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Pedemontana Lombarda, Delrio dice no a nuovi fondi

Fare solo la Pedemontana che serve, è questa l’idea illustrata dal presidente della provincia di Monza e Brianza, Gigi Ponti, durante l’assemblea dei 55 sindaci dedicata alla mobilità e alle infrastrutture alla presenza del ministro Graziano Delrio che ha scatenato il botta e risposta tra il titolare del Mit e il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni sull’utilità dell’opera e sulle risorse da impiegare per completarla.

Ma dietro questa polemica sembra ci sia molto di più, da un lato la richiesta di ulteriori risorse statali e dall’altro la necessità di un maggior contributo nell’equity: tutto per riuscire a trovare l’accordo con la Bei e quindi arrivare al closing finanziario di un piano da 5 miliardi di euro circa per cui servono al momento 536 milioni di equity e 2,5 miliardi di debito circa.

Il Ministro Graziano Delrio avvisa che non ci sono più soldi per la Pedemontana: lo Stato ha già contribuito per 1,2 miliardi di euro di contributo pubblico più il piano di defiscalizzazione per un valore equivalente di 393 milioni di euro (a fondo perduto) diventato operativo con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuto il 30 gennaio 2015 della delibera Cipe 24/2014.

La Regione Lombardia replica che lo Stato applica due pesi e due misure nei confronti delle opere infrastrutturali lombarde e le altre del resto del Paese. Un dibattito fatto di lanci di agenzia che dietro nasconde una situazione complessa e che emerge solo in controluce. Il Ministro Delrio a Monza si è sentito dire che la Pedemontana poteva essere completata solo in alcune sue parti funzionali e come ha spiegato il presidente della Provincia di Monza e Brianza, Gigi Ponti l’infrastruttura non deve «necessariamente essere quella sulla carta, che è nata vecchia».

Secondo i tecnici della Provincia bisognerebbe garantire il collegamento con le tangenziali milanesi, la riqualificazione del casello di Agrate e realizzare gli interventi necessari a garantire la sostenibilità ambientale dell’opera. In pratica – ha continuato Ponti – «la Provincia ha presentato una sorta di piano B, dove non si chiede una modifica del tracciato ma diciamo di fare le opere che servono in qualsiasi caso».

Quanto sia percorribile questa strada è difficile dirlo tecnicamente, almeno per il momento, visto che comunque ora come ora c’è una concessione in corso e una concedente Cal – la società mista Regione Lombardia e Anas – che vuole vedere l’intera tratta completata, come ovviamente la stessa Regione Lombardia. Piuttosto si può cercare di capire come si è arrivati a questo punto, in cui anche solo per via ipotetica si guarda ad un piano B dopo che nel 2015 sembrava che il piano Junker potesse dare una bella scossa all’autostrada facendo scendere in campo la Bei.

Il traffico non decolla. Per far decollare il piano Junker sembrava che in prima battuta la parte completata della Pedemontana dovesse dimostrare la sua produttività a livello di traffico. Ora sembra che il sistema Freeflow messo in campo dalla società autostradale pur avendo avuto oltre 56mila iscrizioni online di cui 1600 di stranieri per quanto riguarda il Conto targa e le oltre 66mila iscrizioni per quanto riguarda il Pagamento occasionale non sia sufficiente. Anche perché il traffico vero e proprio non decolla e gli automobilisti non solo faticano a iscriversi a questa sistema di pedaggiamento, ma nel timore di sbagliare o incorrere in multe preferiscono scegliere direttamente altre strade.

Per fortuna dal 18 aprile il sistema sarà aggiornato e sarà più facile per i clienti dell’autostrada prendere confidenza con questo nuovo metodo. Al momento quindi sono state completate la tratta A (15 km) inaugurata insieme alle due tangenziali di Como e Varese lo scorso gennaio 2015 come primo maxi lotto dell’opera (lavori da 629 milioni escluso Iva realizzato dal general contractor capitanato da Salini-Impregilo) e la tratta B1 (9,5 km) inaugurata dopo l’Expo ad inizio novembre del 2015 (parte del maxi appalto da 1,683 miliardi di euro escluso l’Iva affidato a Strabag).
La spesa realizzata, su un costo totale dell’opera di 4.118 milioni di euro, è quantificata dall’Allegato Infrastrutture al Def 2016 in 1.306 milioni di euro (pagata in gran parte con finanziamenti pubblici, più i 300 milioni di equity già versati, anch’essi in gran parte da soci pubblici).

Cantieri fermi e closing lontano. In pratica però al momento i cantieri sono fermi: servono 536 milioni di equity (di cui solo 300 milioni sono stati messi a disposizione) e 2,5 miliardi di debito circa. E forse servirebbe un socio di riferimento più forte: al momento la concessionaria vede come socio principale Milano-Serravalle al 79% che è una controllata dalla Regione Lombardia, quindi al 13,3% Oldequiter di Intesa Sanpaolo.

Ma da quanto è stato possibile apprendere, una delle richieste che continuano a riemergere dal mondo finanziario è che l’equity dovrebbe salire a un miliardo per riequilibrare l’impegno dei soci rispetto ai 5 miliardi di impegno complessivo. Soprattutto servirebbe per rendere più fluida la partecipazione della Bei e quindi la conseguente completa e totale realizzazione dell’opera un’altra iniezione di risorse pubbliche, così da mettere insieme tutti gli anelli di una catena che potrebbe trainare l’opera al suo compimento fatta di un miglioramento del traffico attuale (magari pubblicizzando meglio il suo utilizzo), aumentando l’equity e infine trovando risorse pubbliche aggiuntive.