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Gli appalti in 20 capitoli, le modifiche al Dlgs 50/2016

Tre passaggi in Consiglio dei ministri e un calendario che non ammetterà rallentamenti. Oltre al merito del provvedimento, per l’approvazione del decreto correttivo del Codice appalti assumerà un’importanza strategica la scansione dei tempi. Perché, per riuscire a chiudere la partita entro la scadenza del prossimo 19 aprile, indicata dalla legge delega (n. 11 del 2016), bisognerà correre. Il fischio d’inizio è arrivato venerdì scorso, il 10 febbraio, quando il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio ha portato in Consiglio dei ministri una prima informativa sul testo.

Si tratta di un decreto aperto, composto da 84 articoli, che cerca di tenere insieme tutte le proposte di modifica raccolte in questi mesi di dialogo con gli operatori, sia pubblici che privati. Questo passaggio di comunicazione con il mercato non è finito, perché la fase due sarà dedicata a una procedura di consultazione da completare nel giro di pochi giorni: il Governo punta a chiuderla già questa settimana, con un altro passaggio in Consiglio dei ministri. Sarà dedicato all’esame preliminare del testo che, superato questo scoglio, apparirà più vicino alla sua forma finale.

Il provvedimento, dopo il Cdm, passerà dal consueto giro di pareri: l’obiettivo è farlo partire prima della fine del mese. Saranno coinvolti il Consiglio di Stato, con un termine massimo di 20 giorni per la risposta, le commissioni Ambiente della Camera e Lavori pubblici del Senato (30 giorni), la Conferenza unificata (20 giorni). Per la fine di marzo o al massimo all’inizio di aprile, allora, il Governo dovrebbe avere tutti i pareri tra le mani: in questo modo ci sarebbe tempo sufficiente per analizzarli, limare il correttivo e portarlo all’ultima approvazione in Consiglio dei ministri. Dovrà arrivare per la metà di aprile, forse venerdì 14, per permettere al testo di andare in Gazzetta nei tempi indicati dalla legge. Di seguito tutte le principali misure capitolo per capitolo.

PIU’ SPAZIO ALL’APPALTO INTEGRATO

Si allarga, con diverse eccezioni previste dal correttivo, il perimetro dell’appalto integrato. Le stazioni appaltanti, in generale, potranno fare ricorso all’affidamento dell’esecuzione di lavori e della progettazione esecutiva sulla base del definitivo in caso di urgenza o nel caso in cui l’elemento tecnologico e innovativo delle opere sia nettamente prevalente rispetto all’importo complessivo dei lavori. Questa ipotesi è stata ripescata: era già ipotizzata nelle prime bozze del Codice. Ma non solo. Il divieto di appalto integrato potrà essere derogato in un altro caso: oltre al contraente generale e alla finanza di progetto, l’affidamento di progettazione e lavori potrà arrivare anche nel caso di leasing. Inoltre, arriva un condono per i progetti preliminari e definitivi approvati entro la scadenza del 19 aprile 2016: potranno utilizzare l’appalto integrato. Ancora, fino all’entrata in vigore delle linee guida sui livelli di progettazione, anche i contratti di manutenzione ordinaria potranno essere affidati sulla base del progetto definitivo. Infine, i lavori relativi a beni culturali e scavi archeologici potranno essere appaltanti anche tramite appalto integrato.

SUBAPPALTO: TETTO AL 30% SULLE OPERE PREVALENTI

Cadono diversi paletti, ma non tutti, tra quelli più contestati dalle imprese in questi primi mesi di applicazione del nuovo subappalto. Il primo ostacolo rimosso riguarda il tetto dei lavori affidabili a terzi. Il valore rimane al 30% ma si calcolerà solo sulla categoria prevalente – come accadeva con il vecchio codice – e non sull’intero ammontare del contratto. Eliminato anche l’obbligo di indicare con l’offerta una terna di subappaltatori. Sarà la stazione appaltante a decidere di volta in volta se l’indicazione anticipata è necessaria. In ogni caso l’obbligo non sarà legato al momento dell’offerta (cioè mesi prima dell’avvio effettivo dei cantieri), ma dovrà avvenire «prima della stipula del contratto». «Ciò -spiega la relazione allegata al decreto – al fine di consentire l’agevole ricorso all’istituto da parte delle stazioni appaltanti che vedevano moltiplicarsi i controlli». Indicare la terna non sarà necessario anche in caso di strumenti di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza. Cade anche la misura che imponeva al titolare del contratto il compito di verificare l’assenza di motivi di esclusione in capo ai subappaltatori. E viene anche chiarito il meccanismo relativo al divieto di ribasso sulla manodopera. Resta però alle stazioni appaltanti la possibilità di scegliere, bando per bando, se autorizzare o meno il subappalto. Scelta che i costruttori avversano per motivi di organizzazione di impresa.

RATING D’IMPRESA SOLO VOLONTARIO

Passa la linea di Cantone sul rating di impresa. Così come era concepito – obbligatorio e legato al rating di legalità – secondo l’Anac i meccanismo di valutazione della reputazione delle imprese era destinato a incepparsi. Di qui la necessità di voltare pagina rispetto alle previsioni inserite nel codice. Con una serie di proposte messe nero su bianco in un atto di segnalazione consegnato pochi giorni fa al Governo. Obiezioni accolte. Il rating di impresa diventa volontario e soprattutto sarà usato come strumento per premiare in gara (e non penalizzare) le imprese che lo richiederanno. «Le modifiche – si legge nella relazione – sono volte a rivedere l’attuale esclusivo collegamento del rating di impresa alla qualificazione, in luogo di un suo inserimento tra gli elementi di valutazione dell’offerta qualitativa». Inoltre il correttivo elimina qualsiasi intreccio tra il rating di impresa e quello di legalità rilasciato dall’Antitrust, che così esce dal sistema degli appalti. Cade anche la misura che prevedeva (non precisate) sanzioni Anac per le imprese che mancavano di denunciare fenomeni di corruzione o di estorsione. Il rating, infine, terrà conto solo dei cantieri avviati dopo l’entrata in vigore del codice. L’Anac però potrà attribuire elementi premianti alle aziende che hanno tenuto comportamenti valutabili ai fini del rating anche prima, in modo da non azzerare la storia professionale delle imprese.

QUALIFICAZIONE IMPRESE SU DIECI ANNI

Arriva un’importante modifica per i costruttori. Riguarda il periodo di riferimento per la dimostrazione dei requisiti di qualificazione. Il correttivo salva una lacuna del nuovo codice.
Nel Dlgs 50/2016 non era stata infatti ripescata la norma anti-crisi che consentiva alle imprese di dimostrare i requisiti prendendo in esame l’attività degli ultimi dieci anni, limitando questa possibilità soltanto agli ultimi cinque anni: quelli cioè in cui la morsa della recessione ha pesato di più sui fatturati. Ora questa lacuna viene colmata. Analogamente sale da tre a cinque anni il periodo documentabile per dimostrare la capacità di eseguire lavori oltre 20 milioni. Rimane invece a prima vista inevasa l’altra richiesta che arrivava dal mondo dei costruttori, sempre in tema di qualificazione. Puntava a fare salvi i direttori tecnici non laureati che avevano però conquistato il titolo sul campo. Nel correttivo c’è una norma di questo tipo. Fa salvi i direttori tecnici senza titolo di studio con esperienza almeno quinquennale. Ma il riferimento è inserito in un articolo del codice (101) che fa riferimento ai funzionari pubblici e anche la relazione spiega che si tratta di una norma mirata a consentire ai tecnici non laureati delle Pa «di continuare a firmare i progetti»

NIENTE ESCLUSIONE PER «COLPA» DEI SUBAPPALTATORI

Un corposo elenco di modifiche riguarda l’articolo 80 del nuovo codice: quello dedicato alle cause di esclusione. Innanzitutto, il provvedimento elimina la possibilità che il titolare di un appalto si veda estrarre il cartellino rosso per una carenza di requisiti “morali” evidenziata da uno dei suoi subappaltatori. In questi caso si torna all’obbligo di sostituire il sub-affidatario. Poi arrivano due precisazioni. La prima riguarda i soggetti delle imprese da sottoporre a controlli. La seconda chiarisce che scatta l’esclusione anche nei casi di irregolarità contributiva riferita a enti non aderenti allo sportello unico previdenziale, come ad esempio Inarcassa. Il correttivo aggiunge poi due nuove cause di esclusione. Riguarderanno le imprese che rilasciano o false dichiarazioni o certificati in gara e quelle iscritte al casellario informatico dell’Autorità per lo stesso motivo. Un passaggio è riservato a definire in un massimo di tre anni il divieto di ottenere appalti dalla PA nel caso di «gravi illeciti professionali», precisando che il calcolo parte dal «definitivo accertamento giudiziale» dell’illecito. L’ultimo punto riguarda le Soa che avranno (come accadeva con il vecchio codice) l’obbligo di segnalare all’Anac i falsi documenti o le false dichiarazioni ricevute in fase di qualificazione.

LE NUOVE ATTRIBUZIONI ALL’ANAC

Diverse limature presenti nel correttivo riguardano l’Autorità anticorruzione. La prima arriva sui pareri di precontenzioso: il parere dell’Anac su questioni insorte durante lo svolgimento della gara andrà espresso «previo contraddittorio». Si tratta di una novità coerente con le osservazioni del Consiglio di Stato, che già nell’esame preliminare del Codice aveva evidenziato criticità su questo punto, chiedendo di «procedimentalizzare» l’istituto. Il secondo intervento del correttivo riguarda i costi standard dei lavori e dei prezzi di riferimento di beni e servizi. L’Authority dovrà provvedere alla loro elaborazione per favorire «l’economicità dei contratti pubblici e la trasparenza delle condizioni di acquisto». I costi standard dovranno riguardare quei casi «di maggiore impatto in termini di costo a carico della pubblica amministrazione», avvalendosi anche di banche dati di altre Pa. Infine, arriva un chiarimento sulle linee guida. Saranno valide solo in seguito alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e potranno essere applicate soltanto ai bandi usciti dopo. Si risolvono così alcune incertezze sollevate dal mercato nella prima fase di vita della regolazione leggera dell’Anac.

COMMISSIONI CON PRESIDENTE ESTERNO OLTRE IL MILIONE

La bozza di decreto correttivo si occupa in due articoli della nomina delle commissioni di gara. la modifica più rilevante riguarda il passaggio chiesto dall’Anac, con uno specifico atto di segnalazione al Governo, mirato a evitare che nelle gare sottosoglia tutti i membri della commissione giudicatrice potessero essere nominati tra i funzionari interni alla PA. Una scelta che l’Anticorruzione ha tentato di forzare, indicando con le proprie linee guida, una lettura del codice che secondo la propria interpretazione già poteva prevedere che almeno il presidente della Commissione fosse scelto tra gli esperti dell’albo tenuto dall’Anac, almeno per le gare di importo superiore al milione di euro. Con il correttivo questa scelta trova copertura normativa. L’obbligo di presidente esterno viene esteso anche agli appalti di servizi e forniture di importo inferiore alle soglie Ue. A nominare i componenti della commissione (entro 15 giorni dalla richiesta degli enti) sarà direttamente l’Anac. Viene così eliminata la fase di sorteggio che avrebbe dovuto essere gestita dalle stazioni appaltanti. L’albo sarà articolato su base regionale per ridurre le spese di trasferta a carico delle Pa. Chiarimento anche sulle sedute: saranno «di norma» pubbliche, ma riservate per la valutazione delle offerte tecniche.

GARE PIU’SNELLE, SOCCORSO ISTRUTTORIO GRATIS

Tra gli 84 articoli del decreto spuntano qua e là diverse misure di semplificazione, soprattutto sul fronte della gestione delle gare che in questi primi mesi di applicazione ha mostrato evidenti segnali di “affaticamento” procedurale. Si parte dagli affidamenti più piccoli. Per assegnare gli appalti sotto i 40mila euro (affidamenti diretti) le stazioni appaltanti, oltre ai requisiti di carattere generale, dovranno verificare soltanto il Durc e che l’impresa non si trovi in stato di fallimento o liquidazione coatta. Poi vengono previsti controlli a campione sugli aggiudicatari. Sempre sulle gare viene eliminato l’obbligo – prima di aggiudicare – di controllare il possesso dei requisiti anche sull’impresa arrivata seconda. «Si tratta di un appesantimento procedurale – si legge nella relazione – non richiesto dalle direttive europee». Non è passata la richiesta delle imprese di alzare a 2,5 milioni il tetto per utilizzare l’esclusione automatica delle offerte anomale con il metodo anti-turbativa. Il correttivo però impone ora alle PA di utilizzare questa formula per gli appalti di lavori sotto al milione. Il correttivo interviene poi sul soccorso istruttorio. Non potrà più essere a pagamento. Qualunque sia la carenza, se è sanabile, l’impresa potrà correggere in corsa l’offerta senza sborsare un euro.

OBBLIGO DI PARAMETRI PER I COMPENSI DEI PROGETTISTI

L’utilizzo del decreto parametri per calcolare gli importi da porre a base delle gare di progettazione diventa obbligatorio. Il correttivo al Codice appalti, nella prima bozza andata in Consiglio dei ministri, scioglie una questione che si trascina da anni e sulla quale ingegneri e architetti hanno fatto decine di richieste al Governo (sempre inascoltate). Gli importi base per le gare di progettazione non potranno più essere calcolati a discrezione delle stazioni appaltanti, come è stato finora. Bisognerà invece prendere a riferimento le tabelle del Dm 17 giugno 2016, che riprendono di peso quelle inserite nel decreto n. 143 del 2013. Ma non solo. Le amministrazioni non potranno più «subordinare la corresponsione dei compensi relativi allo svolgimento della progettazione e delle attività tecnico amministrative ad essa connesse all’ottenimento del finanziamento dell’opera progettata». Il rischio della mancata copertura finanziaria dell’opera dovrà essere sopportato interamente dalla PA e non potrà essere scaricato sui professionisti. Allo stesso modo, non sono ammesse forme di sponsorizzazione al posto del corrispettivo: le parcelle dovranno essere interamente pagate dalla PA.

CONCORSI CON INCARICO AL VINCITORE

Con il correttivo arriva anche una spinta ai concorsi di progettazione. La misura più importante in questo senso riguarda l’obbligo per le amministrazioni di assegnare l’incarico al vincitore della competizione. Il vincolo scatta in tutti i casi in cui il progetto non viene sviluppato all’interno dell’amministrazione e la PA abbia inserito la clausola nel bando. Dovrebbero così cadere le ipotesi in cui le amministrazioni si riservano di affidare gli incarichi ai vincitori salvo poi scegliere diversamente. C’è poi una misura destinata a semplificare la vita ai concorrenti. Si stabilisce infatti un doppio step per sviluppare il progetto di fattibilità tecnico-economica che può essere richiesto a chi partecipa a un concorso per la progettazione di opere pubbliche. Architetti e ingegneri in gara potranno limitarsi a presentare un più snello documento di fattibilità delle alternative progettuali. Solo chi sarà premiato come vincitore dovrà sviluppare gli ulteriori documenti necessari a trasformare il documento in un vero e proprio progetto di fattibilità tecnica ed economica. Un adempimento da portare a termine nel giro di sessanta giorni.

CLAUSOLA SOCIALE OBBLIGATORIA

La clausola sociale, prevista dall’articolo 50 del Dlgs n. 50/2016, diventa obbligatoria. La novità riguarda gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi «diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera». Quindi, secondo la definizione inserita nel Codice appalti approvato ad aprile, quelli nei quali il costo della manodopera pesa per almeno il 50% sul valore totale del contratto. In tutti questi casi i bandi, gli avvisi e gli inviti devono prevedere esplicitamente le cosiddette «clausole sociali», che promuovano «la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario dei contratti collettivi di settore». La norma, che vincola molto le imprese che sottoscrivono i contratti costringendole a mantenere il personale impegnato nell’appalto oggetto di gara, era stata già oggetto di una lunga discussione nella prima versione del Codice dove, però, ci si era limitati a prevedere clausole facoltative: la modifica, che passa adesso all’obbligo, accoglie una richiesta avanzata a più riprese al Governo dai sindacati.

AUTOSTRADE, OK ALLE MANUTENZIONI IN HOUSE

Anche sull’articolo 177 la bozza di decreto correttivo accoglie in toto la richiesta fatta dai sindacati. In ballo c’è la delicatissima questione della quota di lavori che i titolari di una concessione possono tenersi, senza metterla in gara. Il Codice eleva la parte che andrà a mercato dal 60% all’80%. Per limitare l’impatto occupazionale di questa misura, sindacati e ministero delle Infrastrutture avevano concordato nei mesi scorsi alcune interpretazioni restrittive della norma che, di fatto, adesso vengono incorporate nel testo. Soprattutto, viene previsto che l’obbligo di mandare in gara gli appalti sussista con la sola esclusione di lavori, servizi e forniture che «non siano eseguiti direttamente o che non riguardino la manutenzione ordinaria». Quindi, restano fuori i lavori in gestione diretta, che le concessionarie eseguono con propri dipendenti, e quelli relativi alle manutenzioni ordinarie. In questo modo viene parzialmente compensata la perdita di fatturato imposta dal Codice. E questo dovrebbe salvare le società in house delle concessionarie. Gli stessi sindacati denunciano, infatti, da settimane come stiano già partendo i primi licenziamenti a carico dei dipendenti di queste società, proprio a causa del Codice.

CANTONE RISPONDE IN TRENTA GIORNI SULLE VARIANTI

Arriva un chiarimento sulle modifiche derivanti da errori od omissioni nel progetto esecutivo, «che pregiudichino in tutto o in parte la realizzazione dell’opera o la sua utilizzazione». Ferma restando la responsabilità dei progettisti esterni, queste varianti sono ammesse solo se il loro valore resta inferiore alla soglia comunitaria da 5,2 milioni di euro e se non viene superato il 10% del valore del contratto in caso di appalti di servizi o il 15% in caso di appalti di lavori. Questi requisiti dovranno tutti essere rispettati e non saranno alternativi: viene così chiarito un passaggio sul quale la prima versione del Codice era stata oggetto di dubbi interpretativi. Altro cambiamento importante arriva per le varianti relative a contratti di importo superiore alla soglia comunitaria, che eccedano il dieci per cento del valore totale del contratto: queste saranno comunicate all’Anac, che ne accerterà l’illegittimità ma che avrà un termine di 30 giorni, dal momento in cui riceverà la comunicazione, per esercitare i suoi poteri e dare parere negativo, bloccandole. Finora a carico dell’Authority il Codice non fissava alcun termine massimo per intervenire.

URBANIZZAZIONI, PALETTI MENO RIGIDI

Ammorbiditi almeno in parte i paletti sulle urbanizzazioni a scomputo gestite dai costruttori. Si tratta dei casi in cui le imprese invece di pagare gli oneri dovuti ai comuni in moneta sonante si impegnano a realizzare opere di utilità pubblica, come scuole e parchi. In questi casi il codice impone ai costruttori di bandire una gara formale per l’assegnazione dei lavori – assimilandone il ruolo a quello di un stazione appaltante pubblica – anche per le opere di importo inferiore alla soglia comunitaria (sotto i 5,2 milioni). Il paradosso però è che in questo modo si chiede ai privati di seguire una procedura di appalto addirittura più rigida di quella richiesta alle amministrazioni pubbliche, che per le opere sotto al milione di euro possono utilizzare le procedure negoziate a inviti. Possibilità finora negata ai costruttori. Con il correttivo si propone ora una soluzione differenziata in base al valore delle opere del tutto identica a quella seguita dalle stazioni appaltanti pubbliche. Quindi per le opere a scomputo tra 40 e 150mila euro si può procedere senza bando e con cinque inviti. Tra 150mila euro e un milione bisognerà consultare invece almeno dieci operatori. Sopra il milione scatta l’obbligo di procedere con gara.

QUALIFICAZIONE PIU’ SOFT PER LE PA

Correzioni per il nuovo sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, tenuto dall’Anac. Nel conteggio del numero di gare svolte potranno, infatti, essere considerate le gare effettuate nel corso dell’ultimo quinquennio, anziché nel corso dei tre anni, come previsto adesso dal Codice. «Ciò – spiega la relazione di accompagnamento al testo – in quanto l’attuale situazione economica e la conseguente riduzione del numero delle gare renderebbe particolarmente onerosa la restrizione al solo triennio». Inoltre, viene allargato l’elenco degli elementi che andranno valutati in fase di qualificazione della PA. Sarà premiato chi avrà assolto agli obblighi di comunicazione dei dati sui contratti pubblici che alimentano gli archivi tenuti dall’Autorità anticorruzione. E avrà un bonus anche chi si dota di un sistema anticorruzione, conforme alle norme Uni e certificato da organismi accreditati. Infine, arriva una precisazione sull’iscrizione di diritto agli elenchi delle centrali di committenza. Gli enti qualificati di diritto non sono soltanto quelli regionali, come è previsto dal Codice in vigore, ma anche le città metropolitane e gli enti di area vasta che ne abbiano i requisiti.

PROTEZIONE CIVILE, MENO VINCOLI PER LE EMERGENZE

Più poteri e meno vincoli per la Protezione civile nella gestione di situazioni di emergenza. Il decreto correttivo, in coerenza con la riforma in approvazione alla Camera, allarga il perimetro della somma urgenza, che consente deroghe alle norme ordinarie del Codice e la realizzazione, senza particolari formalità, di lavori entro un importo massimo di 200mila euro. Se nella prima versione del Dlgs n. 50/2016 ci si limitava alle calamità naturali o connesse all’attività dell’uomo da fronteggiare con poteri straordinari, adesso le deroghe saranno possibili anche in tutti i casi di eventi fronteggiabili dalle amministrazioni competenti in via ordinaria. Di fatto, quindi, non bisognerà più valutare la tipologia di calamità per attivare la procedura di somma urgenza. Non solo. Nel caso di trattativa privata senza bando attivata per casi di estrema urgenza, «gli affidatari dichiarano, mediante autocertificazione il possesso dei requisiti di partecipazione». I relativi controlli sulle autocertificazioni presentate saranno effettuati entro sessanta giorni dalla stipula del contratto, «dando conto, con adeguata motivazione nel primo atto successivo alle verifiche effettuate sulla sussistenza dei relativi presupposti»

MISURE PIU’ SEMPLICI SULLE GARANZIE

Semplificazioni anche sul fronte delle garanzie. Il decreto correttivo porta cambiamenti anche all’articolo 93, sulle garanzie per la partecipazione alle procedure di gara. In caso di affidamenti sotto i 40mila euro c’è la semplificazione più consistente di questo pacchetto. Sarà facoltà delle stazioni appaltanti non richiedere le garanzie previste dal Codice: queste diventano, quindi, flessibili. Ancora, ai fini dell’escussione della garanzia sarà sufficiente una condotta imputabile all’affidatario, come previsto dal vecchio Codice appalti, senza che ricorrano per forza condotte connotate da dolo o colpa grave. Questa innovazione semplifica molto la fase di attivazione della garanzia. Anche in questo caso, come per molti altri passaggi del decreto correttivo, si tratta peraltro di una limatura che va nella direzione delle osservazioni formulate dal Consiglio di Stato nei suoi pareri sul Dlgs n. 50 del 2016. Infine, nel decreto ci sono due passaggi più tecnici, sempre relativi all’articolo 93, che operano chiarimenti sulle modalità di calcolo degli importi delle garanzie e sulle garanzie fideiussorie della cauzione provvisoria.

PROGETTI, BASTA UN NUOVO OK PER I PARERI SCADUTI

Il correttivo interviene ancora sulle norme di approvazione dei progetti, provando a semplificare le procedure. Il primo passaggio mira a non far ripartire da zero l’iter quando gli appalti sono basati su progetti per i quali sono già state ottenute le autorizzazioni, ma il tempo trascorso ne ha fatto scadere la validità. In questi casi l’iter non verrà più riavviato ma bisognerà soltanto farsi riconfermare l’ok dalle amministrazioni. Il secondo passaggio inserisce un termine (prima non previsto) di 60 giorni entro il quale i vari enti coinvolti dal progetto dovranno esprimersi sulle “interferenze”. Non solo. Viene anche stabilito che gli enti gestori presentino in conferenza id servizi un cronoprogramma di risoluzione delle interferenze e provvedano direttamente all’elaborazione del progetto (ora devono solo collaborare) addebitando poi i costi alla stazione appaltante. L’ultimo punto riguarda l’obbligo di rispettare il piano di risoluzione delle interferenze allegato al progetto definitivo. Per rafforzare il vincolo si introduce la responsabilità patrimoniale del gestore dei servizi che rispetta i tempi «per i danni subiti dal soggetto aggiudicatore».

INCENTIVI ANCHE PER I SERVIZI AI TECNICI DELLA PA

La prima novità arriva su proposta del Consiglio superiore dei lavori pubblici e modifica il comma 6 dell’articolo 26 del Codice, ampliando le categorie di soggetti con certificazione di qualità «abilitati a svolgere l’attività di verifica preventiva della progettazione per i lavori di importo pari o superiori alla soglia dei 20 milioni di euro». Vengono così inclusi in questa categoria anche gli uffici tecnici interni alla Pa, qualificati ai sensi delle nuove norme di certificazione delle stazioni appaltanti. Queste modifiche si sono rese necessarie per allinearsi meglio alla normativa comunitaria di settore, garantendo la qualificazione e la competenza degli operatori. Un altro cambiamento importante arriva sul fronte degli incentivi, con integrazioni all’articolo 113. Questi saranno previsti anche per i servizi e le forniture, oltre che per i lavori. Inoltre, si prevede che le risorse da utilizzare per il fondo costituito con gli accantonamenti del due per cento andranno calcolate anche sulla base degli importi contrattuali totalizzati in caso di ricorso alle centrali di committenza. Il fondo, in tutto o in parte, potrà essere destinato proprio ai dipendenti della centrale di committenza.

ADDIO AL COLLEGIO CONSULTIVO TECNICO

Qualche novità arriva anche sul fronte del contenzioso sorto in fase di cantiere tra imprese e amministrazioni. L’obiettivo anche in questo caso rimane quello di provare di restringere i varchi che possono portare a un aumento di costo delle opere pubbliche. In questo senso può essere letta la misura che tenta di limitare, almeno nei tempi, il caso in cui le imprese dopo aver rifiutato un accordo bonario con l’amministrazione decidano di instaurare una causa in tribunale. Le porte delle aule giudiziarie rimarranno aperte soltanto per 60 giorni. Scaduto il termine decade anche la possibilità di portare le proprie contestazioni in giudizio. L’altro passaggio riguarda il cosiddetto «collegio consultivo tecnico», una novità prevista dall’articolo 207 del codice su cui aveva espresso fin dall’inizio più di qualche perplessità il presidente dell’Anac Raffaele Cantone. Il collegio viene cancellato dal codice, con l’abrogazione dell’articolo 207. Nella relazione si legge che la scelta di sopprimere l’istituto «recepisce le osservazioni del Consiglio di Stato che ha rilevato che non risulta chiaro se il ricorso al collegio consultivo, per dirimere le controversie, costituisca un sistema alternativo all’accordo bonario né come i due istituti si rapportino tra di loro».