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Ente proprietario delle strade, un “custode” con tante responsabilità

La Cassazione si pronuncia su un tragico incidente avvenuto nel 2006. E’ stato uno dei peggiori incidenti stradali di autobus verificatosi in Italia. Il 6 febbraio 2006, a Roma, un pullman carico di turisti turchi, percorrendo i ripidi tornanti della via Trionfale, lungo le pendici di Monte Mario, precipitò nel vuoto e finì, letteralmente, incastrato tra due palazzine sottostanti. Con un bilancio finale pesantissimo: dodici morti e diversi feriti.

La tragedia della via Trionfale, anche se soppiantata nell’immaginario collettivo dall’ecatombe di Monteforte Irpino, del 2013, con i suoi quaranta morti, rimane impressionante soprattutto perché avvenuta in un “tranquillo” contesto urbano e con un mezzo che, secondo tutti gli accertamenti, procedeva a una velocità di appena 38 km/h. 
Al riguardo, pochi giorni fa, la Cassazione (Civile) si è pronunciata. Con una sentenza, la 9547/2015, che demolisce pressoché interamente la decisione della Corte d’Appello, secondo cui il sinistro si verificò “a causa del difetto di manutenzione dell’impianto frenante… e della condotta altamente imprudente del conducente del bus” che aveva “continuato la marcia nonostante l’avviso acustico segnalante lo stato di avaria dei freni”.

Invece, sostengono gli Ermellini, non può non esserci una responsabilità del proprietario della strada (Comune di Roma all’epoca, Ente Roma Capitale oggi). Quest’ultimo è “custode” della cosa, almeno nei tratti oggettivamente più pericolosi. E in quel tornante, situato al vertice di una scarpata a precipizio profonda oltre 13 metri, l’assenza di barriere di protezione (guard rail, new jersey, ecc.) segna, di per sé, il mancato rispetto degli obblighi imposti al custode della strada.

A maggior ragione, poi, se si va ad analizzare il complesso blocco normativo relativo alle caratteristiche tecniche e costruttive delle barriere laterali di sicurezza da utilizzare sulle reti stradali. Un blocco normativo che, sempre secondo la Cassazione, parte dall’art. 14 del Codice della Strada e si attualizza nei vari Decreti Ministeriali emanati in materia di progettazione, omologazione e impiego delle barriere di sicurezza stesse. Decreti costituenti, a tutti gli effetti, “diritto” della Repubblica Italiana.

C’è un passaggio argomentativo, nella sentenza della Suprema Corte, davvero tranchant. E’ quando essa afferma che l’anomalia comportamentale di un guidatore che affronta un tratto del genere nonostante un dubbio sull’efficienza dell’impianto frenante non è, né può essere, un “caso fortuito” idoneo a “salvare” l’Ente proprietario della strada rispetto alla trascuratezza dei suoi doveri. Perché tali doveri sono stati concepiti dall’ordinamento proprio per porre un rimedio a quelle anomalie comportamentali.

Passaggio impeccabile, sul piano logico-giuridico. Sul piano sociale, comunicativo e istituzionale, però, sarà bene cominciare a guardare con altri occhi l’Ente proprietario di strade: non più come responsabile di una striscia d’asfalto e relative pertinenze, ma, tout court, come garante complessivo della sicurezza della mobilità.

E’ evidente come, a questa evoluzione interpretativa, debba corrispondere l’adeguamento delle strutture preposte alla gestione della mobilità stradale. Compatibilmente con le disponibilità economiche, ma con scelte conseguenti.