponte è purtroppo prassi frequente quella di svolgere l’intervento su metà impalcato lasciando il resto aperto al traffico.
La conseguenza è che il ripristino e il rinforzo si vengono a trovare, durante la stagionatura dei prodotti, in presenza di movimenti e di oscillazioni che inducono microfratture all’interfaccia: se l’azione vibratoria è sufficientemente ampia e frequente, le microfratture convergono in lesioni più aperte e profonde fintanto che si raggiunge il completo distacco del ripristino.
Gli effetti del ritiro e delle deformazioni termiche sono quasi sempre trascurate nel progetto, ma divengono molto decisive per elementi strutturali esili e poco armati.
Circa dieci anni dopo il getto si osservano lesioni passanti subverticali ogni 60-70 cm di interasse. Gli stati fessurativi vengono spesso trascurati, comunemente si attua la stesa di un protettivo a forte azione coprente, magari con risorse di elasticità in trazione molto elevate. Ma esiste una forte differenza tra deformabilità ed allungamento.
La prima si riferisce ad uno stato deformativo distribuito su una porzione più o meno ampia di materiale, il secondo rappresenta un campo di spostamento locale. Le casistiche illustrate sono frequenti, anche se non immediatamente identificabili con osservazione visiva: serve una indagine strumentale che, spesso, in cantiere non viene eseguita.
Cosa fare allora? Non esiste un’unica ricetta, ma sarebbe già un buon passo se si adottassero, sia in fase di progetto sia nella fase di cantiere, una serie di ingredienti utili ad evitare potenziali cause di insuccesso. Vediamo nel seguito alcuni di questi ingredienti basandoci sulla nostra personale esperienza ventennale in questo settore.
Gli ingredienti
Il primo ingrediente
Il primo ingrediente per ottenere un valido intervento di riparazione/rinforzo è quello di formare una buona squadra di esperti e metterli in grado, con una serie di prove e sondaggi preliminari al progetto, di definire compiutamente lo “stato di salute” dell’opera. In termini più concreti, il Progettista e il suo Team devono poter osservare da vicino la struttura, leggere lo stato fessurativo, verificare le ragioni del degrado e definire quale possa essere il coefficiente di sicurezza rimasto nei confronti dei carichi esterni.
Il secondo ingrediente
Il secondo ingrediente è la raccolta e l’archiviazione dei disegni strutturali e la costruzione di un “manuale dell’opera” che ne conservi la sua storia, l’evoluzione del quadro fessurativo, le prove sperimentali condotte nel passato e quanto altro possa essere attinente con la tenuta strutturale del manufatto.
Questa buona pratica è stata spesso trascurata nel passato anche recente e solo da poco si è acquisita maggior consapevolezza di questo importante fattore. Purtroppo molti disegni e relazioni di calcolo non si trovano più e chi deve intervenire nella progettazione di un intervento di rinforzo deve ripartire da capo inserendo ulteriori possibilità di errore nella redazione del progetto.
A causa di questa mancanza nascono, talvolta, progetti basati su ipotesi molto a favore di sicurezza, con la conseguenza di un elevato costo dell’intervento quando, nella realtà delle cose, sarebbero bastate risorse economiche inferiori.
Il terzo ingrediente
Il terzo ingrediente è garantire la durabilità dell’intervento di riparazione/rinforzo. Nella fase progettuale si devono anche formulare scelte sui materiali della riparazione; essi devono possedere caratteristiche di durabilità maggiori di quelle della struttura su cui si interviene, altrimenti si rischia di realizzare un intervento bello da vedere, ma che poi fallisce rivelandosi inefficace dopo poco tempo.
Nella Letteratura internazionale si individuano due parametri fisici che garantiscono la durabilità di un intervento di riparazione di una struttura in calcestruzzo armato: il materiale di nuovo apporto deve possedere elevata compattezza e impermeabilità. Gli agenti aggressivi non potranno quindi introdursi nell’elemento strutturale e raggiungere il materiale originario per continuare ad aggredirlo. Compattezza e impermeabilità sono strettamente legate alla capacità non fessurativa della riparazione. Una malta di ripristino che si lesiona per ritiro o per essiccamento o per deformazione termica non garantisce durabilità nell’intervento di riparazione.
Il quarto ingrediente
Il quarto ingrediente è garantire una adeguata capacità resistiva, legata non solo alla scelta del materiale di rinforzo, ma anche al raggiungimento di una adeguata adesione al supporto. Si devono quindi ottenere le seguenti condizioni ottimali:
- l’adesione al supporto della malta di ripristino;
- l’adesione tra armatura di rinforzo e malta di ripristino;
- la compatibilità termica.