Condividi, , Google Plus, LinkedIn,

Stampa

Posted in:

La sicurezza del territorio

Un obiettivo prioritario anche per una sana ed efficiente rete della mobilità: il tema dell'ambiente e della sua tutela in relazione alle opere di genio civile ed infrastrutturali è di grande importanza ed attualità

Negli ultimi mesi è stato confermato un quadro delle condizioni del nostro territorio a dir poco desolante. In un ristretto lasso di tempo, frane e alluvioni hanno colpito soprattutto la Sardegna, la Liguria e l’Emilia Romagna e il più delle volte queste calamità naturali si sono trasformate anche in tragedie umane.

Immagini

  • Negli ultimi 80 anni in Italia si sono verificate più di 5.000 alluvioni e 11.000 frane
    article_4502-img_1623
    Negli ultimi 80 anni in Italia si sono verificate più di 5.000 alluvioni e 11.000 frane
  • I danni causati da un’alluvione
    article_4502-img_1624
    I danni causati da un’alluvione
  • La mappa dei 6.633 Comuni italiani con aree a rischio idrogeologico
    article_4502-img_1625
    La mappa dei 6.633 Comuni italiani con aree a rischio idrogeologico
  • La messa in sicurezza del territorio attraverso opere di manutenzione
    article_4502-img_1626
    La messa in sicurezza del territorio attraverso opere di manutenzione

Negli ultimi 80 anni in Italia si sono verificate più di 5.000 alluvioni e 11.000 frane.

Secondo un report redatto a suo tempo dal Ministero dell’Ambiente, sono ben 6.633 i comuni Italiani (sugli 8.071 totali) in cui sono presenti aree a rischio idrogeologico, l’82% del totale. Secondo le stime di Legambiente, oltre sei milioni di cittadini italiani si trovano ogni giorno in zone esposte al pericolo di frane o alluvioni.

La fragilità del territorio risulta molto aggravata dall’intensa urbanizzazione e, nonostante le ripetute tragedie, anche nell’ultimo decennio sono stati edificati manufatti in zone esposte a pericolo di frane e alluvioni.

Quando si parla di progettazione, costruzione o manutenzione delle reti viarie e della mobilità non si può non partire da queste premesse. Ed è per limitare, se non per eliminare, questo andamento che F.IN.CO., tra le dieci proposte appena indirizzate al Presidente del Consiglio Renzi, ha inserito quella dell’assicurazione obbligatoria, da parte dei privati, delle proprie abitazioni; ma qualcosa di analogo potrebbe studiarsi anche per le costruzioni di pubblica utilità. Poiché è evidente che nessuna Compagnia assicurativa garantirebbe iniziative edilizie o infrastrutturali in sedimi a rischio (idrogeologico, sismico, ecc.), tale riscontro negativo costituirebbe una prima barriera a costruzioni troppo “ardite”.

Barriera tanto più convincente, nel caso dei privati, se in mancanza di essa fossero negati contributi ai danni subiti. Il problema del dissesto idrogeologico è un problema serio che andrebbe arginato, eliminando i connessi danni economici alle case, alle infrastrutture e in generale al nostro patrimonio naturalistico ed artistico.

Non va infatti sottovalutato il fatto che molti dei piccoli comuni presenti sul territorio italiano sono dei veri e propri musei a cielo aperto e quindi, mettere in sicurezza e mantenere il territorio,  significa anche mettere in sicurezza il nostro patrimonio storico artistico.

In questo senso F.IN.CO. ha a suo tempo presentato un progetto denominato “Per un’Italia più bella e più sicura” al cui interno si prevede una mappatura “porta a porta”, vera e propria “due diligence” sismica, energetica e idrogeologica del territorio e del tessuto costruito, da affidare a giovani Tecnici (under 35) da formare presso gli stessi Ordini Professionali, come abbiamo già illustrato in un precedente articolo su questa stessa Rivista.

Ma, come si è detto in precedenza, il territorio (e le relative infrastrutture, tra cui le strade) non deve solo essere messo in sicurezza, ma anche mantenuto. Esso necessita di un’opera di manutenzione continua e programmata (non solo emergenziale), volta proprio ad evitare quei disastri che si sono verificati negli ultimi tempi.

La messa in sicurezza del territorio e la tutela dell’ambiente, attraverso la manutenzione, si può – e si deve – configurare oltre che come obiettivo in sé, anche come mezzo strumentale, in quanto contribuirebbe significativamente al rilancio economico e sostenibile della nostra economia.

Il connubio strade/ambiente, per essere saldo e garanzia di sicurezza per chi si sposta, abbisogna di un elemento importantissimo: la professionalità di chi nella strada lavora.

Tale professionalità non può essere assicurata, nel tempo, in mancanza di un equo ed almeno minimamente garantito, flusso dei pagamenti, specie alle piccole Imprese di manutenzione.

In mancanza di ciò, non vengono effettuati investimenti né in tecnologia né in risorse umane e si perde la professionalità.

Tutti sostengono di avere a cuore i problemi della piccola industria e “lo Small Business Act”, affermano la centralità della medesima, dicono di condividerne la promozione ed il sostegno, ma il testo di modifica dell’art. 118 del Codice degli Appalti (D.Lgs. 163/06), così come è uscito su questo tema nel decreto “Destinazione Italia” è addirittura peggiorativo.

Il fatto che la crisi di liquidità finanziaria dell’affidatario debba essere:

  • comprovata da reiterati ritardi nei pagamenti (chi li comprova? Reiterati vuole dire due, tre, dieci?);
  • “accertata dalla stazione appaltante” e “sentito l’affidatario”;
  • “per il contratto di appalto in corso”.

Significa, in termini pratici, che un ritardo nei pagamenti sicuramente non basta e forse neanche due. Tenuto conto che gli stati di avanzamento lavori sono generalmente mensili ci vogliono almeno tre mesi, dopo il primo di esecuzione (dunque quattro), cui vanno ad aggiungersi i quattro (media ottimistica di ritardo nei pagamenti da parte delle stazioni appaltanti….) prima che possa essere iniziata l’azione (la cui durata è da definire) per far sì che la stazione appaltante “accerti” il ritardo.

La tecnicità della vicenda non può essere un velo né un alibi, al fatto che si tratta di un problema concretissimo per la sopravvivenza delle PMI, che deve essere ben compreso e soppesato.

Non ci sono motivazioni reali e “trasparenti” – e infatti non ne abbiamo mai viste per iscritto – per impedire il pagamento diretto ai Subappaltatori. Non vi è – non vi dovrebbe essere – neppure un maggior impegno da parte della Stazione Appaltante che, comunque, anche se corrisponde gli importi solo all’Appaltatore e non direttamente anche ai Subappaltatori dovrebbe poi procedere a controllare che il primo abbia pagato a ciascuno stato di avanzamento dei lavori i secondi. È infatti tuttora gravissima nota dolente del Codice dei Contratti Pubblici la disciplina del pagamento dei Subappaltatori.

Nonostante il citato comma 3 dell’art. 118 del Codice degli Appalti preveda già due modalità alternative di pagamento delle spettanze del Subappaltatore (direttamente da parte della Stazione Appaltante, non casualmente citata come prima possibilità, ovvero da parte dell’Appaltatore), la scelta dei Committenti è sempre quella di sottrarsi a un coinvolgimento diretto, rimettendo dunque all’Appaltatore il compito di pagare le spettanze dei Subappaltatori e limitandosi ad effettuare, nei confronti del primo i blandi e marginali controlli previsti dalla Legge. Tale sistema ha determinato il consolidarsi di una prassi di gestione dei pagamenti caratterizzata da frequenti ritardi ed omissioni. Anche sotto tale profilo è improrogabile un attento esame della problematica da parte del Legislatore, al fine di salvaguardare le realtà imprenditoriali operanti nell’ambito dei subappalti, aventi, per lo più, dimensioni modeste e, come tali, fortemente penalizzate da una non corretta gestione dei rapporti contrattuali. Ciò vale massimamente nel settore stradale.