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Tenere ferma la rotta sullo sviluppo

La manovra varata dal governo Renzi il 15 ottobre si trova nel lungo tunnel – troppo lungo – che porta dall’approvazione in Consiglio dei ministri alla presentazione in Parlamento. Limature, spesso robuste, confronti sulle coperture, norme che entrano, altre che escono, vere e proprie sorprese, non di rado. A dare ancora più suspense a questa fase delicatissima c’è, quest’anno, la durissima partita con l’Unione europea che ieri ha spedito a Roma la lettera con la richiesta di chiarimenti annunciata da giorni. La Ue chiede modifiche, che non mettono in gioco cifre grandissime (1,6 miliardi su una manovra complessiva di 27 miliardi), ma contestano in profondità la filosofia del finanziamento in deficit (considerato eccessivo) e il conteggio fuori-deficit di alcune misure straordinarie come quelle su migranti e sisma.

Roma ha già risposto a Bruxelles che l’impianto della manovra non cambierà. Una risposta formale arriverà domani, ma nella sostanza il governo rivendica una linea di politica economica più orientata alla crescita che all’austerità e difende l’utilizzo del deficit per finanziare misure di sviluppo. Soprattutto risorse e incentivi per il rilancio degli investimenti, privati e pubblici. E non c’è dubbio che gli incentivi fiscali di Industria 4.0, le misure per la produttività e le risorse destinate alle infrastrutture pubbliche sono la parte qualificante di questa manovra nel senso dello sviluppo. Qualificante anche perché sceglie, e sceglie di puntare sul rilancio della manifattura e su una crescita solida.

Ora, però, bisogna tenere la barra dritta sullo sviluppo: rispetto alle obiezioni Ue, nel prossimo confronto parlamentare, rispetto alle tentazioni dell’ultima ora di inserire norme di presunta equità (o di consenso) che con lo sviluppo nulla hanno a che fare.

Questo vale, ad esempio, per l’ottavo piano di salvaguardia degli esodati, spuntato nei testi messi a punto fra lunedì e ieri: se ne era parlato come ipotesi che si sarebbe potuta inserire eventualmente nel passaggio parlamentare, ma ora il governo sembra aprire all’inserimento da subito di queste misure che valgono 775 milioni in tre anni e farebbero ulteriormente lievitare il costo del pacchetto pensioni per il 2017 da 1,9 a 2,2 miliardi.

Si usano, si dirà, risorse non utilizzate per i precedenti piani di salvaguardia ma, a parte la reale utilità di questi piani che è risultata decrescente almeno in termini di effettivo accesso al beneficio dei lavoratori potenzialmente interessati, comunque la misura innesca nuova spesa previdenziale.

Nel testo della legge di bilancio, che è ancora suscettibile di qualche modifica, non mancano neanche novità molto importanti che vanno ancora nella direzione giusta di liberare sviluppo: il rifinanziamento della legge Sabatini per due anni, per esempio; o il nuovissimo fondo di Palazzo Chigi per finanziare – su proposta del ministero dell’Economia – le infrastrutture strategiche che già erano state “snellite” e “liberate” con un precedente decreto legislativo; o ancora il rafforzamento della norma che “libera” risorse dei comuni per gli investimenti.

Prendono corpo e si consolidano, d’altra parte, in queste ore, altre novità di cui si era parlato nei giorni scorsi. Sempre per restare al tema dello sviluppo, tengono fede alle anticipazioni le norme sui bonus fiscali per la prevenzione sismica e per il risparmio energetico, con percentuali di “sconto” (fino all’85%) che da sole testimoniano la volontà del governo di fare di questo piano una priorità della sua azione per il rilancio e la riqualificazione dell’edilizia. Una sfida coraggiosa e importante. Senza contare che questi sconti vengono effettivamente estesi alle imprese alberghiere e agli agriturismo, come preannunciato da Renzi. Impegni mantenuti che non sembrano essere compromessi o ridiscussi dalla lunga elaborazione dei testi della legge di bilancio.

Resta il fatto che alle limature bisognerà presto mettere fine e a quel punto si potrà fare un bilancio definitivo con il testo che sarà recapitato in Parlamento.

È necessario che l’impianto della manovra resti solido e che la rotta resti ferma sullo sviluppo. In questo modo si potrà motivare a Bruxelles la volontà di andare avanti senza correzioni, ma si potrà anche resistere a tentazioni di assalti alla diligenza che, per altro, l’iter della nuova legge di bilancio rende meno facili.