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Una distanza che frena la crescita

L’Italia è sempre più spaccata. Ma alla tradizionale divisione tra Nord e Sud si è sostituita una divisione tra Mezzogiorno e Centro-Nord. È il quadro che emerge dall’ultima ricerca di Banca d’Italia sulle economie regionali.
Secondo Giuseppe Berta, docente dell’Università Bocconi di Milano, il Pil del Mezzogiorno «crescerà quest’anno di uno striminzito 0,1%, a fronte dell’1% stimato per il Centro-Nord». Conferma Mario Deaglio, dell’Università di Torino: «Nonostante le differenze, sia il Nord che il Centro possono tranquillamente venire paragonati alle aree più forti d’Europa, con qualche difficoltà in più nel Nord-Est».

Il problema vero è rappresentato proprio dal «drammatico divario» tra il Sud e il resto d’Italia. «Un divario di tali dimensioni – ricorda Deaglio – non esiste in alcun Paese d’Europa».
Ma se l’analisi, impietosa, è facile, più complesso è individuare le soluzioni. Per Salvatore Rossi, direttore generale di Banca d’Italia, occorre che le politiche nazionali tengano conto delle differenze tra aree urbane e non urbane. Rossi, più che ai sussidi a favore di specifici territori o settori o tipi di impresa («Nostri studi ne hanno ripetutamente dimostrato l’inefficacia») pensa a politiche declinate in modo differenziato sul territorio, «per tener conto della diversa capacità di applicarle in aree con diverse dotazioni di capitale sociale e con diverse abilità politico-amministrative». Per Deaglio invece bisogna andare oltre, inventare qualcosa di nuovo, «perché non se ne esce con i modelli che conosciamo».
Il passo lento del Mezzogiorno non permette una rapida crescita complessiva del Paese. Una crescita che per Berta «è poco più di un rimbalzo: non a caso, la crescita rallenta con il passare dei mesi». Banca d’Italia, però, prevede che il Pil possa salire quest’anno dello 0,8% e dell’1,5% nel 2016: una ripresa sostenuta dalla domanda interna e con un’inflazione salita intorno all’1 per cento.

Non mancano però rischi di segno opposto, soprattutto per quel che riguarda le esportazioni. Innanzitutto per il rallentamento delle economie emergenti, già in atto e che potrebbe essere «accentuato da deflussi di capitale eventualmente innescati dal processo di normalizzazione della politica monetaria americana»; in secondo luogo, per gli effetti degli atti di guerra che, diffondendo un clima di paura, potrebbero frenare i consumi.

A tutto ciò Rossi aggiunge un altro ostacolo strutturale da superare: «Pesa una morfologia del sistema inadatta ai tempi nuovi, perché segnata dalla predominanza di imprese piccole e restie alla crescita». Anche negli altri Paesi le imprese nascono piccole, ma poi crescono in fretta oppure muoiono. In Italia, se non muoiono, restano quasi sempre nel limbo della piccola dimensione. «Con una produttività più bassa e una minore competitività rispetto alle imprese medio-grandi».