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Investimenti: in stallo i Comuni nonostante l’addio al Patto

Sugli investimenti pubblici dei sindaci, cuore politico del capitolo dedicato alla finanza locale dall’ultima manovra, è in cantiere un doppio rilancio. Per il primo, l’appuntamento è fissato a domani, quando l’Aula del Senato si pronuncerà sulla riforma del pareggio di bilancio di regioni ed enti locali, un testo accompagnato da un «bonus» da 660 milioni all’anno per tre anni per la spesa in conto capitale dei Comuni; il secondo potrebbe arrivare invece nella conversione del decreto legge enti locali (ora sui tavoli della commissione Bilancio della Camera) con l’obiettivo di sterilizzare l’effetto del freno prodotto dalla riforma degli appalti.

Il tema è tecnico ma molto concreto, perché dalla capacità delle amministrazioni locali di tornare a sviluppare nuovi investimenti passa una componente importante per la qualità di vita nelle città (non poche delle differenze nelle condizioni di Roma e Milano si possono spiegare con la distanza fra i circa 100 euro ad abitante investiti all’anno dal Campidoglio e gli oltre 500 impegnati da Palazzo Marino) ma anche per le sorti del Pil del Paese.

Il governo Renzi ha fatto una bandiera del superamento del «patto di stupidità», come da definizione ripetutamente affibiata dal premier al patto di stabilità, che aveva contribuito a far sprofondare gli investimenti locali fino ai 10,6 miliardi impegnati nel 2014 contro i 19 miliardi del 2007.
Una prima ripresa si è avviata l’anno scorso, quando gli obiettivi di bilancio imposti dal patto erano stati nei fatti tagliati del 60 per cento. Per quest’anno, la manovra ha mandato in pensione il vecchio patto e l’ha sostituito con un obbligo di pareggio di bilancio “temperato”, fondato cioè sul solo saldo finale tra entrate e uscite anziché sulla gabbia scritta dal governo Monti nel 2012; ma l’obiettivo di una ripresa strutturale, che dalle parti di Via XX Settembre si stima intorno al 10-15%, è ancora tutto da conquistare. I primi numeri, anzi, dicono che la sfida è complicata.

I pagamenti effettivi, cioè i flussi di cassa misurati in tempo reale dal sistema telematico del ministero dell’Economia, indicano che nei primi sei mesi di quest’anno i Comuni hanno saldato fatture per 4,5 miliardi di spesa in conto capitale, cioè il 3% meno dei 4,62 miliardi realizzati nello stesso periodo dell’anno scorso. Si tratta, come detto, di dati di cassa, che oltre a non essere confrontabili con quelli citati poche righe sopra (gli impegni di spesa sono sempre più alti dei pagamenti liquidati nel corso dell’anno) possono essere influenzati da fattori congiunturali.

Un quadro più definito si avrà a fine luglio, con il primo monitoraggio sui bilanci, ma l’indicazione non è da sottovalutare. Proprio per questa ragione diventa fondamentale il doppio intervento normativo in cantiere.

Domani (mercoledì) Palazzo Madama si dovrà pronunciare (a maggioranza assoluta, perché la riforma cambia appunto la legge del 2012 con cui il governo Monti ha attuato il nuovo articolo 81 della Costituzione) sulle nuove regole di finanza locale che promettono una nuova spinta da 660 milioni all’anno nel 2017-2019 per gli investimenti dei Comuni: è vero che la mossa, che per gli appassionati del dato tecnico si attua inserendo nei conti del pareggio una quota del fondo («pluriennale vincolato») previsto dalla riforma contabile per gestire la spesa in conto capitale, riguarda il prossimo anno, ma gli investimenti si muovono sempre in un’ottica pluriennale e la mancata apertura avrebbe prodotto un ulteriore effetto di blocco.

Sulla stessa linea si colloca l’emendamento allo studio nel decreto enti locali, che in pratica serve a evitare il «congelamento» degli impegni di spesa su progetti che non riescono ad arrivare entro fine anno all’aggiudicazione definitiva per i tempi di adeguamento delle amministrazioni al nuovo Codice degli appalti. Il problema, in questo caso, non è tanto nel contenuto delle nuove regole, ma nell’assenza di una finestra di transizione per accompagnare le amministrazioni ad adeguarsi: il correttivo, quindi, servirebbe ad alleggerire il problema di “avviamento”, mentre si completa il lavoro delle linee guida dell’Anac e dell’entrata a regime della riforma.