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La realizzazione delle pavimentazioni in calcestruzzo: potenzialità e necessità di un cambio di passo

Maurizio Crispino

Intervista al Prof. Maurizio Crispino, Professore Ordinario di Strade, Ferrovie ed Aeroporti presso il Politecnico di Milano

L’occasione dello Speciale “Pavimentazioni” di questo numero è proficua per fare qualche riflessione sulle pavimentazioni in calcestruzzo a cui chi scrive sta dedicando con il suo gruppo di ricerca presso il Politecnico di Milano notevole attenzione ormai da diversi anni, anche con collaborazioni di ambito nazionale ed internazionale.

La tecnologia del calcestruzzo ha avuto, nell’ultimo decennio in particolare, un’innovazione davvero significativa: una miscela oggi è formulabile in modo da raggiungere prestazioni tempo fa inimmaginabili, sia in termini di resistenze – e tempi ridotti per raggiungerle – che di lavorabilità, ma non solo; ancor più significativa è certamente la possibilità di formulare miscele “su misura” per ciascuna applicazione; ciò con grande vantaggio in particolare delle applicazioni in condizioni ambientali critiche (elevate temperature, presenza di forte vento, ecc.) o in presenza di metodologie realizzative, come l’estrusione – qui intesa in senso generale – che notoriamente necessitano di miscele con specifici requisiti di lavorabilità e di presa.

Dall’innovazione dei materiali di base (specificamente degli additivi) è scaturita quella delle tipologie di calcestruzzo che oggi ne includono di nuove e interessanti come i calcestruzzi drenanti, che lentamente stanno risalendo la scala degli ambiti applicativi più sfidanti in termini di traffico sopportato (per numero e peso dei mezzi), e i calcestruzzi fotocatalitici, di cui già si contano diverse applicazioni con risultati ormai referenziati anche nella letteratura scientifica internazionale.

Anche dal punto di vista delle metodologie applicative, non si può non riscontrare l’evoluzione delle attrezzature, in particolare dei sistemi ad estrusione che con le loro elevate produzioni e gli altri significativi vantaggi hanno trovato largo interesse proprio dalle Imprese e dunque un sempre più diffuso impiego.

La potenzialità del settore calcestruzzo appare dunque notevole, qui considerando anche aspetti di durabilità e sostenibilità che, anche a livello mondiale, vengono visti come fattori conferenti carattere di forte competitività rispetto al concorrente settore degli asfalti. Eppure, questa potenzialità dovrebbe potersi tramutare in effettivo risultato in modo molto più diffuso e soprattutto affidabile di quanto non avviene. Le criticità non sono definibili di natura strettamente tecnica ma piuttosto di approccio e cultura di settore.

Dal punto di vista del materiale, se da un lato infatti la necessità di additivazione delle miscele con uno o più dei numerosi prodotti disponibili è ormai diventata prassi e risulta quindi indiscussa (non come accade purtroppo nel mondo degli asfalti), non può invece ritenersi consolidato il concetto che la messa a punto della miscela non può prescindere dalla metodologia di stesa anzi dalla specifica tecnologia utilizzata: in tal senso, una miscela messa a punto in laboratorio e non opportunamente testata in campo può risultare clamorosamente inadatta. Peraltro, ricordando che un intervento di medie-grandi dimensioni si sviluppa su periodi climatici non omogenei (per umidità, temperature dell’aria, ecc.) di miscele ne vanno formulate e testate anche più di una nel corso dello stesso lavoro, per adattarsi costantemente alle mutate condizioni.

Altro aspetto critico è che non sempre presso l’impianto di produzione si riesce a perseguire l’obiettivo della assoluta inderogabilità al corretto dosaggio, alle materie prime da utilizzarsi ed in definitiva al rigoroso rispetto del mix design formulato e validato, ritenendo incautamente talune variazioni tollerabili.

Anche la messa in opera può avere la sua nefasta influenza: tempi di trasporto lunghi o diversi da viaggio a viaggio comportano l’arrivo in cantiere di calcestruzzi di diversa ed imprevista consistenza che stimolano improvvide e soprattutto imponderate aggiunte d’acqua in sito.

Squadre di stesa formate e tecnicamente preparate, dal caposquadra che guida la macchina agli uomini che operano ai bordi di stesa e curano la corretta formazione dei giunti, a coloro che hanno il compito di disporre secondo allineamenti corretti le barre di compartecipazione (che diversamente non solo non svolgono il loro compito ma generano problemi) sono altro fattore determinante ma rappresentano tuttora invece una frequente e significativa criticità.

Infine, ma parimenti importante, è il discorso che attiene alle attrezzature di stesa. Sono ormai avanzatissime, ne esistono diverse e variamente equipaggiate. Non è questa la sede per esaminarle nel dettaglio ma è opportuno evidenziare quanto sia indispensabile la loro perfetta messa a punto all’inizio dell’intervento e la verifica in continuo della stessa.

Diversamente, i difetti che possono essere generati (fessure, disomogeneità e croste superficiali, ecc.), spesso invasivi e mal tollerati rispetto agli obiettivi strutturali e funzionali attesi, possono anche non essere visibili (perché interni al corpo della pavimentazione) e dunque emergere solo in un secondo momento, quando ormai però è tardi. Un esempio per tutti: un vibratore che non funziona o risulta essere poco efficiente (e diversi possono essere i motivi) può lasciare nidi d’aria interni e conseguenti segregazioni, con tutte le conseguenze del caso in termini di ridotte resistenze.

In effetti, qualunque applicazione mostra in modo del tutto evidente come siano numerosi i fattori che contribuiscono al successo o meno della realizzazione di una pavimentazione in calcestruzzo e come sia fondamentale l’attenzione al dettaglio perché, è bene non nasconderlo, la realizzazione di una pavimentazione in calcestruzzo ha la caratteristica di perdonare poco eventuali distrazioni o carenze (inerenti la miscela o la messa in opera).

In generale (e fatte salve le dovute eccezioni naturalmente), ancorché non manchino conoscenza, dotazioni e mezzi – anche di ultimissima generazione – in Italia la cultura delle realizzazioni delle pavimentazioni in calcestruzzo non ha ancora raggiunto, diversamente da altri Paesi, i livelli di quella delle “cugine” bituminose (concezione sull’uso degli additivi a parte) e soprattutto non è ancora pienamente coerente con le enormi potenzialità già disponibili di cui si diceva in apertura, potenzialità che reclamano da parte degli attori del processo realizzativo maggiore consapevolezza delle criticità e un urgente cambio di passo.